Per gli arabi di Palestina di Igor Man

Per gli arabi di Palestina Tre documenti dalla parte del popolo e dei guerriglieri palestinesi Per gli arabi di Palestina T ERRA dimenticata e sottosviluppata, la Palestina diventa una entità amministratile solo nel 1920, con la divisione delle spoglie dell'impero ottomano, quando viene posta sotto mandato britannico. Furono gli inglesi e i francesi, che con l'accordo Sykes-Picot s'erano divisi il Vicino Oriente, a fare della Palestina un'entità territoriale. Ma gli abitanti arabi rifiutarono l'istituzione di un consiglio legislativo che gli avrebbe dato una sorta di statuto politico. Mentre gli ebrei impiantavano solide strutture, essi dovevano attendere fino al 1936 per costituire un « alto comitato », che riuscì ad esercitare solamente un simulacro di autorità sull'insieme della comunità. Nel 1948 i palestinesi arabi, un milione e trecentomila cóntro seicentomila ebrei, combatterono validamente appena tre mesi e, si può dire, più a titolo personale che per amor di patria, delegando ai a fratelli arabi» il compito di liberare la loro provincia. Né la guerra, né la sconfitta che provocò l'occupazione di due terzi del territorio e l'esodo di settecentomila persone, riuscirono a determinare il sentimento dell'unità palestinese. Esso nasce a partire dal momento in cui la Palestina araba si vede minacciata di estinzione. Paradossalmente, artefici di questo sentimento, scrive JeanPierre Alem, «sono l'Onu, Israele e gli Stati Uniti che han lavorato di concerto per arrivare all'unico risultato concreto realizzato in comune». Durante più di vent'anni, infatti, Israele rifiuta di considerare il famoso paragrafo 11 della risoluzione 194 dell'Onu, che dava ai rifugiati diritto alla scelta fra il ritorno e un indennizzo. Durante più di vent'anni gli Stati arabi, invece di accogliere e assorbire i profughi, li confinano in una sorta di ghetto politico rinchiudendoli nei campi di raccolta, limitandosi a generiche attestazioni di solidarietà, di fatto strumentalizzando il « problema palestinese ». « Sonò stati questi. anni, di sofferenze, di umiliazioni, mi disse nell'aprile del 1970, ad Amman, Abu Ayad, responsabile degli affari politici di Al Fatah, a forgiare una nazione. Ventidue anni di esilio e tre guerre perdute hanno temprato i palestinesi, che oggi si presentano sul proscenio internazionale con le caratteristiche di un popolo organizzato, capace di esprimere un'entità nazionale sua, affatto differente da quella dei giordani, dei libanesi, dei siriani e degli egiziani ». Il « settembre nero » del 1970 in Giordania, la strage di Tali El Zaatar, del 1976, in Libano, hanno messo a nudo contraddizioni e distrutto sogni ma non hanno alterato il valore delle parole di Abu Ayada. Nonostante l'ennesima sconfitta militare subita nel Libano, il popolo palestinese continua a riconoscersi nell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), continua a rivendicare il proprio diritto a uno Stato indipendente. Presto sapremo se la tragica lezione subita nel Libano sarà servita a suslanziare nel segno del realismo il «programma» del movimento palestinese. NelVapprossimarsi dell'ora della verità, assai-utile torna la lettura dei Testi della rivoluzione palestinese 19681976 (Bertoni, Verona, 400 pagine, 6500 lire) a cura di Bichara e Nainm Khader, un libro fresco di stampa. Si tratta di una affascinante «proposta di lettura» che avvicina direttamente il pensiero palestinese, consentendo anche ai non addetti ai lavori di coglierne le contraddizioni interne e la dialettica. E' un libro « di parte » che tuttavia consente di documentarsi sui « reietti della terra » in maniera completa e organica. Un'opera indispensabile, insomma, e di pregnante attualità. Per chi volesse saperne di più, consigliamo la lettura di Guerriglieri per la Palestina di Riad el-rayyes e Dunia Nahas (Episteme, Milano, 167 pagine, 2000 lire). I due libri si completano a vicenda anche perché il secondo elenca una serie di accurate biografie dei principali personaggi della Resistenza palestinese, da Arafat a Mohsen. Un capitolo estremamente interessante è il quarto, sui rapporti tra i commandos e gli Stati arabi. Rapporti tutt'altro che facili, sferruzzati di incomprensioni e di scontri, di subitanei ravvicinamenti. Ma codesti due libri sono già « passato ». Il « presente» è consegnato nelle pagine terribili del libro di Felicia Langer, l'avvocatessa israeliana che difende i palestinesi nei tribunali israeliani dei territori occupati. La repressione di Israele contro i palestinesi (Teti, Milano, 220 pagine. 4000 lire). Felicia Langer è una ebrea nata in Polonia. Da oltre venticinque anni vive in Israele: iscritta al p.c. israeliano e profondamente legata al suo paese, lotta con tutte le sue forze perché Israele cerchi la pace coi palestinesi. Dal 1967 ha difeso circa 2000 palestinesi. « Troppo spesso, scrive, mi trovo impotente quando qualcuno sa rivolge a me come avvocato: per i tribunali israeliani nei territori occupati non esiste legalità ». Lasciamo la responsabilità di questa grave affermazione all'autrice, una donna che afferma di aver vissuto ciò di cui parla (con passione che rasenta la violenza), non da spettatrice ma da militante. Igor Man