Come dipingevano

Come dipingevano Le famose "vite„ di pittori e scultori Come dipingevano Giovan Pietro Bellori LE VITE DE' PITTORI, SCULTORI E ARCHITETTI MODERNI Einaudi, Torino, 343 pagine, 35.000 lire LA lettura delle « fonti » dovrebbe essere pane quotidiano per gli storici dell'arte: un insostituibile strumento per capire meglio, vista nella propria luce culturale, il valore di un'opera, nata in quel certo momento. Sarebbe da aggiungere, paradossalmente, che quando mancano, esse dovrebbero essere inventate, Siamo troppo abituati a giudicare sulla base delle scelte culturali, dei valori preferenziali della nostra epoca, anzi di « questo » momento: di qui le alterne vicende anche recentissime di interpretazione e di valutazione dell'opera d'arte: dalla « pura visibilità » e dagli « schemi » del Wolfflin, alla lettura dell'opera in chiave semantica e sociologica. L'eccessivo credere nella giustezza della propria causa gioca agli storici dei brutti scherzi, come continuamente siamo abituati a vedere. Bisogna dunque salutare con vera soddisfazione l'iniziativa della casa Einaudi, che per la collana «I Millenni » ha curato la ristampa de Le Vite de' Pittori, Scultori e Architetti moderni, affidandola alla competenza di due noti studiosi, Evelina Borea e Giovanni Previtali. L'impresa è stata lunga e laboriosa e può capirla anche un non addetto ai lavori, apprendendo dalle parole stesse dei due studiosi che la prima idea di questa edizione risale addirittura al 1962 e che il « lungo cammino percorso » s'è concluso soltanto nel 1975, con qualche « apertura » (d'aggiornamento) sul 1976. Essa è altamente meritevole, perché mette a disposizione degli studiosi un testo tanto prezioso quanto raro, essendo questa — incredibil¬ mente — -a prima edizione completa del Bellori. Eppure si tratta di un testo di straordinaria vitalità, scritto da un uomo di grande cultura e di vivissimo senso critico. La lettura del Bellori sembra talvolta evidenziare la precarietà di tanti studi moderni e imporsi con l'autorità di chi dice cose sicure, con perfetta conoscenza del suo rapporto con l'artista per quanto riguarda il giudizio di valore. Valga, come esempio, l'atteggiamento di avversione-ammirazione che mostra di avere per il Caravaggio, proprio lui, tutto classicismo e in adorazione del « suo » Carlo Maratta. (« Datosi perciò egli — il Caravaggio — a colorire secondo il suo proprio genio, non riguardando punto, anzi spregiando, gli eccellentissimi marmi degli antichi e le pitture tanto celebri di Raffaello, si propose la sola natura per oggetto del suo pennello ». « Dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola, con le mani in seno in atto di asciugarsi li capelli, la ritrasse in una camera, ed aggiungendovi in terra un vasello d'unguenti, con monile e gemme, la fìnse per Maddallena »). Quando si vede tanta semplicità di « lettura » dell'opera d'arte, e la sua immediatezza, si pensa con sgomento alle astruse interpretazioni della critica contemporanea che, tirata fuori la bacchetta magica offerta da Freud e seguaci, riesce a vedere un sacco di cose e, tanto per restare in argomento, s'interessa di Caravaggio quale invertito (nessuno se n'era mai accorto prima, neppure il Baglione, che è tutto dire). Il testo delle « Vite » è preceduto da un saggio del Previtali, succoso e validissimo per una lettura « storica » d: quest'opera, fondamentale per conoscere l'arte del Seicento e l'ambiente romano dell'età barocca, ed entrare nel vivo della vexata quaestio del « manierismo » visto dalla posizione « classica » del Bellori, ugualmente contrario all'intellettualismo degli imitatori di Michelangelo e al naturalismo caravaggesco. Fanno seguito alla ottima introduzione la cronologia della vita e delle opere del Bellori, quindi una nota al testo, ripreso puntualmente dalla edizione originale del 1672, per le prime dodici vite, e quindi per le tre postume (Reni, Sacchi, Maratta) trascritto sulla base del manoscritto esistente a Parigi, Biblioteca dell'Institut Néerlandais, non autografo. Il testo è corredato di «criteri del commentario », di note utilissime, di una vasta bibliografia, di numerosi indici, tra cui, nuovo ed utile, quello dei « concetti » del Bellori. Si tratta, dunque, di un'opera per molti lati meritevole, frutto di una ricerca e di un'analisi lunghe e travagliate di cui tanto la Borea quanto il Previtali vanno ringraziati prima che elogiati. Qualche osservazione alle note: pag. 127. Il san Girolamo in adorazione della Vergine, opera del Tintoretto, incisa nel 1588 da Agostino Caracci, fu dipinta per.la Scuola di San Fantin, non per la chiesa omonima di Venezia, come erroneamente asserisce il Bellori. Il dipinto si trova tuttora nella sua sede (oggi Ateneo Veneto), non come ivi si dice nelle Gallerie dell'Accademia, dove in effetti è rimasto depositato a lungo, dal 1913 al 1973 (si veda in proposito il Catalogo delle opere dell'Ateneo Veneto, 1973), a pag. 204 (Vita di Federico Barocci) si parla di « Rocca Contrada », come località dove si trovava un Crocifisso dell'artista, oggi introvabile. Sarà bene precisare che detta località dal 1816 ha cambiato nome: si tratta di Arcevia, in provincia di Ancona. Nella vita del Caravaggio (pag. 212, n. 6) parlando di Giorgione vi si dice morto circa il 1510. Giorgione non è morto circa, bensì nel 1510, anzi tra la fine di settembre e i primi di ottobre di quell'anno, come si può ricavare dallo scàmbio di lettere tra Isabella d'Este e Taddeo Albano, esistenti nell'archivio di Stato di Mantova. Vi sono così poche notizie certe sull'artista, che quelle buone vanno tenute ben chiare! Si potrebbe continuare in questa caccia agli errori: quasi un raro divertimento, in un'opera esemplare, ricca di notìzie e di dati nella quale le piccole lacune sono una riprova delle difficoltà incontrate in mezzo ad un materiale di studio immenso, dal '600 ad oggi. Pietro Zampetti

Luoghi citati: Ancona, Arcevia, Mantova, Parigi, Torino, Venezia