Sibilla femminista?

Sibilla femminista? Sibilla femminista? I prò e i contro di Nilde Jotti, Maria Luisa Astaldi Adele Faccio. Suso Cecchi d'Amico, Carla Ravaioli ROMA — Per sei settimane, sul primo canale, alle ore venti e quaranta, la televisione trasmette lo sceneggiato tratto dal romamo «Una donna», pubblicato, nel 1907, da una giovane donna che nella vita si chiamava Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo. La prima puntata è stata trasmessa domenica sedici ottobre. La giovinetta inquieta, turbata e divisa tra una madre nevrotica e un padre almeno impaziente, è diventata una moglie e una madre, capitata in un paese del sud che non la capisce come non la capisce il marito. lì suo destino sembra un rassegnato vegetare: sarà invece un destino di ribellione e di sofferenza, di amori e di delusioni alla ricerca di se stessa, cioè di quell'essere che si sarebbe formato con dolce naturalezza, come il frutto si forma dopo il fiore, se il suo sesso non fosse stato femminile. Quando scrisse il libro, fu D'Annunzio che le consigliò di cambiarsi il nome. Poiché in famiglia c'erano degli antenati Aleramo, marchesi del Monferrato, il poeta le suggerì lo pseudonimo. «Questi marchesi del Monferrato — scherza l'onorevole radicale Adele Faccio, il cui padre era cugino della scrittrice — venivano tirati fuori in famiglia, o nascosti, secondo che facesse comodo». Ma il senso del libro, la sua chiave d'interpretazione in direzione femminista, sono recenti: nel 1973, il libro è stato ripubblicato da Feltrinelli con una prefazione di Maria Antonietta Macciocchi e subito rivendicato come il primo vero romanzo femminista E poiché il libro è, almeno in parte, la storia di Sibilla Aleramo, la donna bella e intelligente che sino al '60 (era nata nel 1875, e nel 1960 morì) si vedeva ancora aggirarsi per Roma, ingrassata ma con quella meravigliosa faccia di luce, con pochi soldi in tasca, quei pochi che le venivano dai diritti d'autore e dalla cifra modesta che il partito comunista le passava (le pagava anche un appartamentino a Montesacro), si disse anche che Sibilla era femminista E certo, lo era, nel senso che aveva, combattuto una drammatica battaglia per affermarsi come persona, lei donna, in un'epoca alle donne ostile. Il teleromanzo rispetta il libro, rispetta quell'immagine? Secondo l'onorevole Nilde Jotti, rispetta molto il libro, nonostante qualche faciloneria nell'evocare certe figure, per esempio quella del seduttore di provincia, rappresentato come una specie di Rodolfo Valentino cupo, col sigaro in bocca «Ma non era facile renderlo per la televisione — riconosce —. Io, quando lessi "Una donna"lo trovai eccezionale, commovente, se pure conteneva qualcosa di dannunziano che mi spiaceva. Ma non so se lo definerei un libro femminista nel senso che si dà ora a questa parola. Femminismo è per me la battaglia per le donne, certo, ma intesa in senso più largo, entro il più vasto quadro delle battaglie che accomunano uomini e donne, non li separano. In quel senso li, cioè nel senso che diamo noi comunisti alla parola femminista, si può considerare tale. E cosi credo che oggi Sibilla, se fosse viva, sarebbe femminista. L'onorevole Jotti ha conosciuto bene la scrittrice, che era molto amica, e molto cara a Togliatti E l'ha frequentata, in vari periodi della sua vita «D suo gran segreto — racconta — era nell'assoluta mancanza di tabù. Proprio non ne aveva. Se amava un uomo, lo amava e basta, non c'erano ostacoli di nessun tipo al suo amore. Ed era amore, più che sesso. Ma insieme non subiva in alcun modo l'imperio di quell'uomo, anche se si trattava di uomini potenti o faziosi. Sempre, rimaneva lei. n senso della propria persona è quello che davvero l'ha sempre guidata. Ed era molto profonda, più di quanto potesse sembrare a prima vista». «Era ignorante — dice invece un'amica del mondo letterario, la scrittrice Maria Luisa Astaldi —. Fu Cena che le insegnò tutto, e poi gli altri. Era un'istintiva, e anche lo scriver poesie, da ragazza, non era per lei un frutto di cultura, ma qualcosa che faceva parte dell'educazione delle giovinette dell'epoca, come il far musica. Anche quando aderì al comunismo, non lo fece certo perché aveva letto dei libri, dei testi che l'avevano convinta, ma così, come una cosa sentimentale, perché le piaceva stare in una grande famiglia, perché le piaceva essere benvoluta da Togliatti. Ma l'interpretazione in chiave femminista del libro è giustissima, e io la condivido in pieno. Era la prima volta che una donna scriveva di sé in quel modo, e non solo in Italia.' Cosa c'era fuori? Le sorelle Brente? «Sibilla era molto affettuosa — continua Maria Luisa Astaldi —. Anche candida: si chiedeva perché Margherita Sarfatti la odiasse tanto! E. forse, non era nemmeno vero, lei si era proprio messa in testa che certe collaborazioni le fossero ostacolate dalla Sarfatti. Io la conoscevo bene. Una volta, era mia ospite a Cortina, e noi dovemmo allontanarci, e lei rimase sola. Bene, leggeva le sue poesie ai nostri famigli, che poveretti cascavan giù dal sonno. Del suo libro mi parlava spesso. Lo amava molto. Ho visto il teleromanzo, mi pare fatto un po' all'antica, con accorgimenti di vecchio teatro, ma funzionante. E funzionano gli attori. La Giuliana De Sio va benissimo. Sibilla era cosi nei primi tempi, magra, spirituale, biondo rossiccia, piena di vita».

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