Da Andreotti ad Andreotti di Giovanni Spadolini

Da Andreotti ad Andreotti Da Andreotti ad Andreotti De Gasperi e la de del primo dopoguerra secondo l'attuale presidente del Consiglio S': può dire tutto di Andreotti, tranne che manchi di senso dell'humour (dote rara fra gli statisti cattolici). Anche le pagine di questa sua Intervista su De Gasperi, curata da Antonio Gambino per le edizioni Laterza (180 pagine, 2000 lire) con particolare sottigliezza e con un'informazione critica esemplare, rivelano la tendenza connaturale nell'uomo a sdrammatizzare certi contrasti, a sciogliere dissensi o antitesi di fondo nella smorfia di un sorriso. Avverso alle idee generali, pragmatista e realista come pochi, con una sua vena istintiva di «giolittismo cattolico», l'attuale presidente del Consiglio non smentisce in queste pagine, per tanta parte autobiografiche, la tendenza al concretismo, venata d'ironia, che affiora dalle pagine del Pranzo di magro per il cardinale o da quelle sul ministro, il suo Pellegrino Rossi, che deve morire. Facciamo un caso. Andreotti ha sempre puntato a svalutare i motivi di conflitto, che furono tanti e così spesso segreti e sofferti, fra De Gasperi e il pontificato -pacelliano. E' una linea costante in tutte le edizioni, puntigliosamente rivedute e costantemente aggiornate, della sua sempre fondamentale biografia di De Gasperi, in edizione mondadoriana. Nella lunga intervista con Gambino, l'antico sottosegretario alla presidenza dello statista trentino, non si smentisce. L'operazione Sturzo della primavera '52 è ridotta in proporzioni assai minori, più romane e quasi più «dialettali», di quello spartiacque che fu, essenziale e comunque emblematico, fra la collaborazione cattolici-laici e il disegno di un blocco d'ordine, in cui si sarebbe dissolta la stessa immagine storica della democrazia cristiana. L'«ingenuità» di Sturzo è sottolineata assai più della sua forzata obbedienza al Vaticano, lo stesso Vaticano dove il sacerdote esule e perseguitato non potè mai rimettere piede. L'esistenza di un partito laico, come quello repubblicano, presente nel settimo governo bicolore De Gasperi e deciso a provocare la crisi piuttosto che avallare l'alleanza dc-destre sui colli capitolini non è neanche ricordata incidentalmente. La sofferenza che De Gasperi provò per la mancata udienza di Pio XII nel giugno '52 è volutamente attutita e smorzata. E si racconta un episodio — ecco il maestro dell'ironia — che illumina più di mille analisi sociologiche (una delle caratteristiche positive di Andreotti memorialista e cronista e ricercatore di storia è la sua assoluta avversione alla sociologia, e ai sociologismi). Eccolo. Testimonia Andreotti che De Gasperi, assai più che per quella mancata udienza, fu amareggiato e rattristato per il mancato invio di un qualsiasi messaggio au- gurale del Vaticano per il suo settantesimo compleanno, una festa che il mondo democristiano celebrò anche con la donazione della casa di Castel Gandolfo. «Quando io andai a informarmi sul perché del mancato messaggio, mi fu risposto che il Vaticano mandava gli auguri soltanto per le scadenze venticinquennali, cioè cinquanta, settantacinque anni, ma non in altri casi». Non una battuta di più, ma tanto da farci scorgere, dietro la pagina scritta, il sorriso caustico che conosce bene chi ha condiviso con Andreotti responsabilità politiche, chi è stato come me suo collega di governo. La stessa linea di cautela e di riserbo, sul tema Chiesa-Stato, ritorna nelle valutazioni relative al periodo '22-'25, quello su cui Andreotti esercita doti di storico e non può avvalersi dell'esperienza del testimone o del protagonista. Anche in quelle pagine, che -sono poche ma ricche di spunti rivelatori, Andreotti tende a «ridimensionare» l'importanza di quel rovesciamento di posizioni che si ebbe, in tema di rapporti con l'avanzante fascismo, nel trapasso della sede papale da Benedetto XV a Pio XI, all'inizio del '22. Il disegno conciliatorista di largo respiro, che Gasparri portò avanti fin dal '23, è smentito; la stessa sofferta opposizione di De Gasperi al Concordato è sfumata o attenuata. E la destituzione di Sturzo, la sua immolazione dalla segreteria del partito popolare, spiegata con un distacco che rende quella storia, vicina div decenni, quasi lontana di secoli. Dove Andreotti apporta contributi ulteriori alla immagine degasperiana già offerta negli scritti precedenti, è nei tre capitoli centrali del volume, quelli relativi al periodo 1942-1948: dalla prima embrionale ricostituzione del partito popolare, in casa di «Peppino Spataro». nella ricorrenza di San Giuseppe, al trionfo elettorale del 18 apri- le. E si spiega. Gambino ha scritto un'opera importante, e ricca di testimonianze inedite e suggestive, sugli anni '45-'48. L'intervistatore è quindi, su questi anni, più agguerrito, più scavante. Formula ipotesi, avanza suggestioni, respinge o confuta le risposte. Talvolta le domande di Gambino superano, anche nelle proporzioni, i chiarimenti o le repliche di Andreotti. La statura di De Gasperi appare in tutta la sua grandezza nello scorcio relativo alla crisi, decisiva, del maggio 1947: quella che si concluse con l'allontanamento dei comunisti del governo, con la creazione del monocolore fondato sul trapezio delle astensioni qualunquiste. Gran parte della de voleva passare la mano. Sturzo era favorevole a non riprendere la presidenza del Consiglio; Gronchi anche. Il vecchio Tupini trattava per conto suo il ministero dell'Interno con Nitti, incaricato della fase-ponte. «De Gasperi in quel momento — è Andreotti che parla — era quasi solo in questa convinzione 9 ripeteva con molta fermezza: se molliamo il governo, significa che ci togliamo definitivamente dalla storia». De Gasperi inserì definitivamente i cattolici democratici nella storia d'Italia: molto più di Sturzo (verso il quale conservava un fondo di diffidenza che univa il cattolico De Gasperi al laico Giolitti, entrambi insofferenti di un sacerdote capo di partito). E a testimoniare la forza dell'uomo, la sua risolutezza, bastò la vicenda dell'elezione del '48 per la presidenza della Repubblica. Andreotti conferma ehe De Gasperi non volle De Nicola (il" quale aveva già trasferito il suo letto al Quirinale, tanto era sicuro di restarvi). Ai «no» protocollari e formali di De Nicola si piegò subito; anzi ne prese atto immediatamente. E aprì la via a Einaudi, dopo l'obbligata rinuncia di Sforza. Un altro episodio, per finire. Andreotti andava quasi tutti i giorni da De Nicola. E spesso il capo provvisorio dello Stato gli parlava della successione, indicando infallibilmente Sforza. «Sforza qua, Sforza là»: «Per Sforza, aggiunse, tengo qua un diario, che gli sarà utile quando gli avrò lasciato il posto». «La cosa bella — lasciamo la parola a Andreotti — è che, quando si andò ad aprire questo quaderno, si vide che non c'era scritta una sola riga, era assolutamente bianco». Giovanni Spadolini z a o

Luoghi citati: Castel Gandolfo, Italia, Laterza, San Giuseppe