La poesia all'abbraccio "post-conciliare,,

La poesia all'abbraccio "post-conciliare,, Convegno di Palermo: avanguardia e tradizione non litigano più La poesia all'abbraccio "post-conciliare,, PALERMO — « La poesia e il linguaggio dei nostri giorni» è stato il tema focale del Convegno Internazionale che si è tenuto in Sicilia nei giorni 8, 9 e 10 settembre in un albergo a picco sugli scogli delle acque azzurrissime di Mondello, parallelamente ai lavori del premio suddiviso nelle sezioni Lavoro, Letteratura, Cinema, Teatro e Televisione, e di cui Tuttolibri ha già dato notizia. Secondo l'attesa spettacolare di qualcuno, uso a immaginare le discussioni letterarie come rustiche lotte di galli, quest'incontro amichevole e critico doveva risolversi in un ennesimo scontro fra avanguardie e no. L'accento posto sul «linguaggio» lo faceva pensare. Ma se le « avanguardie » hanno fatto registrare certe assenze di peso come quelle di Balestrini e Sanguineti, non pochi hanno sottolineato come lo scontro che ha infiammato le cronache degli Anni Sessanta si vada per chiari segni ridimensionando o componendo in una specie di abbraccio postconciliare. Gli autori più rivoluzionari sembrano riscoprire, se non un sospetto « ordine », almeno il richiamo di certi valori della tradizione, mentre non c'è autore « tradizionale », nemmeno nella più attardata provincia, che resti ancorato a forme cristallizzate di stampo ottocentesco. Si ristabiliscono accordo ed equilibra che sembravano fino a ieri impossibili. Uno scrittore come Ruggero Jacobbi, insospettabile tra l'altro per il tono e l'audacia delle sue regie, ricorda per inciso la frase di Cardarelli, «non è la ricerca dei mezzi espressivi che fa lo scrittore ». E dice la Guidacci: «I miei interessi sono soprattutto di contenuto. Per me le parole valgono per il loro senso corrente, di scambio... Cerco un accostamento drammatico di significati anziché \m accostamento magico di suoni». Riferendo troppo brevemente alcuni interventi del convegno, possùimo soffermarci solo di scorcio su certi acuti apporti: quello di Guillevic sulla ricettività sensuale del poeta, sulla degradazione dei linguaggi popolari per colpa del livellamento televisivo, sulla nascita della comédie larmoyante, a forti tinte, come effetto dell'impotenza espressiva della lingua del Settecento; e quello di Silvio Ramat, il più intelligente nipote dell'ermetismo, che dichiara di «rifiutare il complesso di colpa che la poesia avrebbe nei confronti del reale. Esiste il reale...? ». Giuseppe Pontiggia analizza — in analogia con i nostri movimenti degli ultimi quindici anni — la parabola del verismo, nato come esigenza scientifica e destinato poi a essere letto in chiave di «scrittura viscerale», e sottolinea quel divario d'esperienza che distingue i giovani d'oggi da quelli degli anni del boom, portandoli a un linguaggio sorvegliato, oltre gli eccessi polemici. Angelo Jacomuzzi approfondisce il tema della fine del primato letterario, dell' egemonia stilistica, della perdita dell'aura sacrale per influenza delle pressioni storico-politiche, concludendo tuttavia con una frase significativa: « Ulteriori appropriazioni devono corrispondere a differenze specifiche del messaggio» per debellare, secondo un'espressione di Gobetti, «gli esercizi da incantatori di villaggio». Lo jugoslavo Mladen Machiedo isola, dalle remote origini al nostro tempo, tre filoni: la poetica normativa (Aristotele, Orazio, Boi- leau), le poetiche del vero (formazione della borghesia ottocentesca) e le poetiche della scrittura dove la poesia si fa oggetto di se stessa. Analizza poi, nel neosperimentalismo, la lenta dissoluzione delle poetiche collettive: «Con gli Anni Sessanta fallisce il tentativo amoizioso della neoavanguardia di misurarsi con l'avanguardia storica e il tentativo di formulare una poetica che trascenda gli itinerari personali ». Infine Marco Forti presenta una panoramica ragionata del nostro Novecento che si articola sul contrasto classico fra parole dei poeti e langue dell'istituzione, coinvolge, come molti, strutturalismo, Barhes, Lacan, e va dall'osservazione del «linguaggio scorporato, lirico, tendente all'assoluto fonosimbolico dei versi » a quello «più orizzontale, corporeo, prosastico»; da quello « alto e centralizzato » a quello « basso e decentralizzato». Il titolo del suo discorso, «Divaricazione, scarto e simbolo »,' avrebbe z'-7sommc. potuto essere quello generale del convegno, cordiale iniziativa dalle generose e ambiziose intenzioni e, tutto sommato, di bilancio positivo. Maria Luisa Spaziarli

Luoghi citati: Palermo, Sicilia