Col cuore ferito
Col cuore ferito Col cuore ferito Lajolo, guarito da un infarto, narra ricordi e paure Davide Lajolo VEDER L'ERBA DALLA PARTE DELLE RADICI Rizzoli, Milano 156 pagine, 4500 lire. MENTRE legge «un articolo di Pasolini» che « lo stuzzica come il peperoncino » usato a dar « la giusta grinta » agli spaghetti con aglio e olio », il protagonista di questo racconto è colto da infarto. Entra all'improvviso nel « pozzo buio », sui cui margini lieta si svolge la vita: ed è subito coinvolto da un'umanissima vicenda di « orgoglio » e di « paura », che sfocia dopo una lotta dura in una « grande pietà di sé ». Lajolo racconta in prima persona la sua drammatica esperienza di qualche anno fa: ma il limite autobiografico nulla toglie all'incisività del racconto, perché forse mai — come in questa straordinaria occasione — lo scrittore diventa davvero « personaggio » e l'ottica del narrare di sé si fa « obbiettiva ». « Ormai vivevo più nel son¬ no e nei sogni che nella luce della realtà », dirà con significativa ripetitività Lajolo: il contatto con la morte estrania, rende visibile l'« altro » che ciascuno porta in sé, in un accanito e affannato tentativo di integrale riconoscimento. Veder l'erba dalla parte delle radici significa forse proprio questo: più di un esame di coscienza, più di una resa dei conti. Significa aver « pietà » di sé appunto, « pietà » per il mondo: riconoscere a sé ed al mondo il diritto di discutersi e di dubitare, per ritrovarsi e accettarsi integralmente. La vicenda dei ricordi (gli incontri con la morte, nel passato, dalla guerra in Spagna e in Grecia, agli anni della Resistenza), l'ossessione dei « perché » (quelli della superficiale accettazione del fascismo, ma anche quelli della più matura accettazione del marxismo), il ritorno ai luoghi e agli incontri della propria vita, hanno questo punto di arrivo: di «pietà», più che di giudizio. I viaggi ed i vagabondag¬ gi del proprio passato, gli incontri e le parole di quel passato si illuminano ora in quell'ottica: e vale di più un attimo di tenerezza, in un colloquio con Pavese, oppure la sensazione di «solarità » di un soriso di Cariò Levi, che il tanto ideologizzare o far filosofia. Cosi Mao, discusso politicamente, rimane indimenticabile, in queste pagine (come nella fantasia di Lajoloj per quel particolare delle « calze di lana rossa » che cadono « sulle scarpe »: « come mio padre, come i contadini del mio paese ». Appunto il « paese », il ricordo del « padre contadino » rimangono il punto d'arrivo ideale del lungo itinerario di Lajolo: come simbolo di un'adesione istintiva alla vita, prima ancora dei « perché » e dei « carne ». E quel « vento leggero delle ali della colomba », che protegge il protagonista di queste pagine, negli attimi di smarrimento e di abbandono, è questo istinto sapiente di vita, questa gioia antica d'amore. Giorgio De Rienzo
Persone citate: Davide Lajolo, Giorgio De Rienzo, Lajolo, Mao, Pasolini, Pavese, Rizzoli
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