Difende Beethoven spiegando la Nona

Difende Beethoven spiegando la Nona Difende Beethoven spiegando la Nona Q L'ANDO si parla di Massimo Mila è quasi d'obbligo ricordarlo come il promotore, fin dagli Anni Trenta, della rinascita degli -studi verdiani. Ma le passioni di Mila non sono certo circoscritte alle vicende dell'opera romantica. C'è da un lato il costante interesse per la musica moderna e contemporanea, che passa attraverso i poli antinomia di Stravinsky e di Schoenberg e che giunge agli amatissimi Nono e Bussotti. E c'è, come un pedale ricorrente, la predilezione per i classici viennesi da Mozart a Beetho\en a Brahms. A Beethoven, peraltro. Mila non aveva ancora riservato un saggio di ampie dimensioni. E la Lettura della Sona sinfonia, edita in questi giorni da Einaudi (228 pagine, 5600 lire), potrebbe sembrare il suo primo contributo approfondito sul maestro di Bonn. In realtà l'interesse per Beethoven coinvolge, al pari di Mozart, quasi tutto il lungo arco critico di Mila. E chi vorrà vedere già delineato questo vasto studio, non avrà che da rileggersi le voci stese per il Dizionario Bompiani, un trentennio fa. in cui i momenti fondamentali del pensiero di Beethoven sono già acutamente chiariti. Mila è un critico dalle convinzioni rocciose, non ama la estemporaneità; anzi in tutti i suoi studi sarà lecito riannodare i fili con le* riflessioni della giovinezza: così in Verdi, Mozart o in Beethoven. Difficile in Mila riscontrare improvvisi mutamenti di posizione, bizzarri orientamenti del gusto. Anche in questo libro — nato come corso universitario e quindi carico di postille e di rimandi bibliografici — lo studioso conferma di prediligere le ampie sintesi critiche, che perseguono con inflessibile coerenza una sorta di mediazione tra prospettive di pensiero anche antitetiche, tra una concezione legata ai grandi temi dell'idealismo romantico e la «oggettiva» analisi testuale. Non a caso Mila opera fruttuose «conciliazioni» tra le fiammeggianti iperboli di Romani RoHand e le scomposizioni strutturali di Heinrich Schenker, autori degli stuJi più dettagliati. A conti fatti, tuttavia, Mila intende rivelare, sulla scorta di Paul Bekker, 1 Videa poetica» dell'opera, anche al di là dei travestimenti formali. Così il discorso viene felicemente ricondotto ai nuclei generatori della sinfonia, nel desiderio d'indiv iduarne la \ icinanza all'uomo moderno e alla «condizione di crisi che lo travaglia ». In questa chiave anche le cosiddette «imperfezioni » della Sona sono giudicate da Mila indizi fecondi e rutt'altro che restrittivi. D'altronde, proprio nel Beethoven ultimo della Sona, dei quartetti o delle sonate pianistiche, si va sempre più aifermando una divaricazione tra idea e risoluzione formale. L'idea insomma sembra quasi prevaricare la iorma. determinando quel senso di abisso utopico, proprio della sublime incompiutezza di molte opere dei tempi moderni, dalla Sona al Mose e Aronne di Schoenberg. Per -questo le lacerazioni della Nona valgono come indicazioni di un diverso, e aitualissimo, modo di porsi Ji - fronte alla materia sonora e dichiarano la preminenza del progetto sulla messe fonica. Così la Nona diverrà l'emblema stesso del simbolismo romantico e conoscerà successive investiture fino al nostre secolo: quasi ad indicare una linea di pensiero che non ha ancora esaurito le proprie \ irtualità musicali. Problematico tra tutti rimane soprattutto il finale, ^he Mila tende giustamente a rivalutare e cui sono periodicamente rivolte le censure degli esegeti ortodossi. \ ero e •che proprio l'ultimo tempo vale per le sue paradossali antinomie, per il roteare abnorme di mondi diversi, in cui la musica militare trapassa nell'illuminazione milionaria la prorompente esplosione terrestre nell'appello metafisico. Il simbolismo, allora, diviene spettacolo, vertigine teatrale. Mario Messinis

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