Il Brasile di Amado fantastico e reale

Il Brasile di Amado fantastico e reale "Dona Fior,,: romanzo di invenzione, documento etnografico Il Brasile di Amado fantastico e reale Jorge Amado DONA FLOR E I SUOI DUE MARITI Garzanti, Milano 525 pagine, 7500 lire FLORIPEDES Paiva .dos Guimaràes — Dona Fior per gli amici e gli abitanti tutti del Largo Due di Luglio della felice città di Salvador della Bahia — passa inopinatamente dalla condizione di giovane sposa avvilita da un marito biscazziere e donnaiolo a quella di vedova ricollocabile quando il suddetto consorte, Valdomiro dos Santos Guimaràes, Vadinho per gli amici, stramazza cadavere nel bel mezzo di un carnevale brasiliano. Il travestimento femminile, col gonnelione da baiana sotto cui s'intravede una sproporzionata pannocchia a metaforizzare in scurrilità convenzionale un'onesta e virile qualità di amatore, alona il morto di una sua comicità sinistra che agghiaccia il buon popolo della Bahia: come pochi rispettoso dei segni, degli avvertimenti, delle coincidenze. Questa l'apertura del romanzo dove, nella rappresentazione-trasfigurazione di Jorge Amado, la gente di Salvador ci si dispone come un coro greco in tricromia cui per riverenza funebre sia stato tolto l'audio; ma che ben presto un analogo sortilegio restituirà alla sua gazzarra di filosofo perdigiorno, di arbitro goloso di pietanze-situazioni piccanti. Finché il cadavere resta in scena, solo gli sguardi commentano, riassumendola, la situazione, che è paradigmatica di una città mistirazziale, come poche luogo d'incontro delle più disparate culture, delle più diverse ragioni sociali. Trentun anni lui, bello, biondo, baffetti insolenti e un codazzo di aneddoti, di storie poco edificanti ancorché sempre divertenti, testimoni di una irresponsabile, quasi infantile capacità di vivere, di godere e far godere. Non ancora trenta primavere lei, bellezza bruna e bene in carne — la sapienza brasiliana degli incroci razziali — fossette alle gote, occhi dolci di colomba casalinga rispettosa di ogni rituale. A monte, per lui un'infanzia tribolata di bastardo picaresco. Per lei un'educazione convenzionale che applicata a un temperamento voluttuoso aveva condotto alle scelte esemplari. Nella professione Fior si era affermata come cuoca esperta e patentata, direttrice della scuola baiana «Sapore ed Arte.», depositaria dei sapidi segreti della cucina afro-brasiliana; nella vita, aveva voluto un marito sbagliato, in realtà sapido anch'egli e contro ogni apparenza congeniale. La vedovanza di Fior, sofferta nella tetra quiete del letto deserto, dura poco. Tesa collettivamente a risarcirla delle passate umiliazioni, la città le offre l'assedio precoce dei pretendenti alla ghiotta successione. Finché, con l'approvazione di ognuno, il marito definitivo viene scelto nella persona del degno farmacista dottor Teodoro Madureira. All'indifesa Fior, cui Vadin-' ho aveva saputo offrire solo saltuarie e non esclusive lezioni di ars amatoria, il dottor Teodoro porta finalmente agiatezza e rispetto oltre all'amore veridico di uno sposo fedele e costumato. Verosimilmente paga nell'anima e nel corpo, durante il fluire di settimane tutte uguali allietate il mercoledì e il sabato (al sabato col bis) dall'intimità col buon marito, Dona Fior ignora di tener accesa fra la brace del più profondo inconscio, una colpevole nostalgia delle scostumate battaglie a due cui l'aveva avvezza Vadinho. Ignora che il suo desiderio può agire come richiamo dall'aldilà per lo spirito dèi trapassato. Altrove non-accadrebbe. Ma tutto è possibile nella felice città di Salvador della Bahia, dove il candomblé trascorre nell'Umbanda, dove i santi cattolici dall'incarnato di gigli e rose, inclini al perdono e all'apostolato, convivono coi demoni-orixàs negri — Yemanjà tutta d'azzurro vestita, coi suoi lunghi capelli di spuma e granchi, il cacciatore Oxóssi, re del Ketu, sul suo cavallo bianco nella luna calante, Oxumaré serpente enorme, maschio e femmina ad un tempo, strisciante sui colori dell'arcobaleno, Omulu col suo esercito di vaiolo nero e di lebbra millenaria. Nella Bahia delle reincarnazioni cicliche, dove gli spiriti di Alee Kardec aleggiano senza pace intorno ai viventi, il quieto pensionato del piano di sotto è alla sua ventottesima vita, cardinale, bandito famoso, santo asceta in esistenze anteriori. E qui. richiamato dalle sue ghiacce sfere sideree dal desiderio di Fior. Vadinho riappare un eiorno accanto a lei e solo a lei visibile. Nudo e beffardo s'intromette coi suoi commenti d'intenditore fra la sua ex legittima sposa e il di lei sollecito e altrettanto legittimo secondo marito. Poi, quando questi si placa nel sonno del giusto, riprende in favore dell'allieva i corsi superiori di un'arte di cui il farmacista possiede solo le prime rozze lettere. Timorosa del suo decoro di moglie. Dona Fior esige l'esorcizzazione di Vadinho. Si scatena la battaglia congiunta degli stregoni della terra e degli orixàs del cielo: solo Exù demonio è accanto al soccombente Vadinho. Ma quando questi sta per essere nsucchiato dal gelo della sua morte senza ritomo, chi lo salva, trepida e per sempre, è Fior. Ed ora. nelia felice città di Salvador della Bahia, quando Dona Fior compare pudica e tenera a lato del suo farmaceutico marito, nessuno sospetta che il sorriso che le increspa le fossette sia carezza di Vadinho, per l'eternità. Una storia cosi, avvolta in una prosa di panna montata, coi perìodi che si acciambellano e inghirigorano come dolci baiani troppo dolci, poteva scriverla solo Jorge Amado: il Jorge Amado seconda maniera, s'intende, stanco delle battaglie sociali e delle lotte politiche ch'erano state il nerbo dei suoi primi famosi romanzi di scrittore impegnato — dal Paese del Carnevale, 1931, attraverso Cacao, 1933, Jubiabà, 1935, Terre del Senza-fine, 1942, Messe rossa, 1946, fino ai Sotterranei della Libertà, 1952. Il pubblico italiano già conosce questo secondo, ironico e stilisticamente ben più agguerrito Jorge Amado: conosce le sue storie di cucina e di alcova, come Gabriela garofano e cannella o come Teresa Batista stanca di guerra. Dona Fior è del 1966, precedente quindi Teresa che è del "1972 e dove l'impegno, sbandito a livello socio-politico, pare riaffiorare sul piano della solidarietà femminista; e precedente l'ultimo, recentissimo, Tieta do Agreste, best-seller^ di un Brasile 1977 sensibile arrichiamo nativista ed ecologico. In Dona Fior, il disimpegno, nel senso ristretto del termine, è totale Ma, o forse per questo, pochi racconti hanno lo smaltato incanto, la maliziosa sapienza, la succolenta seduzione di questo affresco baiano. E' un libro d'invenzione e di documento, dove in sincretismo poetico, modellato sul sincretismo culturale del luogo, convivono il fantastico e il quotidiano, le strade e gli angoli noti di una città villaggio e gli anfratti di un averno negro ritagliato nell'impossibile: dove i personaggi reali, gli amici di Jorge Amado e di sua moglie Zelia, sono introdotti a turno ad avallare, con la loro autorità di esistenti, situazioni e trovate fantastiche. L'Europa scamita e disseccata crede di aver scoperto la ricetta del realismo fantastico latino-americano. Ma forse ancora ignora fino a che punto la realtà latino-americana (la brasiliana come quella delle culture di espressione spagnola) sia di per se stessa fantastica, fuori delle nostre razionali coordinate di spazio e di tempo, non aggiustabile ai nostri pur fatiscenti modelli opposizionali di positivo e negativo, di bene e di male. Chiunque conosca la Bahia sa che Dona Fior e Vadinho esistono, sia pur come incarnazioni libresche delle tante Flores assediate dai Vadinhos burloni che solo per loro occhieggiano di dietro ai ghirigori barocchi delle trecentosessamacinque chiese baiane. In questo senso Dona Fior, nel suo spumeggiare di invenzioni e di trovate, è essa stessa un documento etnofrafico e sociologico più attendibile di qualunque oggettiva e spassionata descrizione manualistica. La traduzione, di Elena Grechi, è aderente e scorrevole. Utili e diligenti anche le note, seppur con qualche svarione, indicativo di come sia ancora lontano dalla nostra cultura tutto juesto mondo culturale di lingua portoghese ( e basti a pagina 247 la nota che vuole i Lusiadas di Camóes esaltazione di un Vasco da Gama scopritore del Brasile). Luciana Stegagno Picchio

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