Schegge d'un autoritratto
Schegge d'un autoritratto Schegge d'un autoritratto Le nuove poesie di Tiziano Rossi, tra maturità e sussulti emotivi Tiziano Rossi DALLO SDRUCCIOLARE AL RIALZARSI Guanda, Milano 111 pagine, 2200 lire. CON Tiziano Róssi abbiamo un altro esempio di questa particolare ma ben reale scuola poetica milanese che, dopo Sereni, con Erba, Giudici, Raboni e il giovanissimo Cucchi, si è data, in questi anni, un suo preciso spazio. Rossi, che ne è il rappresentante più misurato e discreto, con al suo attivo già un paio di libri negli Anni 60, ci dà ora, col suo nuovo Dallo sdrucciolare al rialzarsi, un suo ritratto poetico maturo. Autore di poesie di uno straordinario equilibrio strutturale, in cui la tensione dei sentimenti, la registrazione attenta delle mutazioni e delle spine dell'esistere, e insieme la messa in prospettiva del vissuto in una dimensione collettiva (e morale) di forse lontana ascendenza pa rimana, in cui tutto trova un suo equilibrio dall'alto e dal basso e una sua implicita collocazione politica, un moto imperturbabile e tuttavia arùmato che, una volta, ha fatto avvicinare le sue costruzioni Uriche ai « mobili » di Calder, Rossi ci reca un suo personalissimo intrico di emozioni e tensioni figurate, che formalizza, ora arabescando e ora ironizzando, i motivi sco¬ perti della propria esistenza. In questo senso la lettura del suo libro ci ha riportato alla mente il lavoro di certi americani post wiliamsiani come, ad esempio, Creely, che come lui avvertiti di una possibile organizzazione sperimentale della propria materia, delle possibili infrazioni sintattiche, ritmiche, metriche cui essa può essere sottoposta, finiscono infine con l'aspirare alla ricostruzione metaforica del proprio io, all'unificazione sintetica dei pur visibili frammenti, lacerti, tasselli della propria esperienza. Allora le diverse sezioni del libro non andranno tanto lette in successione diacronica (e infatti esse coprono, in gran parte, la datazione media del libro 1968-75), ma piuttosto come nuclei tematici che, in ogni sezione, tendono a svolgersi su uno stesso piano, magari privilegiando in ogni sezione una o due poesie più rappresentative. Le regole di scrittura (e lettura) del libro di Rossi risulteranno, allora, chiare fin dalla prima poesia, «Pezzetto di storia», che subito ne stabilisce il passo, la dimensione metaforica ma non simbolica con cui evitare una possibile elegia ancora alla radice, la stessa che detterà le norme di umana pietà, ma anche di solidarietà, che dominano la successiva sezione «Sotto cancro». E se (nel gruppo ancora seguente di « Millenovecentosessantotto e paraggi ») potrà esserci una quasi identità tra messaggio e costrutto formale in poesie ottime come « Tenuta » o come « Ascesi » è, molto probabilmente, nella più divaricata disponibilità materica e, nonostante tutto, lirica della sezione « Mal d'Irlanda» (che non sfugge, peraltro, a una concretezza di rapporti e giudizi) e nel tipico intrico privatopassionale-familiare delle centrali sezioni « Falò » o « L'optimum », o nel quasi romanzo in verso che fa perno su una poesia molto bella come « Intemerata » (e ha altri svolgimenti in « Il vortice ») che si coglie tutta la forza atonale, la formalizzazione tenacemente personale, la durata oltre il suo stesso logorarsi della poesia di Rossi. Fino al possibile incrinarsi dell'unità iniziale nei graffiti d'una sottile nevrosi da quasi volontario spaesamento nei gruppi di « Tracce » e di « Partenza », che avranno il loro contrappasso liberatorio nell'onirismo della decisiva sezione « Qualche sogno », culminante in poesie come « Una beatitudine » o nel classicismo iromzzato e rovesciato di « Mito »; e infine nell'affetto paterno, funzione discretissima dell'ultimo gruppo di « Generazione »: « ... dargli una mano perché I lui piano piano ti disfi ' e intanto particola avanti respiri ». Marco Forti
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