Norah Borges pittrice del mondo angelico

Norah Borges pittrice del mondo angelico La sorella dello scrittore argentino, una sconosciuta delicata vicenda Norah Borges pittrice del mondo angelico Quasi per una specie di cospirazione «angelica», quindici litografie di Norah Borges, sorella dello scrittore argentino, dai lontani Anni Venti in cui nacquero si sono perdute tra le carte di un antiquario milanese e la sono state ritrovate oggi con curiosità ed emozione. Le pubblica Alberto Vigevani, in tiratura limitata, nelle preziose Edizioni del Politilo (J. L. Borges, «Norah»): con una prefazione di Borges e un affabile coinvolgente saggio di Domenico Porzio. Ringraziamo l'editore che ci ha concesso in anteprima le pagine e le illustrazioni che pubblichiamo. QUANDO ho terminato l'ispezione del soggiorno e ho letto i titoli, in gran parte di letteratura inglese e americana, dei libri negli scaffali (allineata dietro il tavolo, un volume sopra l'altro, c'è la Britannica letta e riletta negli anni giovanili e ispiratrice di «Tlón», «Uqbar», «Orbis Tertius») Jorge Luis Borges fa il suo ingresso, sorridente, sbarbato, in abito scuro, con la catena dell'orologio al taschino della giacca e un fazzoletto intonato alla cravatta rosso cupo; lo sguardo vagante è in cerca del mio volto da mettere a fuoco. Gli ho portato una edizione critica italiana, con testo a fronte, del suo Empedocle, una Divina Commedia, la Vita Antonii di Atanasio. Vuol subito mostrarmi il corpus di autori sassoni che, dice, costituisce la più ricca biblioteca sull'argomento di Buenos Aires. Lo tiene nella camera da letto. La stanza è minuscola, con una porta-finestra sul balconefiorito: piccola quasi da non potersi muoverein due; un lato è occupato dal letto assai stretto, con una modesta testata in ferro battuto: è il letto che usa da quando era ragazzo. Accanto vi è la'libreria a vetrina, non più gronderai un armadio, in cui sono riuniti un paio di centinaia di libri rilegati Borges conio sguardo rivolto dove capita, ma con mani mai esitanti (come se vedesse con le dita) apre le ante, prende un volume, me ne mostra la stampa, la qualità canterina della carta ed elenca, mentre accarezza una fila di volumi, una serie di titoli per me incomprensibili: S veri ssaga, Fagrskinna («Pie! hèrmosa, osi llamada por la encuadernación elegante...»), Morkinskinna («Incluye biografiàs de Magnus Olafson, queJue rey de Nomega y de Dinamarca, de Harald el Despiadado, que se badò en Italia, en Sicilia..»). Questi libri sono da alcuni anni il suo orgoglio. Vedo sul cassettone, ai piedi del letto, una di quelle piccole riproduzioni della statua equestre del Colleoni (regalo del padre durante un viaggio, negli anni 10, in Italia), la civetta di Minerva, un piatto-premio in argento, e al muro alcune lauree ad honorem di università inglesi e argentine. Borges conserva, con discreta ma evidente soddisfazione, le attestazioni al merito, da qualsiasi istituzione gli arrivino e per modeste che siano: mi aveva stupito, su un mobile, in bella mostra una targhetta con la Ma donnina di MHa no, pegno di un mediocre premio milanese. Si parla dei duri e amari tempi (està època noe- turno) in cui viviamo e Borges si proclama felice d'esser nato nell'agosto del 1899.\ «Porque me gusta mucho el siglo XIX; aunque podrìamos usar corno argumento en cantra del siglo XX el hecho de haber producido el siglo XX, que me parece algo menos admirable». In una intervista (su«La Nacion», novembre del 1974) Maria Esther gli aveva chiesto quali fossero per lui le caratteristiche salienti del nostro secolo. A veva risposto: «La estupidez y la ingenuidad». E aveva aggiunto, a prova, che «oggi si suppone che qualsiasi persona della strada possa discorrere in materia politica, los analfabetos tambièn, ma nessuno invece pensa che gli stessi possono avere un 'opinione sul calcolo infinitesimale o sulla teoria degli insiemi». Mi dice che sta per consegnare all'editore un nuovo libro di poesie («La moneda de hierro»), ma deve ancora scrivere 5 sonetti: vorrebbe scriverne uno dedicato a Giacomo da Lentini, l'inventore italiano del sonetto. A tavola qualcuno accenna (capita) all'immortalità dell'anima, e Borges: «Il problema mi lascia tranquillo perché non ci credo: però, però può darsi». Riprende a parlare del suo soggiorno in Usa; è sbalordito dell'efficienza dell'organizzazione nelle biblioteche: «Quella dell'Università del Michigan possiede due milioni di volumi. Ma se chiedi un titolo che manca lo hai lo stesso: lo fotografano espressamente in un'altra università». Maria Esther gli offre un garofano rosso (un «clavel andaluz») che egli annusa a lungo e infila all'occhiello della giacca. Il discorso cade sul problema dell'inquinamento e dello smog. Borges non crede all'apocalisse ecologica: «Qui da noi, avrà visto, c'è tanto vento: spazza via tutto». Gli chiedo che tiratura abbiano i suoi libri. Oggi se ne vendono anche trenta, quarantamila copie dei titoli nuovi: «ma con il dieci per cento di diritti d'autore c 'è poco da arricchirsiV A proposito di clamorose ricchezze cita il caso di un gerarca peronista che possedeva trecento cravatte. Mi incuriosisce il parametro col quale valuta la ricchezza e domando quante cravatte abbia in guardaroba. Risponde, senza esitazioni: «Tre». Giacché parliamo di cravatte, rammenta che in America, negli Stati del Sud, il linciaggio di un negro veniva definito «neck-tie party». Ci alziamo per prendere il caffè nella zona salotto del soggiorno; Borges non ne beve. Horacio Armoni ci fa ascoltare, sul giradischi, un long-play di poesie di Borges recitate da lui stesso, incise anni fa. Le ascolta ripetendole a memoria a bassa voce, appena muovendo le labbra, emozionato e sorpreso come fossero di un caro amico. Ma alcune non gli piacciono. Ascoltiamo un disco di «milongas», canti popolari accompagnati dalla chitarra: sono le matrici da cui si evolse il tango, corrompendole. Borges ha scritto un libro di «milongas—, «Para las seis cuerdas», per le sei corde della chitarra: «La guitarra — dice — que fue el instrumento de la milonga y del estilo». A differenza del tango, la milonga è un autentico canto popolare, proprio perché si serve di quel solo strumento musicale. Aborre, Borges, il sentimentalismo del tango, quel suo «sentido lacrimoso de la palabra, la sensiblerìa del incosolable tango-canciòn». La sera si è inoltrata: è tardi. Maria Esther pensa che per Geòrgie sia ora di rincasare: Fanny sarà preoccupata, e sveglia, per tema che «el timbre» del citofono non funzioni. Lo riaccompagno in tassì a Maipù. Gli chiedo se posso regalargli la cravatta italiana (è nuova) che porto al collo: gli spiego che è scura, di seta verde e blu: «Così ne avrà almeno quattro». E' felice. In cambio, mi torna a recitare il Pater Noster in sassone. Non parlerebbe che delle antiche letterature sassoni: «Ese otro culto que ilumina mi ocaso». Un culto appena più discreto è quello sollecitato dal lungo sodalizio con la sorella: il ritrovamento delle sue litografie a Milano lo ha commosso, e ancor più l'edizione di questo libro che raccoglie i giovanili esercizi di Norah. L'occasione di poter scrivere «sobre mi hermana» è stata per lui «una suerte de necessaria felicidad». Sono rari, dice, gli artisti che sanno, come lei, descrivere «lo angelica! del mundo que nos roddea». Le quindici, dimenticate litografie risalgono al tempo della rivista «Proa» (1924-1925). Norah aveva sempre partecipato alle iniziative letterarie ed editoriali ael fratello con contributi di «vinetas» e «dibujos», disegni e ornamenti, che accompagnavano le poesie e le prose pubblicate. Il ritrovamento a Milano è stato casuale, ma non sorprende. «Prosa», infatti, veniva stampata a Buenos Aires nella succursale di una officina grafica milanese. Talleres Graficos G. Ricordi e C. Quello stabilimento era allora diretto dal dottor Piantanida, lo stesso che, ritornato a Milano, esercitò poi per anni l'antiquariato librario: appunto tra le sue carte, furono rinvenuti i fogli di Sorah. Piantanida rammenta la giovane disegnatale che si aggirava tra i banchi della tipografia, e alla quale propose un giorno, di incidere alcune pietre. Accettò con entusiasmo, ma umilmente, l'opportunità di quella esperienza. Si ispirò in gran parte, semplificandoli, ai disegni che aveva pubblicato su «Proa»: un confronto è possibile, e lo prova. Sulle pietre, furono tirati due, forse tre, fogli, uno dei quali venne conservalo e restò al Piantanida: Norah regalò e disperse i suoi; ormai irreperibili. Le rarissime litografìe de «la hermana de Geòrgie» risalgono, per data, al ritorno della famiglia Borges dalla randonnée in Europa, dove Norah, che aveva studiato disegno a Ginevra, aveva respirato, entrando e uscendo da musei e gallerie d'arte, l'aria nuova smossa dalle avanguardie: il suo segno limpido, sicuro, sorretto da un contenuto lirismo, rifiuta ogni abbandono all'ingenuità e costruisce con rigore spazi e figure. Nei suoi fogli vi è un silenzio quasi metafìsico nel quale trascorrono sottovoce risonanze di Jean Cocteau, di Marie Laurencin e forse un «angelico» ricordo di Chagall; ma soprattutto, come ricorda il fratello, la nostalgia per i «perdidos paraisos de la ninez». Norah andata sposa, Norah divenuta madre e poi nonna, è rimasta fedele a quei paradisi perduti e all'antica vocazione. Borges non parla, se non raramente, dei quadri della sorella; ma sa di avere accanto «una grande artista». Domenico Porzio