Le ironiche "ballate della catastrofe,,

Le ironiche "ballate della catastrofe,, Le ironiche "ballate della catastrofe,, 4 jjOuNG ci ha spiegato le ragioni della l\ scarsa comprensibilità della musica di Mahler e del suo orgoglioso isolamento dall'autoritarismo della cultura dominante. Si era nel 1960, e forse il filosofo tedesco non avrebbe potuto prevedere che solo qualche anno più tardi Léonard Bernstein avrebbe diretto YAdagetto della Quinta sinfonia per rendere più solenne e toccante il funerale di Bob Kennedy. Nel giro di qualche anno, insomma, il consumo di massa si appropria con voracità indiscreta del compositore solitario e YAdagetto sarebbe divenuto il vessillo di parate funebri o celebrative, in cui lo statista americano o gli argonauti moscoviti si possono tranquillamente confondere. Mahler, insomma, eretto a simbolo di un cosmopolitismo mondano,-centro di discussioni amabili anche tra i cultori salottieri della décadence e della Vienna inizio di secolo. Naturalmente, a Luchino Visconti, che già aveva intuito ed anzi previsto la « Bruckner-renaissance » negli Anni Cinquanta con Senso, doveva spettare il compito della ratifica definitiva di una moda che non accenna certo ad attenuarsi, utilizzando sempre la vilipesa Quinta sinfonia anche per la Morte a Venezia: tanto più che, in questo caso, le consonanze tra le gondole funebri, silenziose come una bara, di Thomas Mann e il sinfonismo cemeteriale di Mahler appaiono fin troppo ovvie. Né poteva mancare, di lì a poco, sempre a livello cinematografico, il ritratto tendenzioso di Ken Russel, aureolato da una simbologia ingombrante e barocca. Certo, i segni premonitori di una divulgazione sospetta si erano avuti nelle colonne sonore, in cui, ancor prima dell'odierna infatuazione, abbondavano i mahlerismi di riporto, ridotti a modeste formulette commerciali. E oggi non si contano le musiche da film che suonano mahleriane, cosi come, trent'anni fa, suonavano ciaikovskiane. A rendere anche più invitante ed ecumenico questo quadro, già di per sé abbastanza eloquente, non poteva mancare anche la tardiva appropriazione di questo autore, per molto tempo negletto dai direttori d'orchestra ufficiali (al di fuori della ristretta schiera dei proseliti, depositari diretti di quel pensiero, come Walter o Klemperer, o dei seguaci delle avanguardie storiche viennesi, come Herman Scherchen) anche da parte dei divi della bacchetta. Léonard Bernstein, che però fu il profeta, in anni lontani, del rilancio mahleriano, ed Herbert Von Karajan, che soltanto sulla soglia dei settant'anni si accosta all'autore e ai maestri della scuola di Vienna, un tempo rifiutati, incarnano nella maniera più netta il modo equivoco di leggere Mahler. Bernstein trapianta il dialetto viennese a Broadway, e Karajan tende ad occultare le punte acri dell'autore per addolcirle nella commestibilità più insidiosa. Mahler, allora, ci appare indirizzato verso un'euforia vitalistica straripante o imbalsamato tra le pieghe di un cellophane sontuoso e ovatt o. In questa prospettiva il sinfonismo di Mahler sembrerebbe davvero, secondo la diagnosi di Giorgio Vigolo, l'equivalente di quelle poderose architetture sepolcrali, con porfidi, mosaici e alabastri, che le grandi famiglie dei banchieri si facevano costruire sull'inizio del Novecento nei cimiteri di Berlino e di Vienna. Ma è questo, o soltanto questo, il vero volto di Mahler? C'è da dubitarne, anche se la natura composita e un discrimine talora sfuggente, tra Kitsch e autenticità possono condurre a vistosi fraintendimenti. Di Mahler c'interessa oggi, piuttosto che la fastosità cosmogonica, cara ai virtuosi del dirigere, il suo atteggiamento critico, in cui il concetto essenzialmente sferico del comporre viene incrinato e sconvolto dall'interno. E' così che l'autosufficienza della musica pura è aggredita dalle più inquietanti provocazioni: la stessa eterogeneità del lessico, l'assunzione di detriti o di residui, come il melodismo che si è detto triviale, diverranno il modo per instaurare una categoria del tragico, che rifugge dall'idealismo del primo romanticismo, ormai ridotto a vuota « nobiltà dello spirito ». Sono pertanto questi i motivi che legano Mahler ai grandi maestri deU'espressionismo viennese, alla cui temperie culturale, abnorme e traumatica, andrebbe sempre ricondotto, anche a livello esecutivo, secondo la lezione di Herman Scherchen. Ma è chiaro che proprio con Mahler si assiste oggi ad un'operazione reazionaria, che mutata di segno, corrisponde con esattezza al rifiuto bacchettone degli antichi avversari di ieri. Un tempo ci si indignava per la « volgarità » delle melodie di Mahler, oggi invece vengono prese per buone proprio per certe analogie con la musica di consumo e non per quello che significano. Si tende insomma ad estrapolare da un preciso contesto il melodismo mahleriano, banalizzandolo, laddove andrebbe esaltata la lacerazione di queste pagine, in cui la musica militare, la citazione folklorica od operettistica, sono assunte in un tessuto che le distorce e le addita come apparizioni larvali. Se ripensiamo, d'altronde, alla più recente riflessione critica sull'argomento, si vedrà che l'esegesi mahleriana non ha proceduto di un passo oltre il celebre saggio di Adorno, tradotto nel '66 per Einaudi. E oggi non sono ammessi che ulteriori approfondimenti di quell'intuizione, secondo quanto hanno dimostrato tra gli altri i seguaci più radicali del filosofo, come Dieter Schnebel. Anche la nostra più importante monografia, il libro einaudiano di Ugo Duse del '73, non riesce, nonostante tutto, a scalfire il pensiero negativo di Adorno, né a correggere l'idea, squisitamente espressionista, che le sinfonie di Mahler sono le « ballate della catastrofe ». Intanto si ristampano per il Saggiatore i ricordi e le lettere di Alma Mahler, sempre utili anche se non sempre attendibili, mentre esce un'analisi completa di mezzo secolo di esecuzioni mahleriane, a cura di Giuseppe Pugliese. Il problema centrale oggi rimane appunto quello interpretativo: chi riuscirà a « comporre il suono » e a prefigurare timbricamente la musica elettronica, al pari di Herman Scherchen, in ima delle pagine apparentemente più tradiziona'.i di Mahler, l'adagio conclusivo della Nona sinfonia? Mario Messinis

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