Orwell, eroe della ragione
Orwell, eroe della ragione Un avventuroso itinerario, romantico e umanistico Orwell, eroe della ragione George Orwell TRA SDEGNO E PASSIONE Rizzoli, 448 pagine, 9000 lire. PAGINE autobiografiche di George Orwell, ordinate, tradotte e presentate con partecipe intelligenza da Enzo Giachino: articoli di giornale, lettere, saggi. Un libro di grande fascino. Non è facile trovare in uno scrittore del 900 altrettanta asprezza morale, e bisogno di verità quanta se ne trova in Orwell. Quell'asprezza, un sentimento di acuta insoddisfazione verso il presente, nacque in lui durante i primi anni di scuola passati in collegio: la sperequazione sociale dell'Inghilterra agli inizi del secolo, le vistose differenze di classe, l'atteggiamento punitivo verso i meno abbienti anche da parte di chi aveva pochissimo, la divaricazione fra puritanesimo e snobismo così evidente nei metodi educativi, segnarono il piccolo Eric Arthur Blair indelebilmente, ne fecero uno sradicato di particolare natura. Blair (il futuro Orwell) soffrì una ferita per la quale in un primo tempo ebbe a rifiutarsi totalmente alla ritualità dell'esistenza borghese. Partì per la Birmania, ufficiale di polizia dell'impero. Per censo sapeva di non poter chiedere alla vita altro che scarne, mediocri soddisfazioni: egli umiliava in sé il piccolo borghese; era riuscito a studiare a Eton, ma aveva avuto per compagni di giochi, nell'infanzia, i figli d'un proletariato snervato e sfiduciato. L'esperienza drammatica dei « giorni birmani » (ne nacque poi un romanzo efficacissimo), l'esperienza cioè di cosa fosse in tutta ferocia l'imperialismo coloniale, lo spinse a un nuovo rifiuto e a un bisogno di spietata, severa espiazione. Blair torna in patria, si dimette dalla polizia; la sua salute malferma si aggrava; sarà malato per tutta la vita di tubercolosi fino a morirne: ciononostante vive un'esistenza vagabonda, fra bande di ladruncoli, ospizi di povertà, corsie d'ospedale. Sono gli anni compresi fra il '20 e il "50: la crisi economica che scuote America e Europa viene vissuta dal futuro romanziere de La fattoria degli animali in uno stato di volontaria degradazione. Vive fra i poveri per conoscerne le condizioni di vita, per scrivere inchieste, ma an¬ che per confondersi con essi. Si dà alla letteratura, e il successo è avarissimo con lui. Questa nuova esperienza lo porta a riflettere sulla situazione politica del momento. Socialismo e fascismo si combattono sulla scena europea, il loro contrasto ha un significato decisivo; il capitalismo liberale è entrato in agonia, ma muore male, muore preparando stragi, lutti, guerra micidiali. Giornalista in qualche modo affermato Orwell parte per la guerra di Spagna, si arruola nelle brigate internazionali, vuole combattere il fascismo di Franco. La sua adesione agli ideali repubblicani e socialisti non è un'adesione segnata da demagogia. Lo scrittore vede nitidi i limiti snobistici che condannarono buona parte dell'intelligenza di sinistra alla paralisi e all'enfasi (ne scrisse nel suo capolavoro, Omaggio alla Catalogna): rischia, polemizzando, che gli si muovano accuse atroci. Ma quel suo « venire dal basso », dai dormitori pubblici della periferia londinese, lo apre a una freschezza di linguaggio e a una asciuttezza intellettuale che pochi conobbero. Orwell vide giusto e la piaga dello stalinismo e la piaga del nazismo. Sulle stesse posizioni restò oltre il fallimento della rivoluzione spagnola: non si fece scrupolo di addebitare la parte che le competeva alla cecità ideologica del comunismo sovietico. Durante la guerra antinazista continuò a polemizzare contro ogni tipo di insinuante disfattismo (comprese benissimo che il pacifismo rischiava di trasformarsi in un'arma nelle mani di Hitler), polemizzò contro tutti coloro che suggestionati da parole d'ordine generiche e ricevute non si rendevano conto del precipizio in cui rovinava l'intero mondo .occidentale. Fra tanti contrasti, l'accanimento razionalista di Orwell si fa via via più tagliente, più corrosivo. Elemento scatenante di così serrata aggressività intellettuale era stato il patto russo-tedesco del '59, un colpo di grazia alle idealità libertarie. Orwell morì dunque di tubercolosi nel 1950, a quarantasei anni. Particolari riuscite letterarie a parte, è forse la vicenda esistenziale dello scrittore, così come risulta dal suo autobiografismo calcolato e insieme involontario, che oggi colpisce: la simpatia umana che trasmette, il rovello caparbio della verità, un dolore che si rifiuta a qualunque consolazione facile, la certezza che il vaglio d'ella ragione affranca l'uomo da - qualsiasi resa. Orwell, un anarchico? Certamente sì. il suo bisogno per una libertà senza aggettivi, il suo antistalinismo e il suo amore per un istintivo socialismo ne fanno una sorta di eroe romantico e religioso (egli sentì di lottare come l'angelo contro il male che è ingiustizia). D'altra parte tutto ciò rende quanto mai compiuto il ritratto di un intellettuale « rivoltato », nel quale i segni di una umanistica fede non subiscono eclisse. Enzo Siciliano
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