INNAMORATEVENE ! di Giorgio Manganelli

INNAMORATEVENE ! INNAMORATEVENE ! Sì avete fantasia di innamorarvi di un grande scrittore, uno scrittore di cui già si parla, ma ancora in modi non corali, questo è il momento di invaghirsi di Alberto Savinio. Tra due anni, Savinio avrà ripreso il posto che gli spetta, tra i pochissimi monarchi di questo secolo letterario italiano. Savinio è morto venticinque anni fa: è stata necessaria l'usura di una generazione perché ritornasse tra noi, a nostra vergogna, uno degli scrittori più avventurosi e sottili, luminosi e enigmatici delle nostre lettere. Vi prego, innamoratevi di Savinio, quest'uomo cui non è più possibile conferire premi, né onorare di gemellaggi e commendatizie. Chiediamo scusa ad un maestro, siamo stati per anni dappoco e distratti. Ma i maestri sono troppo umbratili e nullasimili, per esigere o 'accettare scuse. Anni fa rischiò di realizzarsi un progetto che sarebbe stato sommamente felice: la pubblicazione organica, una «uniform cdition». presso un unico editore, di tutti gli scritti di Savinio. La cosa non si concluse, ed ora i libri di Savinio hanno preso a uscire, un poco a singhiozzo, dall'uno o dall'altro editore. Giungono ora dalla Sicilia questi Souvenirs di Alberto Savinio (Sellerio, Palermo, pp. 270, L. 3500): prose di giornale, in gran parte degli Anni Trenta, talune dopo il quaranta. A Savinio era impossibile non essere elegante, intelligente, lieve e drammatico: e non v'è prosa di queste, che si potrebbero supporre minori, che non sia un esempio di quella sua strana dolcezza, tra levantina e arcaica. Gran parte di queste prose Savinio scrisse a Parigi, e parlano di Parigi, e di parigini mirabili e tragici, furbi e destinati: Apollinaire, di morte allegorica e nascita occulta. • Nato in Grecia — una Grecia untuosa, sacra a divinità nobili e servili, sfatte e domestiche come zie idiote, e altrettanto invadenti —, vissuto in Germania, in Francia, in Italia, Savinio riesce ad essere, assurdamente, un esule e un indigeno. Dovunque sia, viene da altro luogo; ma non è cosmopolita, come non lo era Ulisse. E' cittadino sopravvissuto alla rovina di un impero: non ha patria, ma nessuno può togliergli la coscienza che ha una « casa » una dimora di forma bizzarra e bizzosa, messa assieme di sgretolati sassi greci, capre arcadiche — demonica e avventurosa era l'Arcadia, nient'affatto dolciàta —, mattoni etruschi, legnami e fantasmi di Francia: Landru, Mata Hari, Max Jacob. Surrealista e classico, Savinio s'è portato dietro dalla sua arcaica infanzia ateniese l'amore educato e rispettoso per i mostri, il sacro divertimento delle metamorfosi, la leggerezza che detesta la futilità. Le pagine su Max Jacob, ebreo morto settantenne in un campo dì concentramento tedesco, sono un dolcissimo lamento per l'uccisione di un mostro: un pianto nel centro del labirinto insanguinato: la notturna torre Eiffel che dorme « in piedi come i cavalli da corsa » è metamorfosi in atto, anche se a Parigi « non vale »; e in un ritratto di un funzionario del ministero degli Esteri, lo scrittore, l'antico, da questo sopra tutto è trafitto, dalla « incommensurabile tristezza della futilità ». Scrittore avventuroso, magico e terrestre («r Mi piace il viaggio degli Argonatuti perché era un viaggio d'affari »), Savinio contempla sempre un qualche animale, volatile, cerbiatto, in cui qualcuno s'è trasformato: un animale decrepito, morto, disfatto. Giorgio Manganelli '