Non è più un mercato d'elite di Giovanni Spadolini
Non è più un mercato d'elite CORRENZA CON LE EDITRICI SPECIALIZZATE Non è più un mercato d'elite DURANTE i vent'anni effettivi di insegnamento universitario, prima dell'aspettativa assunta per la direzione del Corriere e poi rinnovata per il mandato parlamentare, non volli mai compilare un testo di dispense. E mi opposi a quelle abusive, clandestine, parziali, raccolte dall'assistente X o dal ricercatore Y: frutto di una trasposizione imperfetta e spesso approssimativa delle lezioni del docente. Ritengo che una delle cause non ultime del mancato o distorto sviluppo di un'editoria universitaria nel nostro Paese sia da collegare, soprattutto in talune facoltà che ne hanno largamente abusato, al' sistema delle dispense, cioè di un'approssimazione impropria e spesso inefficiente ai testi manualistici compiuti, organici, accurati, caratteristici di altri sistemi universitari deU'Occidente. Toccai l'argomento nel discorso conclusivo del recente convegno dedicato, per iniziativa di Tuttolibri e dell'Associazione italiana editori, alle malattie del libro, ai possibili e auspicabili sistemi per curarle o almeno per mitigarle. E lamentai in quell'occasione la mancanza di un'iniziativa seria e coordina-, ta per rinnovare la didattica universitaria, nel suo nesso irrinunciabile con la ricerca, in una forma analoga, per serietà e sistematicità, ai metodi in uso, e talvolta in abuso, nella scuola secondaria superiore. Ecco il paradosso per cui l'Italia non dispone di grandi case editrici essenzialmente raccordate ai testi universitari, come il mondo anglo¬ sassone. Quasi tutta l'editorìa scientifica, in Inghilterra o negli Stati Uniti, si raccorda a imprese editrici che promanano dalle università, che fioriscono sul tronco di antiche testate universitarie, che si alimentano e nutrono del continuo scambio con la vita degli atenei, organizzati in forme comunitarie, senza gli inquie¬ tanti assenteismi dell'Italia, senza i mostruosi fenomeni patologici come i fuoricorso. Si risponderà: le .cause sono molte, e non facili a rimuovere né in un giorno né in un anno. C'è la concorrenza fra atenei pubblici e privati, e il larghissimo ruolo riconosciuto nel mondo anglosassone alle università libere, condotte e gestite secondo criteri di mercato, e sia pure di un mercato anomalo e peculiare. C'è la capacità di risonanza e di diffusione che ha la lingua inglese: presupposto di una circolazione universale di quei testi, che dalle-università americane si diffondono in quelle indiane e africane. Per l'Italia c'è il blocco della lingua: solo nel dopoguerra si ebbero alcuni tentativi, poi sospesi, di coedizioni fra l'Italia e il Sud America, con esportazione di nostri testi, sulla scia dei vari Mondolfo e dei perseguitati politici che in quelle contrade avevano operato nel periodo della dittatura. C'è il correttivo del pragmatismo e dell'empirismo anglosassone, premesse di una cultura che non si esaurisce nelle paratie dello storicismo, come troppe volte è accaduto alla nostra. Ma i motivi di riflessione permangono. E un serio' esa. me di coscienza si 'impone all'editoria italiana, se vuole gettare un ponte, autentico e non illusorio, all'università di massa che avanza, in forme caotiche, tumultuose, irrazionali. Oggi c'è il rifiuto del libro caro: lo studente, almeno nelle facoltà umanistiche, non compra più l'opera che superi le quattro o cinquemila tire. Alcune iniziative di « universali » a buon prezzo hanno attenuato l'inconveniente. Ma non basta. Le nostre case editrici debbono impegnarsi diversamene nel settore universitario. Col tempo le più grandi soddisfazioni, anche economiche, saranno da ricercare in un'area finora ritenuta oligarchica e di élite. Giovanni Spadolini
Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Stati Uniti, Sud America
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