Le donne demoni dell'altro mondo

Le donne demoni dell'altro mondo I racconti fantastici di Zena Le donne demoni dell'altro mondo Remigio Zena CONFESSIONE POSTUMA Einaudi, Torino XVI-118 pagine, 2500 lire AG1STRATO, il vero nome Gaspare Invrea, IVI -Lf-MRemigio Zena, di famiglia genovese che all'antica Repubblica diede più di un doge e vari uomini di governo, è noto per La bocca del lupo, romanzo di vita popolare. La bocca del lupo è uno dei bei romanzi naturalistici della nostra letteratura: compresa per intero nel secondo Ottocento la vita del suo autore. Ma Zena non è definibile solo in termini di naturalismo. Lo dicono . le Quattro storie dell'altro mondo, stampate ora sotto il titolo di Confessione postuma, racconti fantastici e neri, scritti con l'inchiostro del più stravagante decadentismo. Fantasmi, notturne vampìresche cerimonie, donne demoni, cappelle sperdute su radure, temporali agghiaccianti, lame di luna; uomini di chiesa, la cui inconscia vocazione certo non è il rapimento della preghiera. Questi temi, o luoghi narrativi, avvelenati ricadrebbero nella rigatteria tardoromantica se non fossero poi trattati con un'inventiva voluttuosa di singolare qualità. E questa qualità, oltre che nell'uso di sottili stratagemmi affabulatori (la finzione epistolare, il discorso libero indiretto), consiste in uno stile curiosamente impettito ma insieme dovizioso che, se per un verso richiama alla mente la professione curiale dell'uomo Invrea, per l'altro sottolinea lo strano torbidume, gli sventati sogni cui quell'uomo, con sofisticato giudizio, si abbandonava. Si dirà, questa è psicologia. Ma è vero che in questo scrittore, se c'è un connotato che sollecita l'immaginazione critica, è proprio il fascio di ambiguità^da cui è investito. Il narratore che scrive La bocca del lupo, così attento a ricostruire nel proprio dettato il passo del parlato genovese, sa travestirsi qui nei panni di uno tutto carne-morte-diavolo. E in questi panni ci sta benissimo. Via la dolorosa ottica sociale, via la dedizione « fotografica » (con quel che questo, nello scorcio del secolo, poteva significare), restava a Zena un rivolo infocato di fantasia, di cui far mostra con preoccupazione, quasi con avarizia: Alessandra Briganti, curatrice del volume, parla nella prefazione con acume di questi racconti come di testi « in embrione, di racconti che conterrebbero gli elementi di racconti possibili ». Questa embrionalità non è calcolata ad arte: è una spia appunto psicologica, prima che espressiva. Ma per via di ciò lo scrittore si arricchisce di contenuti culturali. Indirettamente, ci parla della fatica di una società, quella italiana del suo tempo, a cercare, negli sfoghi più insoliti, di darsi un volto, di superare le proprie torpidezze, o compensarle nell'immaginazione o nella rappresentazione, nello studio della verità effettuale. Se questo proposito l'insieme del corpo sociale sia riuscito storicamente a concluderlo è altro discorso: a me sembra di no. Tentarono alcuni scrittori, alcuni intellettuali, un musicista come Puccini, sempre tecnicamente consapevoli, non altrettanto spiritualmente. Fu il destino di una cultura: destino che nelle brevi pagine di Zena può leggersi in trasparenza. Questa, forse, è la vera confessione postuma dello scrittore in causa. Enzo Siciliano

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