In cento donne un solo Moravia di Giovanni Raboni

In cento donne un solo Moravia «Boli», antologia di ritratti femminili In cento donne un solo Moravia Alberto Moravia BOH Bompiani, Milano, 274 pagine, 3500 lire. Sommando i trenta di questo libro ai trentaquattro di II Paradiso e ai trentuno di Un'altra vita, Moravia si trova ad aver scritto e pubblicato, nel giro di pochi anni, la bellezza di novantacinque racconti « femminili »: racconti, cioè, in ciascuno dei quali una donna (per lo più giovane, e appartenente alla media o alta borghesia) dà conto, parlando in prima persona, di se stessa, del proprio modo di essere nel mondo e di vivere la propria condizione. Si tratta (è appena il caso di sottolinearlo) di un organismo letterario davvero singolare, al quale c'è da augurarsi che Moravia voglia, un giorno o l'altro, riconoscere lo status unitario che certamente gli compete. E' ima sorta, si direbbe, di enciclopedia narrativa, con « voci » di lunghezza quasi costante redatte con quella capacità di far emergere un tema alia volta dal magma del possibile, di semplificare la realtà nel momento stesso in cui se ne assume la complessità e l'incertezza, oìie fa di Moravia il più chiaro, il più razionale, in un certo senso il più « ottimistico » fra i grandi analizzatori e interpreti dell'irrazionale e dell'oscuro. Naturalmente, l'interrogativo di fondo che ci dobbiamo porre riguarda il significato di una scelta apparentemente « tecnica ». Come mai Moravia ha deciso, in questi ultimi anni, di esprimersi quasi esclusivamente attraverso voci femminili? Non voglio escludere che a questa domanda si possa rispondere nel senso suggerito dal testo della « quarta di copertina » del volume, cioè facendo riferimento a un « femminismo » di Moravia di cui non è certo difficile trovare tracce in molte delle sue opere precedenti (da Cortigiana stanca a La romana, a La ciociara). Personalmente, tuttavia, sono portato a credere che la scelta di Moravia abbia radici più profonde, necessarie e misteriose nella sua stessa natura di scrittore, cioè nel suo bisogno istintivo, ma sottilmente elaborato, di essere nello stesso tempo dentro la realtà e accanto alla realtà, di osservare e descrivere la vita secondo un'ottica nella quale un'appassionata partecipazione biologica coesista con il distacco critico, col gusto del paradosso illuministico, con l'insopprimibile tendenza a interpretare psicologicamente e sociologicamente i dati della cronaca e dell'invenzione. In altre parole, mi sembra che la «finzione» femminile agisca, in questi racconti, come ur j, doppia ipotesi di straniamene e di transfert. Se Flaubert, dopo aver parlato di Emma Bovary in terza persona, poteva affermare « La Bovary c'est moi », Moravia avrebbe tutto il diritto di dire, a proposito dei personaggi femminili che fa parlare in prima persona, « Moravia sono loro ». « Loro » nell'insieme, si capisce, non una per una: nell'insieme, cioè del loro porsi, fra l'altro, come un immenso, brulicante ritratto collettivo, come una galleria di « caratteri » (nel senso classico di Teofrasto e di La Bruyère) che trovano proprio nella loro estraneità, nella loro durezza parcellare, persino nella loro arbitrarietà, il principio di una componibilità seriale altamente suggestiva e potenzialmente infinita. Giovanni Raboni Sophia Loren, « la ciociara », nel film di Vittorio De Sica

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