In una Parigi di miserabili

In una Parigi di miserabili H mistero di Emile Àjard In una Parigi di miserabili Emile Ajard LA VITA DAVANTI A SÉ Rizzoli, Milano, 208 pagine, 4000 lire. CHI II |HI si nasconde sotto lo pseudonimo di Emile Ajard? risvolto editoriale non chiarisce il mistero. Ajard, già autore di Gro-Calin, storia di un uomo perduto in una grande città, è arrivato al pieno successo con La vie devant à soi, Prix Goncourt 1975, 700 mila copie vendute in Francia. Jean Cau, ex segretario di Jean Paul Sartre e lui stesso premio Goncourt '61, ha sostenuto che Ajard è Michel Cournot, direttore letterario della Mercure de France, casa editrice del libro. Altri critici francesi sostengono che l'opera è frutto di un lavoro di équipe, che comprende oltre al Cournot anche Jacques Lanzmann e Pierre Benichou e Romain Gary. Qualcuno sostiene che l'autore è un computer, che ha confezionato il testo seguendo le ricette dei libri premiati negli anni precedenti. I più insistono su Romain Gary che, messo alle strette, ha fatto una confessione che non ha però dissipato i dubbi. Il mistero sull'identità dell'autore rimane. La vie devant a soi è la storia di un bambino arabo. Mohamed detto Momò, piccolo figlio di puttana, abbandonato dalla madre e messo a pensione da Madame Rosa, vecchia ebrea gigiona scampata ad Auschwitz che « pesa tanti chili uno più brutto dell'altro e non è più ebrea o cose del genere, ma e solo vecchia e le fa male dappertutto ». Momò racconta la propria infanzia, dai 4 ai 14 anni, in prima persona. L'ambiente è uno dei quartieri più poveri di Parigi, quello nord-orientale, la Goutte d'or: un rifugio di immigrati di ogni razza e di emarginati della società e della grande metropoli. Questi luoghi di degradazione fisica e morale, Momò li vede attraverso la sua ottica infantile e ii considera una situazione normale e ricerca in ogni volto di donna la madre. Quando alla fine viene a conoscenza delle sue origini e della sua identità, si accorge che l'unico suo rapporto materno è quello con Madame Rosa. E proprio quella vecchia pazza, con i tratti squallidi di una baldracca, è la persona che più gli dà e gli chiede tenerezza: il suo unico punto di riferimento. Nelle ultime pagine del libro Momò arriva persino a rifiutare la morte. La descrizione di questa megera, grottesca come alcuni personaggi felliniani, è stata paragonata ad una tela di Rouoult. Tutto il libro è in realtà ima melodia musicale malinconica ed insieme briosa, una vera aria tzigana. Protagonista assoluto è il linguaggio, che plasma e crea i personaggi e la loro psicologia, vero elemento portante del ritmo narrativo, vero motore dinamico, un misto di sornioneria e di prorompente franchezza, di gaiezza e di tristezza, quasi un clown che con un occhio ride e un altro piange. L'abile ricostruzione della parlata infantile, condita di tic tipici del francese distorto degli immigrati arabi è densa di errori di sintassi e di eufemismi che proteggono con apparente ingenuità i sentimenti più forti. II complesso rapporto Momò-Madame Rosa trae nutrimento da tutto questo e si eleva nettamente su uno sfondo di coreografiche figure ben stilizzate di spazzini algerini, mercanti di tappeti, campioni di boxe senegalesi che si guadagnano, da vivere come travestiti al Bois du Boulogne. Il colore non manca, anzi vi è qualche pennellata di troppo. L'espediente linguistico stempera le punte e ricostruisce l'armonia generale. Il libro è un romanzo sofisticato, ricco di tecinca, .di dosaggio di elementi diversi e opposti, ma ben equilibrati come accade per la nascita in vitro, e quindi indicato per incontrare il gusto del vasto pubblico. Riccardo Calimanì

Luoghi citati: Auschwitz, Francia, Milano, Parigi, Sé Rizzoli