Quell'Italia di Arbasino di Giovanni Raboni

Quell'Italia di Arbasino Quell'Italia di Arbasino Alberto Arbasino FRATELLI D'ITALIA Einaudi, Torino. 659 pagine. 6000 lire LEGGO, a tredici anni di distanza dalla prima edizione (Feltrinelli, 1963), questa nuova stesura di «Fratelli d'Italia». L'impressione, al di là di ogni dubbio o polemica sulla faccenda delle «riscritture», è decisamente positiva. Si direbbe che il tempo, e non solo il tempo, ma anche una frase più rifinita e brillante e, forse, un'ulteriore precisazione e radicalizzazione di alcune ipotesi di struttura, abbiano giocato a favore del romanzo, promuovendolo da « interessante » a « importante » o, per essere un po' meno generici, da libro-documento degli Anni Sessanta a libro-metafora sugli Anni Sessanta. Insomma, chi aveva pensato (confesso di averlo pensato anch'io) che « Fratelli d'Italia »,. brulicante com'è di riflessioni e citazioni e ironie strettamente attuali, potesse risultare, dopo un po' di tempo, incomprensibile o addirittura illeggibile, può mettersi l'animo in pace; anche se la Roma o la Londra o la Spoleto inventariata da Arbasino non esistono più, il disegno che* ne affiora è ancora ben netto e godibile, e non escludo che possa apparire persino più chiaro di prima Che cosa sia o, meglio, a quanti livelli sia costruito e percorribile « Fratelli d'Italia » non è facile dire in breve; d'altra parte, nessuno potrebbe dirlo meglio dello stesso Arhasino, che in più d'una pagina del libro, mettendo saggiamente le mani avanti, ha provveduto a illustrarsi e spiegarsi, se non a recensirsi, da sé. Lasciamogli senz'altro la parola. «Un "viaggio in Italia" degli Anni Sessanta, cioè una lunga frenetica estate di selvagge corse individuali e collettive su e giù per la Penisola... Un'avventura a più dimensioni attraverso i più sciagurati aspetti politici e letterari, morali e sociali, delle neurosi della nostra civiltà... ». E ancora: « Spettacolare, efferato, ingordo di appropriarsi la realtà storicizzando il presente a caldo e divertente fino alla scioccaggine e costantemente sull'orlo della dissoluzione». Si potrebbe continuare, e con profitto: Arbasino — magnifico giornalista, oltretutto — non è mai a corto di aggettivi gustosi e metafore illuminanti, e meno che mai quando parla di se stesso. Ma già da queste brevi citazioni il lettore può capire su quanti registri giochi e quanta carne al fuoco abbia messo nel suo libro, che si configura insieme come romanzo-saggio (anche nel senso di saggio sul romanzo e di «romanzo del romanzo»), come romanzo-conversazione, come « satura », come opera aperta e totale, secondo un concrescere e combinarsi di modelli al tempo stesso primari e derivati, inventati e parodistici — o, forse, inventati per via e a furia di derivazioni e parodie: da Petronio e da Goethe, da Sterne e da Proust, da Musil e, perché no?, da Hemingway, quello di « Fiesta » e di « Morte nel pomeriggio... ». Un libro così, è chiaro, si giudica più dalla quantità e dall'intelligenza delle sue ambizioni che dal modo, o percentuale, in cui esse risultano «realizzate». Non per segnalare dei limiti, dunque, quanto per suggerire un tipo di lettura, una più riflessiva e fruttuosa utilizzazione del testo, annoto qui che nella « social comedy » di Arhasino la descrizione del mondo altoborghese e borghese-aristocratico è di gran lunga più completa e sottile di quella del mondo «intellettuale» e la «storicizzazione a caldo del presente» è più efficace dell'evocazione critica del passato. Un altro rilievo, questo di carattere strutturale. Avendo deciso, con una scelta evidentemente « di testa », di non assumersi in proprio, come autore monologante e onniveggente, la gestione del materiale narrativo, Arhasino non ha però rinunciato, dopo, a entrare in tutte le parti, a prestare la propria voce a tutte, o quasi, le persone del dramma. Ne deriva un po' di confusione, qualche ingorgo di traffico. Ma si tratta di inconvenienti o imperfezioni che, per quanto reali o addirittura gravi, non intaccano l'insolita qualità e vastità del progetto, né fanno venir meno il piacere (un piacere quasi d'altri tempi, largo e sostanzioso) della lettura. Giovanni Raboni

Persone citate: Alberto Arbasino Fratelli, Arbasino, Goethe, Hemingway, Italia Einaudi, Musil, Proust, Sterne

Luoghi citati: Italia, Londra, Torino