La violenza collettiva

La violenza collettiva La violenza collettiva Alberto Malucci MOVIMÉNTI DI RIVOLTA. TEORIE E FORME DELL' AZIONE COLLETTIVA Etas Libri, Milano, BlbL politica e sociale, 288 pagine, 5.000 lire. I movimenti sociali in formazione e l'azione collettiva - contrariamente a un diffuso stereotipo - non sono espressioni di irrazionalità e di disgregazione sociale, ma hanno ragioni e significati che coinvolgono il rapporto con gli "avversari". Diciassette saggi: i più in lingua inglese, due francesi ed uno italiano sono stati raccolti da Melucci per fare il punto sul dibattito intorno alle forme attuali di azione collettiva, il mutamento e i movimenti sociali, "le rivoluzioni e la violenza. L'azione collettiva ha trovato, nella industrializzazione e nella urbanizzazione, inconsuete e nuove ragioni per specializzarsi, differenziarsi e organizzarsi. Scioperi, dimostrazioni di forza, colpi di stato, guerriglia, ecc., fanno capo a organizzazioni specializzate, con obiettivi relativamente ben definiti. L'esperienza di società industriali avanzate, come gli Stati Uniti, mostra pure che, la violenza, appare quasi sempre in situazioni caratterizzate simultaneamente da crisi e conflitti. Violenza ed "azione diretta" coincidono solo in relazione al contesto e ai movimenti: si va dalle azioni dimostrative degli anarco-sindacalisti di un tempo alla controcultura dei Provos olandesi e degli Hippies americani ; dalie proteste per i diritti civili o le occupazioni per le abitazioni alla guerriglia dei gruppi come il Baader-Meinhof della Germania Occidentale o le azioni dei Blàck-Panther negri; dalle azioni "simboliche" alle azioni dirette come espressione della democrazia diretta. Il momento dell'organizzazione, già esaminato da sociologi come M. Weber e R. Michels, è significativo sia nello sviluppo che nel declino e nel mutamento dei movimenti sociali. Ma forse è più corretto riferirsi ad una "struttura" dei movimenti sociali, i quali, non essendo ne centralizzati, né amorfi, né spontaneistici, sono invece "segmentari", cioè composti di vari gruppi, o cellule; 'policefali" cioè guidati da più centri spesso in concorrenza tra di loro; e "reticolati" cioè diffusi a rete. Non solo suggestiva ma anche assai ricca è la gamma dei fatti e degli episodi con cui si manifestano le azioni collettive, i movimenti sociali, ie rivoluzioni. In gran parte di questi saggi ricorrono, frequenti, insieme alle descrizioni, i problemi metodologici di definizione, le distinzioni, le classificazioni, le tassonomie, le tipologie dell'azione collettiva. A partire dal contributo di N. Smelser, autore cui va il merito di aver formulato una teoria "moderna" del comportamento collettivo, la scelta dei saggi sembra essere stata largamente orientata da un modo, per così dire "statunitense", di esposizione e di analisi strutturale: un modo descrittivamente ricco, ma spesso naturalistico e destoricizzato. Le analisi dei movimenti sociali risultano più efficaci nei contributi in cui lo studio oggettivo si intreccia con la prospettiva storica dei soggetti sociali, la for¬ mazione della loro coscienza e cultura, la individuazione del loro ruolo come attori storici. Consiglio al lettore la lettura preliminare dei due saggi di Ch. Tilly, i quali offrono una buona guida storica, non solo alla violenza, ma al mutato ruolo della violenza collettiva. E pòi: A. Touraine, sui nuovi conflitti sociali nella società "post-industriale" ; e F. Alberoni, il cui discorso avanza esigenze di storicità assai persuasive, a partire da una storicizzazione della "vita quotidiana" legata alle formazioni di coscienza e ai momenti del passato. Il saggio introduttivo di Melucci, denso ed esaustivo, è rimasto catturato dal tipo prevalente dei contributi da lui raccolti per il volume. L'esigenza di storicità sembra esaurirsi ai confini del "nuovo" che si ravvisa oggi nei movimenti e nell'azione collettiva. Ne soffre, di conseguenza, e viene in qualche modo mortificata quella « provocazione costante » - di cui scrive Melucci - che, l'azione collettiva, come evento dinamico, rappresenta per il sociologo portato ad osservare dati di struttura e di equilibrio sociale. Si sarebbe potuto dare più spazio a contributi europei sulla contestazione fine Anni '60. La saggistica europea sulla contestazione del '68 e anni successivi, se fosse stata più rappresentata, avrebbe offerto una efficace occasione di "sfida", per il sociologo, a mettere in questione le sue categorie di analisi con un materiale storico assai apprezzabile e significativo. È ciò, anche per il fatto che - come scrive Melucci - « i movimenti sociali (nuovi) tendono, sempre più a debordare il sistema politico, a non identificarsi con l'azione dei partiti». Filippo Barbano

Luoghi citati: Germania Occidentale, Milano, Stati Uniti