Quel terribile direttore di Corrado Alvaro
Quel terribile direttore II "Corriere,, di Albertini nei ricordi di Alvaro Quel terribile direttore Corrado Alvaro LUIGI ALBERTINI Calabria/Cultura, S. Spirito (Bari), 111 pagine, 2000 lire. PER iniziativa di Agostino Cajati, direttore della rivista «Calabriacultura», è da poco riapparso il breve saggio «Luigi Albertini» scritto da Corrado Alvaro su invito dell'editore Formiggini e pubblicato nella collana « Medaglie » nell'ottobre del 1924, circa un anno prima della estromissione di Albertini dalla proprietà del Corriere della Sera. Poiché da quel momento la «medaglia» di Alvaro era diventata introvabile, la riedizione odierna opportunamente affianca al vecchio testo un teurrieulum vitae» di Luigi Albertini, il «commiato» dal Corriere di Luigi e Alberto Albertini, due «Appunti sui fratelli Albertini» desunti dai diari di Alvaro e una nota di Cajati su « Alvaro e il fascismo ». Delle novanta pagine che compongono il volometto, una trentina sono poi assorbite da una introduzione di Pietro Treves alla fine della quale è affacciata l'ipotesi dei dissensi e consensi « con i quali il profilo albertiniano dell'Alvaro sarà letto oggidì ». Più di Un lettore ignaro si chiederà se la a medaglia » di Alvaro, meglio che un ritratto di Luigi Albertini non sia il ritratto della azienda Corriere della Sera di cui Alvaro (introdottovi, se non erro, da G. A. Borgese) per un paio d'anni ebbe modo di osservare gli ingranaggi e studiarne, nei limiti a lui consentiti, il funzionamento. Per avere una idea di quei limti, basterà dire che in due anni di permanenza al giornale Alvaro non fu mai ricevuto da Luigi Albertini e, a quanto dice, nemmeno lo vide. Lo riceveva il fratello Alberto, ufficialmente direttore del giornale, dallo studio del quale, attraverso una tenda scostata, Alvaro riuscì una solo volta a intravedere lo studio di Luigi (rimasto intatto fino al 1963, quando una ventata di rinnovamento aziendale indusse a sacrificare anche i vecchi mobili, non esclusa la scrivania sulla quale Albertini aveva faticato per almeno trentanni). Su quel Corriere è esistita una aneddotica non sempre attendibile e oggi quasi interamente scomparsa. Si . faceva il nome di uno scrittore assunto come redattore che, dovendo prender servizio alle quattro ed essendo arrivato alle quattro e due minuti, aveva veduto affacciarsi alla porta del suo ufficio, per un attimo, tre inservienti diversi, l'ultimo dei quali gli aveva finalmente donìandato «lei è il signore che doveva arrivare alle quattro?»; al che il ritardatario, infilato il soprabito, aveva risposto «no. sono quello che se ne deve andare alle quattro e dieci». Circa il viaggio notturno descritto da Alvaro si raccontava poi di un personaggio del fascismo vdltellinese che arrivato a tarda sera fermamente deciso a «occupare» il giornale aveva'avuto l'ingenuità di chiedere del direttore il quale gli aveva fatto dire che era spiacente di non poterlo ricevere essendo l'ora di chiusura delle pagine, ma che se avesse voluto attendere lo avrebbe ricevuto a chiusura avvenuta. Il personaggio aveva atteso mezz'ora, poi, non si sa se intimorito o suggestionato dal viavai dei redattori silenziosi, se ne era andato senza dir niente. Ma che non si potesse parlare di Luigi Albertini senza vederlo attraverso il Corriere della Sera, e soprattutto che il politico e l'industriale formassero una unità inscindibile, è indubbiamente vero. Così come è certo che la macchina Corriere continuò a funzionare anche dopo l'allontanamento del suo creatore. Non per questo continuò a essere quella di prima. Una parte di quei congegni, sottratti al loro manovratore, girarono a vuoto. E una parte delle norme albertiniane, assunte da personaggi che di Albertini si professavano eredi senza averne le qualità, alla lunga diventarono assurde e qua e là ridicole. Raul Radice
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