Le strategie della tensione

Le strategie della tensione I CONVEGNI DI TL: PARLANO GLI AUTORI DEGLI ULTIM Le strategie della tensione -Jpj ESISTITA una « strage di Stalo »? Esiste una «strale tegia deUa tensione »? Le due formule sono entrate nel linguaggio giornalistico, hanno dato il titolo a vari libri. E oggi il problema ridiventa di attualità, con la riapertura del processo di Catanzaro, e le ultime bombe, per fortuna inesplose, sul treno Napoli-Brennero. Per discuterne, Tuttolibri ha promosso un convegno, con lo storico Nicola Matteucci, dell'Università di Bologna, autore, fra l'altro, del « Dizionario di politica », con Norberto Bobbio (Utet. 1976) e gli autori degli ultimi libri sul tema: Giorgio Santerini, del « Corriere della Sera » (Strage a Brescia, potere a Roma, con Achille Lega, editore Mazzotta) e Ibio Paolucci delT« Unità» (Il processo infame, ed. Feltrinelli). Ha condotto l'incontro -Carlo Casalegno, vice direttore de « La Stampa ». CASALEGNO — I falliti attentati dell'altra domenica hanno ridato particolare attualità al problema della strategia della tensione, o almeno al problema di quella catena di attività terroristica che ormai sta per entrare nel decimo anno. Vorrei porre una prima domanda preliminare: strategia della tensione è soltanto un'immagine efficace per riassumere mi problema oppure se ne può veramente parlare in modo più tecnico, più specifico? Questi episodi vanno ricondotti a un disegno, qualunque sia, a una continuità unitaria. da chiunque sia diretta, o sono una serie di operazioni distinte e diverse, che provocano indubbiamente tensione senza una vera e propria strategia? PAOLUCCI — Strategia della tensione è un ternime che in un primo tempo, dieci anni fa, poteva sembrare una formula fantasiosa. Oggi, che conosciamo molti documenti processuali non lo è più. Che ci sia stato un disegno, che ci sia stata una strategia con uomini precisi, generali, ammiragli e anche personalità politiche non è più una illazione giornalistica come poteva apparire sette o otto anni fa; oggi queste cose sono dimostrate e sono provate in sede processuale. Abbiamo le sentenze di rinvio a giu¬ dizio di parecchi magistrati tra cui quelli che si sono interessati alla tragedia di piazza Fontana. SANTERINI — Io credo che manchi, in quella che viene definita la strategia della tensione, un concetto di continuità; nonostante molti dati processuali ini dichino che ci sono stati evidenti fenomeni golpisti in questi ultimi anni. C'è una tensione che dura evidentemente ricercata, anche evidentemente costruita e voluta. Ma una strategia organica non mi pare che esista in modo del tutto chiaro. E forse è giusto essere più attenti alla tensione che non alla strategia. Il momento più importante è la provocazione, che non ha bisogno di disegno organico per realizzarsi. Si realizza in sè, nel momento in cui si manifesta, e provoca una crisi nelle istituzioni. Le rende vuote, determina politicamente una disaffezione nell'opinione pubblica verso le istituzioni stesse. Io credo che questo sia l'intento, il vero peso della provocazione politica. MATTEUCCI — Io ritengo che la strategia della tensione sia un'immagine giornalistica molto bella e molto efficace: ma è una frase asemantica, cioè non riesce a spiegare tutta una serie di fatti che sono accaduti nel nostro Paese. Trovo questa immagine estremamente pericolosa. Accetto quanto detto da Santerini che in fondo non esiste una strategia della tensione ma- ne esistono tante e diverse. E il mio mestiere di storico mi porta sempre, di fronte a grandi fatti e a grandi fenomeni, a cercare di scomporli nelle componenti. Io direi che dobbiamo partire da una constatazione: "l'estrema permissività della società italiana. E anche la perdita di peso delle nostre istituzioni, per cui si è verificato quel fenomeno che viene impropriamente nominato dei « corpi separati dello Stato » e io direi, invece, corpi separati « dallo » Stato; mancando l'autorità dello Stato, certi corpi agiscono per iniziativa autonoma. Dai risultati processuali pare che alcuni tentativi di sovvertire le nostre istituzioni ci siano stati; però stiamo anche attenti o accettiamo la frase di Machiavelli che dice: « Le guerre non ci sono là dove gli uomini non si ammazzano ». E i complotti dello Stato non ci sono fin¬ ché la gente non comincia a sparare. Quindi cerchiamo di misurare il peso di questi complotti. Io vorrei dire di più: insistendo tanto sulla strategia della tensione, si ha una concezione ''.ella storia di carattere «autoritario», mentre io ho una concezione della sto ria di carattere democratico. Strategia della tensione vuol dire che la storia la fanno pochi strateghi e gli altri sono semplicemente passivi. Ma la storia è la risultante delle azioni dei singoli individui. In una società permissiva, in una società dove le istituzioni non hanno peso, certa gruppi trovano lo spazio di agire per portare a un ribaltamento delle nostre istituzioni. CASALEGNO — Uscendo dallo slogan giornalistico, pare sia logico adottare una terminologia più precisa: e parlare semmai di strategie della tensione, in quanto ricondurre tutto a una matrice unica e a un disegno unico, mi pare estremamente arrischiato e fantasioso. E' d'accordo Paolucci? PAOLUCCI — Io sono un cronista che ha seguito queste vicende, un cronista che ha sempre teso ad ancorare la sua informazione ai fatti processuali senza troppa fantasia. Il giudice istruttore Gianfranco Migliaccio, di Catanzaro, che ha rinviato a giudizio Guido Giannettini, e che ha ereditato le inchieste che prima erano state condotte a Treviso e poi a Milano, dice nella sua sentenza che gli attentatori del 1969 erano rappresentati in seno al Sid. E' una affermazione di cui bisogna tener conto. O il giudice istruttore di Catanzaro è uno scapestrato, un matto, oppure bisogna tenere conto di questa che è un'affermazione contenuta in un documentò processuale, non in un articolo di una rivista o di un rotocalco. Lo stesso giudice istruttore ha rinviato a giudizio per favoreggiamento, nei confronti di imputati coinvolti nella strage di piazza Fontana, il generale Maletti che era dirigente dell'ufficio D, e cioè a dire dell'ufficio più importante dèi Sid, e il capitano La Bruna per favoreggiamento nei confronti di imputati coinvolti nella strage di piazza Fontana. A Trento noi abbiamo un colonnello del Sid, Angelo Pignatelli, che è stato arrestato nei giorni scorsi per favoreggiamento; con lui è stato arrestato un colonnello dei carabinieri, Santoro, e assieme a questi due è stato arrestato un vicequestore che era titolare ó^H'ufBcio po. litico della questura di Trento quando vi furono gli attentati terroristici del 1971, che per fortuna non provocarono morti. .L'inchiesta è ancora in corso per questi fatti. Il giudice istruttore di Padova, Gio vanni Tamburino, che istruiva l'inchiesta sulla Rosa dei venti, arrestò il capo del Sid, il generale di corpo d'armata Vito Miceli. E questi sono dei fatti. Sì, ci troveremo di fronte a strategie, ma io starei anche attento. Sono d'accordo con Matteucci su tutte le cautele che ci ha messo di fronte; per temperamento anch'io sono cauto. Ma non disperdiamo neanche trop* po la nostra analisi. C'è una giustizia, c'è una magistratura che ha indicato in alcuni episodi e in alcuni personaggi dei responsabili; ebbene è importante che questi personaggi paghino. CASALEGNO — Questa risposta pone una serie di problemi che meriterà esaminare. I fatti processuali senza dubbio sono estremamente importanti. Ma una sentenza di rinvio a giudi, zio non è ancora una sentenza di condanna. Occorsio aveva pure rinviato a giudizio Valpreda per esempio; si potrebbe dire che Occorsio vale Migliaccio in un certo modo. Quanto alle responsabilità di alti ufficiali, da Maletti a Miceli, a Santoro, anche questi sono dei problemi tutti aperti e importanti. Favoreggiamento per quale scopo? E poi direi che la cosiddetta strategia o le cosiddette strategie della tensione non possono essere ricondotte soltanto alla strage della Banca dell'Agricoltura o dell'Italicus. C'è tutta una catena molto lunga di atti di violenza, anche diversi, non possiamo guardare soltanto a certe bombe, ma dobbiavedere, anche il problema delle Brigate rosse e dei Nap. MATTEUCCI — Io sono disposto ad accettare molte cose dette da Paolucci, che con il suo scrupolo di cronista ha messo in luce alcune responsabilità ancora processuali di Maletti e Mi¬ celi E sii vorrei fare una domanda: Maletti e Miceli non erano amici; erano nemici fra di loro; e lei crede che siano soltanto Maletti e Miceli, cioè questi alti responsabili dei nostri servizi segreti, che abbiano tentato un colpo di Stato, o che invece nei disaccordi fra Maletti e Miceli si nasconda quello che è il vero marcio a mio avviso dello Stato, l'ingerenza dei partiti nella nostra pubblica amministrazione? Il problema si limita soltanto ai generali che tralignano, o questi generali tralignano perché in fondo hanno delle protezioni più in alto loco? Tutta questa attività di servizi segr*eti è soltanto un fenomeno locale italiano o ci sono dei fattori internazionali per cui l'Italia è un campo aperto per tutti i servizi segreti stranieri? PAOLUCCI — Sull'amicizia o inimicizia fra Vito Miceli e Maletti si possono fare diverse considerazioni. Non interessa molto. La mia opinione personale è che questa inimicizia sia venuta in un certo periodo di tempo e che non preesistesse prima, ma si tratta soltanto di opinioni. Invece alla domanda se hanno agito per conto proprio risponderei proprio di no; anzi, hanno agito con avalli a livello politico e anche questo è processualmente dimostrato. Il giudice Migliaccio, che ha rinviato a giudizio Giannettini, e per cui è in corso il processo a Catanzaro, parla esplicitamente di queste cose nella sua sentenza. Non arriva a dare uno sbocco giudiziario alle sue affermazioni, ma parla chiaramente di avalli; il favoreggiamento di Giannettini, ad esempio. Quando venne fuori questo personaggio il giudice istruttore di Milano, Gerardo D'Ambrosio, chiese insistentemente e ripetutamente al Sid se Giannettini era o non era un informatore del Sid. A questa domanda non venne data una risposta, verme eccepito il segreto politico militare; ma venne eccepito con l'avallo dell'allora ministro della Difesa e del¬ la presidenza del Censii:: io dei ministri. Di una riunione ministeriale, che si concluse con un rifiuto a rispondere al magistrale parlò per primo l'onorevole Andreotti in un'intervista che concesse nel 1574 al settimanale «Il Mondo:) Matteucci si chiede se non vi fossero anche intrecci, connivenze, ramificazioni, contatti, con altri Paesi; Nel rapporto Picche si parla di una somma piuttosto alta, mi pare 600 milioni, dati dall'ambascia tore americano Green a Vito Miceli e Miceli è quello che fu arrestato per aver partecipato alle trame e versive dal giudice istrutte re di Padova, Giovanni Tamburino. Certo l'Italia è un Paese che interessa. Lei dice che non ci sono stati morti. Non ci sono stati morti anche perché ia strategia della tensione è stata ideata con scopi molto precisi; questa strategia si inserisce in un ampio scontro di classe, ed è stata messa in atto per arrestare l'avanzata dei lavoratori e ha trovato una reazione. Non è che il popolo, non è che i cittadini e^ le forze democratiche siano rimaste inerti: hanno reagito con una mobilitazione molto ampia, con manifestazioni fatte ua centinaia di migliaia di persone. SANTERINI — Sarebbe un errore ritenere che i tecnici, di cui parlava il professor Matteucci prima, siano vittime in qualche modo della partitocrazia. Io penso invece che vi sia una azione di osmosi fra questi tecnici dei servizi, il mondo politico e viceversa. Questi personaggi che oggi sono coinvolti negli atti processuali, questi protagonisti dei servisi o di altri corpi più o meno separati che hanno avuto rapporti stretti con il mondo politico non sono vittime o oggetti, burattini di una strategia che sta alle loro spalle. C'è un fenomeno di reciproci rapporti in parte chiariti, molto poco chiariti. E c'è un'altra questione. L'obiettivo di questa strategia non è soltanto una provocazione concreta, rapida nel tempo, bensì un obiettivo politico più importante: uno svuotamento sempre più profondo, non solo delle istituzioni, ma degli stessi cosiddetti cor \ pi separati, sicché questo sistema politico si indebc lisca fino al punto da essere inefficiente, come oggi vediamo. Non importa che ci sia un golpe nel senso tecnico del termine, importa forse che uno stato.