L'ignoto marinaio

L'ignoto marinaio L'ignoto marinaio r Ili mondo dì Tornasi di Lampedusa, visto nello spirito progressista di Sciascia, con un impasto linguistico arcaicizzante siculo italiano che semhr8> riecheggiare il grande barocco di Gadda. Sono i tre motivi che attirano l'attenzione su « Il sorriso dell'ignoto marinaio », di Vincenzo Consolo, prossima a uscire da Einaudi. L'autore, siciliano, quarantaduenne, autodidatta, è al suo secondo romanzo, dopo un intervallo di dodici anni. Dietro fl titolo, che richiama la poesìa di Coleridge, c'è una dura storia mediterranea: un romanzo storico scritto dalla parte delle classi popolari. Protagonista del libro è un aristocratico di idee liberali, Enrico Pira jno barone di Mandralisca, da Cefalù: erudito, studioso di scienza naturale, collezionista d'arte.- Sta per arricchire la sua quadreria con 11 pezzo più importante: un ritratto d'ignoto attribuito ad Antonello da Messina, che gli ha venduto un farmacista "di Lipari. Sulla nave che lo riporta a Cefalo, JH Mandralisca incontra un marinaio che rassomiglia singolarmente all'ignoto del quadro. Solo vari anni dopo il misterioso, personàggio si ripresenterà come Giovanni Interdonato, cospiratore democratico, che organizzaci moti di rivolta contro il governo borbonico. L'arrivo di Garibaldi in Sicilia fa deflagrare la situazione, mentre si moltiplicano le sommosse popolari nell'isola. Ma non. risolve il conflitto fra classi dominanti e classi subalterne, che rimane nei suoi termini anche dòpo fl passaggio della Sicilia al nuovo regno. E, a differenza del Gattopardo, i personaggi di Consolo non sembrano accontentarsi che tutto cambi perché tutto resti come prima. Pubblichiamo in anteprima alcune pagine dal capitolo iniziale, ccr. il viaggio da Lipari a Cefalo. Eora si scorgeva la grande isola. I foni sulle torri della costa erano rossi e verdi, vacillavano e languivano, riapparivano vivaci. Il bastimento aveva-smesso di rullare man mano che s'inoltrava dentro il golfo. Nel canale, tra Tindari e Vulcano, le onde sollevate dal vento di scirocco l'avevano squassato d'ogni parte. Per tutta la notte il Mandralisca, in piedi vicino alla murata di prora, non aveva sentito che fragore \ d'acque, cigolìi, vele sferzate e un rantolo, che si avvicinava e allontanava a secónda del vento. E ora che il bastimento avanzava, dritto e silenzioso dentro jl golfo, sii un mare placato e come tòrpido, udiva nettò il rantolo, lungo e uguale, sorgere dal buio, dietro le sue spalle. Un respiro penoso che si staccava da polmoni rigidi, contratti, con raschi e strappi risaliva la canna del collo e assieme a un lieve lamento usciva da una. bocca che s'indovinava spalancata.. Alla fioca luce della lanterna, il Mandralisca scorse un luccichio bianco che fofoè poteva essere di occhi. Riguardò la volta.del cielo con le stelle, l'isola grande di'fronte, i farti sopra le torri. .Tòrjazzi d'arenaria e malta, ch'estollono i lor .merli di cinque canne sugli scogli, sui quali infrangonsi di tramontana i venti e i marosi. Erano del Calava e Calanovella, del Lauro e Gioiosa, del Brolo... Al castello de' Lancia, sul verone, madonna Bianca sta nauseata. Sospira e sputa, guata l'orizzonte. Il vento di Soave la contòrce. Federico confida al suo falcone O Deo, come fui matto quando mi dipartivi là ov'era stato in tanta dignitate * E sì caro raccatto e squaglio come nivi... Dietro i foni, mezzo la costa, sotto gli olivi giacevano città. Erano Abacena e Agatirno, Alunzio e Calacte, Alesa... Citr tà nelle quali il Mandralisca avrebbe raspato con le mani, ginocchioni, fosse stato certo di trovare un vaso, una lucerna o solo una monéta. Ma quelle, in vero, non sono ormai che nomi, sommamente vaghi, suoni, sogni. E strinse al petto la tavoletta avvolta nella téla cerata che s'era portato da Lipari, ne tastò con le dita la realtà e la consistenza, ne aspirò i sottili odori di canfora e di senape di cui s'era impregnata dopo tanti anni nella bottega dello speziale. Ma. questi odori vennero subito sopraffatti d'altri che galoppanti sopra lo scirocco venivano da terra, cupi e forti, d'agliastro finocchio origano alloro nepitella. Con essi, grida e frullìo di gabbiani. Un chiarore grande, a ventaglio, saliva dalla profondità del mare: .svanirono le stelle, i foni sulle torri impallidirono. Il rantolo s'era cangiato in tosse, secca, ostinata. Il Mandralisca vide allora, al chiaróre livido dell'alba, un uomo nudo, scuro e asciutto come un ulivo, le braccia aperte aggrappate a un pennone, che si tendeva ad arco, arrovesciando la testa, è cercava d'allargare il to^ race spigato per liberarsi come di un grumo che gli rodeva il petto. Una donna gli asciugava la fronte, il collo. S'accorse della presenza del galantuomo, si tolse lo scialletto e lo cinse ai fianchi del malato. L'uomo ebbe l'ultimo terribile squasso di tosse e subito corse verr so la murata. Tornò bianco, gli occhi dilatati e fissi, e si premeva uno straccio sulla bocca. La moglie l'aiutò a stendersi per terra,^ tra i cordami. — Male di piètra, — disse una voce quasi dentro l'orecchio del barone. Il Mandralisca si trovò di fronte un uomo con uno strano sorriso sulle labbra. Un sorriso ironico, pungente e nello stes¬ so tempo amaro, di uno che molto sa e motto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal.dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà. E gli occhi aveva piccoli e puntuti, sotto l'arco nero delle sopracciglia. Due pieghe gli solcavano il viso duro, agli angoli della bocca, come a chiudere e ancora accentuare quel sorriso. L'uomo era vestito da marinaio, con la milza di- panno in testa, la casacca e i pantaloni a sacco, ma, in guardandolo, colui mostravasi uno strano marinaio: non aveva il sonnolento distacco, né la sorda straniamo dell'uomo vivente sopra il mare, ma la vivace attenzione di uno vivuto sempre sulla terra, in mezzo agli uomini e a le vicende lóro. E, awertivasi in colui, la grande dignità di un signore. — Male di pietra, — continuò il marinaio. — E' un cavatóre di pomice di ■Lipari. Ce ne sono a centinaia come hii' in quell'isola. Non arrivano neanche ai quarant'anni. I medici non sanno che fard e loro vengono a chiedere il miracolo alla Madonna negra qui del Tindari. Speziali e aromatari li curano con senapismi e infusi e ci s'ingrassano. I medici li squartarlo dopo morti e si danno a studiare quei polmoni bianchi e duri come pietra sui quali ci possono molare i loro coltellini. Che cercano? Pietra è, polvere di pomice. Non capiscono che tutto sta a non fargliela ingoiare. E qui sorrise, amaro e subito ironico, scorgendo stupore e pena sul volto del barone. Il quale, pur seguendo il discorso del marinaio, da un po' di tempo si chiedeva dove mai aveva visto quell'uomo e quando. Ne era certo, non era la prima volta che l'incontrava, ci avrebbe scommesso il fondo di Colombo 0 il cratere del Venditore di tonno della sua raccolta. Ma dove l'aveva visto? (.....) Il sole raggiante sopra la linea dell'orizzonte illuminava la rocca prominente, cól teatro, il ginnasio e il santuario in cima, a picco sopra la biande distesa di acque è di terra. Era, 'questa spiaggia, un ricamo di ori e di smalti. In lingue sfinuose, in cerchi, in ghirigori, la rena gialla creava bacini, canali, laghi, insenature. Le acque contenevano tutti gli azzurri, i verdi. Vi crescevano canne & giunchi, muschi, vischiosi filamenti; vi nuotavano grassi pesci, vi scivolavano pigri, airóni e lenti gabbiani. Luceva sulla rena la madreperla di mitili e conchiglie e il bianco d'asterie calcinate. ^Piccole barche, dagli alberi senza vele, immobili sopra le acque stagne, fra le Sdune, sembravano relitti di maree. Una aria spessa, umida, con lo scirocco fermò, visibile per certe nuvole basse, sottili e sfilacciate, gravava sopra la spiaggia. Qual cosmico evento, qual terribile tremuoto avea precipitato a mare la sommità eccelsa della rocca e, con essa, l'antica città che sopra vi giaceva? Oh i tresori dispersi sotto quelle acque verdi e quella rena, le erbe sconosciute affatto, le impensate vegetazioni, le incrostature che coprivano le bianche levigate spalle, le braccia, i femwri di veneri e dioscuri. Quindi Adelasia, regina d'alabastro, ferme le trine sullo sbuffò, impassibile attese che il convento si sfacesse. — Chi è, in nome di Dio? — di solitaria badessa centenaria in clausura domanda che si perde per le celle, i vani enormi, gli anditi vacanti. — Vi manda l'arcivescovo? — E fuori era il vuoto. Vorticare di giorni e soli e acque, venti a raffiche, a spirali, muro d'arenaria che si sfalda, duna che si spiana, collina, scivolìo di pietra, consumo. Il cardo emerge, si torce, offre all'estremo il flore tremulo, diafano per l'occhio cavo dell'asino bianco. Lice che brucia, morde, divora lati spigoli contorni, stempera toni macchie, ■ scolora. Impasta cespi, sbianca le ramaglie, oltre la piana mobile di scaglie orizzonti vanifica, rimescola le masse. Ora, sopra la rocca, sull'orlo del precipizio, il piccolo santuario custodiva la nigra Bizantina, la Vergine formosa chiusa nel perfetto triangolo del manto splendente di granati, di perle, d'acquemarine, l'impassibile Regina, la muta Sibilla, Ubico èbano, dall'unico gesto della mano che stringe il gambo dello scettro, l'argento di tre gigli. — Fatti i cazzi tuoi! — intimò a Rosario il Mandralisca. Il criato era appena giunto, con un velo di sonno che ancora gli svolazzava sulla testa, e pregava il padrone che andasse a riposare. — Ma, eccellenza, sono cose da cristiani queste, passare la nottata all'impiedi, fuori, con quel pezzo di legno sempre attaccato al petto come un nutrico? — Sasà, lo so io quello che porto qua. Se tu vuoi continuare a ronfare, ronfa, da quell'animale che sei! • — Dormire, eccellenza? Manco un occhio chiusi, Dio mi fulmini! Buttai a mare fino all'ultima quelle quattro ranfie d'aragosta che ieri sera mi succhiai. — Sì, e tutta la- polpa dentro la corazza che quelle quattro ranfie facevano camminare, Sasà, affogata nella salsa di capperi. — Eccellenza sì. Squisita. Che peccato! L'ignoto marinaio, ritto sópra la coffa, soffiò nel tritone per tre volte e il suono, urtando sulla rocca, ritornò per tre volte fino al veliero. Si levò dalla spiaggia uno stormo di folaghe e gabbiani, dalla rupe calarono i corvi e le cornacchie. Si staccò un barcone a quattro remi dalla riva d'Olivèri. Dagli angoli dei ponti, dalle stive, sbucarono a gruppi i pellegrini. Erano donne scalze, per voto, scarmigliate; vecchie con panari e fiscelle e bimbi sulle braccia; uomini carichi di sacchi barilotti damigiane. Portavano vino di Pìanoconte, malvasìa di Canneto, ricotta di Vulcano, frumento di Salina, capperi d'Acquacalda e Quattròpiani. E tutti poi, alti nelle mani, reggevano teste gambe toraci mammelle organi segréti con qua e. là crescenze gonfiori incrinature, dipinti di blu o nero, i mali che quelle membra di cera rosa, carnicina, deturpavano. Il cavatore di pomice indossava ora, sopra, la pelle, il mantello di lana di capra col cappuccio e in mano teneva un cero grosso, alto quanto lui. Alla moglie pendevano sul petto, legate al laccio che le segava la nuca, du^ forme a pera, lucide d'olio spalmato, di caciocavallo. Il barcone toccò il fasciame del veliero e 1 pellegrini, con voci, con richiami, s'ammassarono alla scala per sbarcare. (Per gentile concessione della Einaudi) Antonello da Messina: il Ritratto del museo Mandralisca, a Cefalo, proveniente da Lipari

Luoghi citati: Cefalo, Lampedusa, Lipari, Sicilia, Soave