La Chanel, un'epoca

La Chanel, un'epoca LA BIOGRAFIA DELLA PIÙ CELEBRE SARTA FRANCESE La Chanel, un'epoca ■jf^l'ON tutte le biografie, I t« specie se vivente il per' sonaggio e in un'epoca sempre più incline alle storie vere che alla narrativa, sfuggono all'agiografia, il personaggio collabora, sfronda la sua storia di quanto gli nuoce e all'autore non resta per difendersi che l'astuzia del montaggio. Chanel, invece, guai a farla parlare del suo passato avventuroso. Della madre, stroncata da una _ vita di sofferenze e di parti, mai una parola; il padre, figlio di osti e ambulante nei mercati cevennati, convertito in un piccolo ma facoltoso commerciante; i fratelli messi fuori dalla sua vita con un congruo assegno mensile, più utilitario che generoso. E la bella favola dall'ago al miliardo? Ripugnante per lei, ragazzetta orfana nel monastero di Obasine, diventata poseuse nel piccolo café chantant della guarnigione di cavalleria, pur di cominciare una vita tutta sua: sapeva lei sola di quale allegria disperata e di ingoiate umiliazioni, fosse disseminata la sua preistoria. Mentiva, mentiva per camuffarsi e per vendicarsi, tagliandosi i ponti alle spalle dopo ogni vendetta, crudele con gli altri come con se stessa. La biografia di Chanel scritta da Edmonde CharlesRoux (L'irregolare, Rizzoli, 453 pagine, 5500 lire, traduzione di Linda Chittaro) è dunque prima di tutto un'indagine, per mettere a nudo la verità: è un racconto duro, lucido, in contrasto con il personaggio, che ne smonta il prodigio di menzogna e di silenzio ma per restituirci Chanel in tutta la sua dolente e solitaria aggressività. Occhi malinconici e bocca rapace, mescitrice alle famose terme, di Vichy, la giovane Gabrielle che salta al collo di Etienne Balsan perché la porti con sé al suo castello, non è un'irregolare — come a dire una mantenuta — di tutto riposo. La legge di Royallieu si chiama equitazione? Lei diventa un'amazzone spericolata e se il costume non le è concesso di farselo fare che dal sarto dèi domestici, bene, sarà quella la prima volta che la ricamatrice, la sartina istruita dalle canonichesse di Moulins, si cimenta con lo stilismo. E quale successo. Subito le altre donne ospiti al castello, ridotte ad un ammasso di veli e di volumi contro la sua svelta essenzialità. Certo, senza Boy, l'inglese Arthur Capei, che le concede di metter su la prima boutique di cappelli nella sua garconnière e poi in rue Carobon 21, Gabrielle, la Cocò della canzone mimata all'Alcazar di Vichy, non avrebbe mai potuto metter le basi del proprio impero, avere le belle clienti dell'ambiente delle corse. Ma sapeva lavorare duro e far lavorare gli altri. Se c'era la guerra e al fronte si moriva, e a Deauville e poi a Biarritz, fra ritirata e attesa, si ballava, perché non sfruttare la situazione e raccogliere le sue prime vittorie di sarta? Sweater all'inglese, gonne di flanella, come dopo, nella Parigi 1916, il vestito-camicia, privo di allusioni. Per Chanel la ricchezza. Subito immensa. Rimborsò persino Arthur Capei: aveva perso la speranza di farsi sposare, ma contava di ingelosirlo e ci riuscì. Macchine 'di lusso, ville, amanti, il poeta Reverdy, il bel russo Dimirri, gli artisti amati al di là delle loro opere — non ne acquistò quasi mai — beneficati, ma quanto non fu debitrice a Diaghilev o a Stravinski della propria celebrità? Inafferrabile e prónta a ricominciare dopo i tradimenti, gli abbandoni, le morti di cui fu costellata la sua vita, sempre con il se¬ greto di se stessa nel cuore e negli abiti usciti dalle sue mani. Mi ricordo di Chanel a sommo della scaletta da cui scendevano nell'atelier tutto specchi, soffitto e pareti, i modelli della collezione: rivisitati ad uno ad uno, scagliati dall'approvazione d'una Grande Demoiselle durissima, chiusa; giù come armi segrete contro l'elite femminile sulle seggioline dorate. L'elite! Ne aveva abbastanza. Quello che le serviva, a otténtadue, ottantatré anni... era il lavoro. Ma come sapere, senza la biografìa di Edmonde Charles-Roux, che l'atelier tutto specchi non era la bizzarria d'un architetto ma il ricordo rivissuto di tempi duri, noti soltanto a Coco? Dopo gli ultimi, velenosi amori con la spia tedesca, il fascinoso Von D., il collaborazionismo, l'ac¬ carezzata follia d'una missione di pace da Churchill, conosciuto ai tempi del Duca inglese, a salvamento della Francia e della Germania, tornare a Parigi, lavorare in rue Cam¬ bi on, era una scommessa contro la solitudine e contro il mondo. Per la seconda volta in un altro dopoguerra e in pieno new look di Dior, doveva modificare l'abbigliamento femminile. Aveva 71 anni. Tutto era stato difficile, pericoloso, terribile, meraviglioso, ma faceva ancora storia dopo averla subita vestendo non solo le dive, le regine che ormai detestava, ma la strada. «La strada m'interessa più dei salotti, diceva aggiungendo: Mi piace che la moda scenda nella strada ma non ammetto che ne provenga ». Voleva dire rinnegare se stessa? Piuttosto quello che di se. stessa stava dietro il suo silenzio: maglie d'una catena utilizzabili per attaccarla, nell'età, i sordidi esordi, i primi amori senza scelta. Lucia Sollazzo

Luoghi citati: Francia, Germania, Parigi