LO SCHIAVOHANIS

LO SCHIAVOHANIS TL /anteprima : Bruno la* LO SCHIAVOHANIS "L O schiavo Hanis", edito da Mondadori, di cui pubblichiamo un brano in anteprima, è il quarte libro di Bruno Tacconi. Siamo nel 2300 a. C, sotto il regno del faraone Pepi II (VI dinastia); in Egitto c'è aria di rivolta, fomentata da un'inafferrabile donna, Sitra. Hanis, il protagonista, giovane schiavo ad Eliopoli dove lavora al tempio di Ha, ha ricevuto un'istruzione dal suo compagno Kati, ex «nomare»» (governatore) del distretto di Elefantina, caduto in disgrazia, mutilato del naso e delle orecchie e ridotto in catene. Regalato al capo della nobiltà, IpuWer, Hanis fa una rapidissima carriera sino a diventare capo delle imposte, grazie agli amorì con la terrìbile Itis, moglie di Ipu-Wer e responsabile della rovina di Kati. Inviato a Mentì, il protagonista ritrova la figlia di quest'ultimo, Nefer, ridotta allo stato vegetativo dopo un misterioso «incidente», certo per iniziativa di Itis. Hanis se ne innamora e tenta di guarirla, l'amante lo scopre, proprio mentre si scopre che Kati, fuggito da Eliopoli, capeggia la rivolta con Sitra. 11 brano estratto narra la riunione nella quale il generale Pepinakht, anch'ego* amante di Itis, si fa eleggere faraone. Hanis, il personaggio che racconta in prima persona, ha appena parlato in favore del popolo, chiedendo riforme. La fine della sua libertà è imminente. PEPINAKHT era euforico. Forse, Sitra permettendo, si vedeva già assiso sul trono con l'intera Corte prostrata ai suoi piedi. La sua voce saturò la sala. Ritto e scultoreo, annunciò che in un paio di mesi avrebbe spazzato ribelli e fannulloni, riempito i forzieri di oro c donato beni al templi per propiziarsi gli dèi. I villaggi che avevano dato ospitalità alle forze rivoluzionarie sarebbero stati distrutti con il fuoco e gli abitanti deportati in schiavitù; i «nomarchi » che avevano tentato di fondare staterelli indipendenti dovevano attendersi il taglio del naso e delle orecchie. Le miniere nubiane sarebbero state i loro sepolcri. Tali affermazioni non potevano uscire che dalla bocca di un uomo presuntuoso e sanguinario come Pepinakht, tant'è che si dilungò a illustrare i programmi già studiati da mesi. Era la teorìa del fuoco e del sangue messa in pratica con decisione e inflessibilità. Le sue parole crearono un clima di intima serenità, così tutti si sentirono autorizzati, scavalcando l'autorità di Ipu-Wer, a esporre le proprie idee, che erano poi quelle di ridare l'antico prestigio all'Egitto, di tassare il popolo a favore dell'esercito e del tempio di Ra, di approvare il reclutamento costrittivo della manodopera. Io non contavo più di un frutto di carrubo finito nello sterco, così fui ignorato. IpuWer si rifiutò dì parlare e Neferohu li lasciò sfogare con sorrisetti maligni. Poi, approfittando di una pausa, chiese a Pepinakht, che non s'era ancora stancato di tuonare minacce: « Generale, la tua nomina a faraone sembra cosa fatta, perché ho visto attorno a te solo abietti gesti di conferma. Anzi, mi è parso che questi stimatissimi notabili, IpuWer a parte, abbiano strillato come araldi, pronti a collaborare con te per poter oziare con più tranquillità tra le dorate mura di Palazzo. Illusi! Fondare una nuova Dinastia! Tu, Pepinakht, hai molta fantasia. In più le storielle per distrarre questo stimatissimo Consiglio non ti mancano. Io, però, ti avevo chiesto di parlarci dell'ordine interno e di Sitra, del tuo esercito e delle frontiere. Con quali soldati ristabilirai l'ordine, con i cento fantocci da parata del prode e animoso guerriero Ahotep? ». Neferohu, massimo Profeta vivente, era ascoltato e temuto, sicché le sue parole trasformarono il clima: pareva fosse entrato vento di procella. Pepinakht stesso, messo di fronte alla cruda realtà, dovette fare ricorso al suo innato ottimismo e alla sua smisurata vanità per abbozzare qualche frase adatta alla carica di... faraone d'Egitto. Disse, menando i pugni come se fossero mazze: « Sitra? Purtroppo è una realtà. Tuttavia la schiaccerò come un verme. Una donna che osa sfidare apertamente il generale Pepinakht dev'essere pazza. Il suo vice, quel Kati maledetto che le miniere nubiane non sono riuscite a incenerire, farà la stessa fine. L'esercito? Sono in attesa che rientrino dalla Nubia i reparti a me fedeli. Con gli altri sparsi nel Delta indurrò il rinnegato Sebni a strisciarmi davanti senza pelle ». « Te lo auguro » ribatté l'irriducibile Neferohu. « Intanto i cosiddetti ribelli sono alle porte di Menfi. Tra qualche giorno, signori miei, potete giocare al faraone dentro le mura di questo Palazzo. Se tu, Pepinakht, non sei ancora riuscito a mettere le mani su questa Sitra e su quel Kati che definisci maledetto, vuol dire che essi sono più scaltri delle tue spie. Dal momento che siamo qui per trovare il mezzo di evitare uno scontro armato che solo il cosiddetto faraone Pepinakht è sicuro di vincere, perché non si ascolta con attenzione anche la voce di Hanis? Sicuramente, più di tutti voi, abituati all'ozio e a vedere le cose con l'ottimismo irresponsabile di chi sogna ancora i fasti e le glorie di un tempo, egli sa cosa chiede la gente che chiamate popolaccio». Di colpo mi sentii al centro di sguardi carichi di disprezzo. Poiché la richiesta del Profeta aveva creato un persistente silenzio, a un cenno di Ipu-Wer mi alzai, senza però avere idee precise su ciò che avrei dovuto dire. Guadagnai tempo tossicchiando, mi orientai e presi a parlare convinto che mi avrebbero interrotto. Dissi che l'Egitto era sull'orlo del collasso anche economico e che spettava al Consiglio dei Dieci prendere provvedimenti validi. Invece di tuonare minacce che avrebbero fatto ridere anche i bifolchi schierati con Sitra, o a dilungarsi in chiacchiere vane, sarebbe stato meglio convocare a Palazzo una rappresentanza del popolo. Con essa si sarebbe discusso sulla possibilità di varare riforme che non smagliassero eccessivamente il tessuto delle leggi e delle istituzioni vigenti. Per esempio l'ereditarietà delle cariche nobiliari portava automaticamente ai vertici uomini incapaci e autentici Imbecilli. I meriti del singolo, al di là delle sue origini, creavano invece una selezione qualitativa che andava a beneficio della comunità. Questo era solo un esempio dei molti argomenti che potevano essere trattati con la delegazione del popolo. Avevo messo il dito sulla piaga, la più dolorosa, e la reazione fu immediata. Non riuscii a continuare, perché Ahotep balzò in piedi come se gli avessero messo un mattone rovente sotto le natiche. Sbraitò che dovevo avere almeno la dignità di tacere. Discutere sulla ereditarietà delle cariche? Era pazzesco, offensivo, una capitolazione vergognosa, che avrebbe introdotto a Palazzo dei puzzolenti bastardi. Stavo per apostrofarlo aspramente, quando intervennero contemporaneamente IpuWer e Neferohu. Quietato il prode guerriero, il capo della nobiltà chiese ai sommi Profeti di esporre le loro idee. Hornifer, macerato di sudore, prese la parola con autorità, senza rispetto per Neferohu, più vecchio e più venerato. Disse in sostanza che era inutile parlare di riforme su larghe basi, perché, da parte sua, non si sentiva di elargire i riti magico-religiosi all'uomo della strada e allo schiavo, in quanto era certo che essi non possedevano un'anima. La possibilità quindi di godere la vita eterna era per loro praticamente nulla. Si dilungò prolisso per dimostrare la veridicità delle sue affermazioni e si risedè soddisfatto di avere avuto il consenso quasi generale. Neferohu non era invece del suo parere... perché non lo era mai. Porse quindi al suo collega un'imbarazzante domanda. Durante la sua lunga carriera sacerdotale aveva visto poveracci arricchirsi e schiavi occupare posti importanti nell'amministrazione statale. Io ero un esempio, anche se il guerriero Ahotep mi aveva incluso tra i puzzolenti bastardi che non voleva a Palazzo. Alla loro morte costoro avevano usufruito dei riti magicoreligiosi elargiti ai possessori di anima. « Che il dio Ptah mi illumini! » continuò, alzando le braccia al cielo. « Se ho ben compreso o sono rimbambito cronico o la parte imperitura del corpo umano vuol vivere nel lusso e nell'abbondanza. Un uomo si guadagna la vita eterna accumulando cariche e onori, oro e amicizie di alto rango. Fa eccezione chi ha la fortuna di essere partorito da un ventre di casta. Allora nasce subito con un'anima. Signori miei, mi spiace, ma io dubito seriamente delle vostre facoltà mentali. A differenza di Hornifer, che recita preci soltanto al cospetto di mummie avvolte nel bisso di Sais, io ho sempre offerto i riti anche ai poveracci. Purtroppo sono stato ammonito e minacciato. Da anni il mio tempio è evitato dai nobili... con mia soddisfazione, perché a me piace il lezzo di sudore genuino e non quello impregnato di profumo». Neferohu tornò a sedersi. Con il viso battagliero girò i piccoli occhi sui notabili e si lasciò sfuggire un sorrisetto insolente. Si capiva che aveva altro da dire. Tuttavia rimase in attesa che qualcuno contestasse le sue affermazioni, per fame la vittima di turno. Invece tutti attesero la parola degli altri. . A ben considerare, quella riunione, vista da un uomo nato nella taverna « da Ibut lo Sporcaccione», era degenerata in commedia dopo che il comandante generale delle forze armate si era autoeletto faraone d'Egitto. Il contrasto con la realtà era disarmante. Povera Terra di Kemetl Dove erano gli illuminati funzionari dei faraoni Djoser, Snefru, Cleope, Chefrcn, Micerino, Sahurè, Pepi I? Nelle camere funerarie delle « mastabe », immersi nel sonno eterno. Non sapevo se considerare i notabili che avevo davanti uomini irresponsabili o illusi, incolti o permeati di innato ottimismo, in buona fede o abituati anche alla frode morale. Convinto che stavo versando le ultime gocce per far traboccare il vaso, mi alzai senza autorizzazione e scostai la poltrona con un calcio, certo che mi avrebbero buttato fuori. Mi rivolsi al primo Profeta di Ra. « Saggio Hornifer », gli dissi « devi scusare se anch'io mi permetto di contestare le tue affermazioni. Poiché sono stato a contatto con schiavi e gente del popolo, vorrei farti presente che gli uomini cui tu neghi un'anima hanno una struttura corporea come la tua, lavorano dall'alba al tramonto per una crosta di pane, parlano un linguaggio meno forbito del tuo, ma altrettanto efficace, bestemmiano senza protervia, sono allegri netta loro miseria perché le privazioni fanno parte della loro vita quotidiana ». Mi concessi una pausa per rendermi conto delle reazioni. Poiché nessuno osava guardarmi, forse per paura d'inquinarsi gli occhi, mi decisi a continuare. Aggiunsi che. un tempo solo il faraone poteva vantare il diritto di possedere un'anima e quindi di diventare un dio nell'ai di là, un nuovo Osiride. Questa possibilità era stata poi elargita atta nobiltà e agli alti funzionari. Da chi? Se prima erano privi di anima, come mai era bastata una concessione templare per vantarne il possesso? Nelle Sacre Scritture si narrava che il dio Ptah di Menfi, il Modellatore, aveva creato l'uomo impastando il fango del Nilo. Senza discriminazione di sorta l'aveva quindi animato e reso libero ai venti e alle acque, al terreno fertile e al deserto, al sole e alla pioggia. Se più tardi questi concetti di uguaglianza erano stati violati, specie per quanto si riferiva alla vita etema, la colpa era del- " Vr-J • 7 -\ lì

Persone citate: Bruno Tacconi, Mondadori, Osiride, Profeta, Profeti, Ptah, Sais

Luoghi citati: Egitto, Eliopoli, Menfi