MALANNI D'ITALIA di Alberto Ronchey

MALANNI D'ITALIA L'analisi di Ronchey MALANNI D'ITALIA UNA citazione di Borges, suggestiva e struggente, posta in fronte ad Accadde in Italia (1968-1977) di Alberto Ronchey (Garzanti, Milano, 256 pagine, 4500 lire), ricorda le « crociate di bambini » inermi, che ai primi del Duecento mossero dalla Germania e dalla Francia per conquistare la Terrasanta: « Erano persuasi di riuscire a traversare i mari a piedi asciutti ». Velleitarismo illuso, presunzione di poter ottenere vantaggi e progresso senza contropartita, sono la prima diagnosi della malattia italiana, cronica ormai e forse disperala, che Ronchey ci offre in questo suo libro con lucidità impietosa. Certe pagine sono così dense, icastiche, taglienti, da apparire quasi referti post mortem sul tavolo dell'autopsia, inventari dei relitti di un disastro. Anche se, uno per uno, si tratta di malanni noti, dal malgoverno al sottogoverno, dall'abbandono in massa delle campagne alle convulsioni dell'urbanesimo selvaggio, dall'irrisolto problema del Sud (uno «scheletro nell'armadio» del Paese) all'indulgenza verso il parassitismo improduttivo, dalla permissività concessa agli immaturi fino al consumismo esasperato dai mass media, quello che mozza il fiato è la sommatoria globale, il risultato ultimo. Ronchey parla di una inefficienza crescente della società disorganizzata, cioè della peggior forma — nel delicatissimo con. gegno tecnologico del mondo moderno — eli « alienazione collettiva ». La stessa lotta politica perde di significato quando la dissoluzione reale del potere non offre più nulla da salvare ai conservatori e nulla da conquistare ai rivoluzionari. Il legislativo legifera a vuoto a a casaccio, mentre la frattura fra il potere istituzionale (Parlamento, ordini, magistratirre) e il potere assembleare di base non si risolve nel confronto dialettico, bensì in un semplice stallo, che blocca tutte le decisioni, visto che nessuno è disposto a subirne gli oneri, a pagarne il prezzo. Al di là del bla-bla dei vaneggianti (e delle scariche' di mitra dei neuro-deliri) sta « l'ammutinamento di tutti contro tutti », il particolarismo irriducibile degli egoismi corporativi, la paralisi finale di una società in cui « nessuno comanda e nessuno obbedisce ». In Italia c'è ancora molta gente che serba il senso del dovere, altri che per amore o per forza svolgono, bene o male, il loro lavoro; ma sempre più radi sembrano coloro che accettano di recitare la loro parte, di restare coerenti al loro posto. Labili soprattutto gli intellettuali, sempre inclini a parlare di dignità e di libertà della cultura, ma indifesi e perciò pavidi, sempre fluttuanti nel cercare riparo all'ombra del vecchio o del nuovo Principe. Dal disastro dell'istruzione di massa erompe l'« utopismo esistenziale dei giovani », la mobilitazione dei sotto-adulti rozzamente ideologizzati nelle aree di parcheggio universitario, senza altro sbocco che nel nichilismo o nel fascismo (tipicamente fascista la «aggressività lessicale sommata alla debolezza materiale »). La rivoluzione delle aspettative crescenti, la legittima spinta al benessere degli emarginati e degli esclusi, ha imboccato i facili collettori del fideismo ideologico anziché gli ardui sentieri della « seria disciplina civile»: i partiti di massa hanno speculato a lungo sulla forza aggregante, in termini ili proselitismo, che si sprigiona da'udogmi sempli¬ ficatori, banali grimaldelli che sembrano aprire tutte le porte. Il risultato è che ormai i più, soprattutto i giovani, combattono contro « mostri e demoni », pervasi da mitologie riduttive e favolose, ricusando perfino la lezione marxiana della «realtà oggettiva». L'unico successo di questo volontarismo impotente è l'«eclisse della cultura critica », il discredito della ragione, che altro non significa se non la assuefazione al disastro. Nulla sembra arrestare la spirale autodistruttiva della « democrazia inflazionista », che si precipita ad occhi chiusi, dal miracolo economico, verso un esito di tipo uruguagio-cSenò. Proposito coraggioso di questo libro è dunque « una strenua e spregiudicata divulgazione, benché ostica e Impopolare, sui termini oggettivi della crisi nazionale». Ronchey lo adempie con fermo realismo, sempre desto a cogliere le strette interconnessioni fra politica ed economia, fra i problemi interni italiani e lo scacchiere internazionale,' sul quale sembriamo a tratti guardati dagli stranieri come uncC pedina reietta. L'analisi della rabbia giovanile, dell'estremismo settario, dell'eclisse di potere in tutte le strutture (compreso quello imprenditoriale nelle fabbriche) si distende in una dissezione impietosa delle forze politiche in lotta, con tutte le loro ambiguità, reticenze e contraddizioni. I profili di alcuni protagonisti sono di una bravura, anche stilistica, da antologia. Ronchey non comincia da oggi il suo discorso improntato ad un illuminismo demitizzante e anti-retorico: questo è il suo settimo libro. Ma forse mai come in quest'ultimo la sua diretta esperienza di vita in Russia e negli Siati Uniti, la cultura economica di prima mano, una schietta passione civile, l'informazione aggiornata sul dibattito politico-sociale dell'intero mondo contemporaneo, si sono addensate in una sintesi così succinta eppure analitica, in uno stile così asciutto, incisivo, fitto di definizioni lapidarie. Tutti coloro che vivono con allarme ed angoscia l'odierna tragedia italiana possono trovare, qui una lucida mappa dei sismi e delle alluvioni di casa nostra. In questa età di innumerevoli specializzazioni professionali e dottrinali, ma di sostanziale dissociazione e parcellizzazione del sapere, vediamo così assurgere a nuova dignità la figura del giornalista — del grande giornalista spassionato e colto — come il solo ancora capace di porsi, nell'affannoso tumulto del presente, quale interprete unitario del nostro tempo. Luigi Firpo

Persone citate: Borges, Garzanti, Luigi Firpo, Ronchey

Luoghi citati: Francia, Germania, Italia, Milano, Russia, Siati Uniti