Nemico dei galantuomini di Antonio Ghirelli

Nemico dei galantuomini Vincenzo Padula e la cultura popolare della Calabria dell'800 Nemico dei galantuomini Vincenza Padula CALABRIA PRIMA E DOPO L'UNITA' Universale Laterza, Bari due volumi, 416 pagine, 3300 lire. Marisa Sciacca LE TERRE DEL SUD Lerici, Cosenza 112 pagine, 2500 lire. NEL quadro della letteratura meridionalistica l'opera di Vincenzo Padula, prete liberale nato in Calabria e vissuto lungamente a Napoli, braccato ferocemente dalla reazione agraria dell'epoca borbonica e amaramente deluso dal liberalismo dell'epoca unitaria, trova una forza ed un'originalità non comuni come testimonianza di uno spirito rivoluzionario che non conosce compromessi, di una ariosa vocazione poetica e di un'attenta, scrupolosissima passione sociologica. La sua biografia potrebbe suggerire ad uno sceneggiatore cinematografico o ad un regista televisivo uno spettacolo di rara suggestione anche spettacolare, perchè fu intessuta di avventure, di amori, di umiliazioni, di intrighi, fino al melanconico epilogo di una vecchiaia trascorsa in solitudine nel suo paese natio, Acri, erosa dalla sifilide. La sua partecipazione ai moti del '44 e alla rivoluzione del '48, l'appassionata predicazione (anche dal pulpito) contro la classe pro¬ prietaria, la spregiudicatezza della sua vita privata gli valsero non tanto e non solo la spietata caccia dei gendarmi borbonici, ma un'emarginazione sociale che si tradusse alla distanza nell'impossibilità di ottenere quella cattedra universitaria a cui cultura ed ingegno lo avrebbero largamente abilitato. Di Padula il grosso pubblico conosce un «dramma brigantesco con forti implicazioni sociali» («Antonello capobrigante calabrese » ) che pochi anni fa fu messo in scena a Roma da Ghigo De Chiara e che il sacerdote di Acri aveva scritto intorno al 1850. Ora Laterza stampa nella sua « Universale » un ampio e- stratto condensato da Attilio Marinari dei 26 volumi inediti, ossia delle carte manoscritte lasciate da Padula ai suoi eredi e contenenti lettere, poesie in lingua e in vernacolo, appunti di critica e di estetica, scritti di teologia e di filosofia, e soprattutto note sulle ricerche condotte da don Vincenzo sui luoghi, le tradizioni, i dialetti della Calabria- Sono appunto i sette volumi relativi alle note sulla sua terra natale, che Marinari ha preso particolarmente in considerazione, alla luce del progetto dichiaratamente perseguito da Padula di elaborare una sorta di «enciclopedia» calabrese: storia, corografia ed archeologia, stato delle persone, usi e costumi, canzoni popolari. Al centro di questa immensa congerie di dati, di questo repertorio accumulato senza alcun rigore scientifico ma con infaticabile curiosità e profonda sete di giustizia, sta la condanna della condizione contadina così come l'hanno configurata il «potere religioso » e l'egemonia dei latifondisti. Con oltre un secolo di anticipo, il prete di Acri offre una smagliante dimostrazione di una «controcultura » che confuta e smaschera la cultura dei « galantuomini », cioè della classe dominante, e le sue pesanti responsabilità nella arretratezza delle terre meridionali. Un'opera da leggere saltuariamente o meglio da consultare, proprio come un'enciclopedia, al momento opportuno, quando lo suggerisca un'esigenza di lavoro o lo imponga un bruciante richiamo di cronaca contemporanea; ma ricca senza fine di spunti e di suggestioni straordinarie. L'altro libro di cui ci occupiamo può essere affiancato all'opera di Vincenzo Padula esclusivamente per l'affinità dell'argomento, giacché Marisa Sciacca è una giovanissima studiosa dei nostri tempi e il suo saggio rappresenta un momento di una più ampia ricerca sulle condizioni economiche delle nostre terre nel '700 e nell'800. Pubblicato nella collana che Lerici dedica all'università in Calabria, « Le terre del Sud » analizza « la formazione del paesaggio agrario meridionale moderno », valutando le violente contraddizioni che si manifestano in quel contesto già all'inizio del diciannovesimo secolo e individuando il momento nel quale anche le zone «a cultura intensiva e du altissima produttività » del Sud perdono irrimediabilmente contatto con il progresso impetuoso dell'agricoltura europea. Soltanto il quarto dei cinque capitoli di questo studio si riferisce alla Calabria, anzi ai suoi boschi e al suo antico sottosviluppo, che sin dalla fine del Settecento faceva scrivere ad un intellettuale del luogo « non esservi in Europa paese più disabitato della sua terra, dove l'agricoltura sia più barbara, e in cui tutti i generi dell'industria umana siano più mal trattati e vilipesi». La Sciacca documenta come una delle cause principali della miseria calabrese, insieme con l'asperità del suolo e con l'isolamento secolare, sia nella spietata devastazione delle foreste, nelle usurpazioni dei grandi latifondisti, nei dissodamenti che ne derivarono. Un fenomeno tutt'altro che naturale dal quale non discende soltanto la brutale liquidazione del paesaggio, ma anche e soprattutto lo annientamento di tutte le risorse della popolazione montana e con esso le due grandi e persistenti sventure della regione bruzia: il brigantaggio e l'emigrazione. Antonio Ghirelli