Nel labirinto della scacchiera

Nel labirinto della scacchiera Nel labirinto della scacchiera Non esiste gioco che si presti, più degli scacchi, ad essere corteggiato da infinite affabulazioni. I "prò* e i "contro" si sprecano. Un gioco affascinante? Una noia senza fine? Sistema dei sistemi, totalità delle totalità, gli scacchi si lasciano volentieri descrivere come una "figura", una lignea metafora della guerra. Ma è chiaro che sono anche l'emblema di tutto. Araldici e simbolici, allusivi come le carte da gioco o le immagini dei tarocchi, i pezzi allineati sulla scacchiera esprimono un potere di fascinazione che precede (basta osservarli) la tensione del gioco, la gioia della partita. Possiedono una perfezione segreta, più sibillina del sorriso di un sultano d'Oriente, più enigmatica del-, le pagine dì un libro di magia medievale. Che cosa manca agli scacchi? Ricoperti dalla gualdrappa, chiusi nella celata, murati ciascuno nella ; propria casella. Alfiere e Cavallo, Pedone e Regina aspettano che si compia, nel corso della partita, un destino esatto e figurato come un cerimoniale. Sanno che-il responso del torneo sarà frutto non meno di scelta che di combinazione, non meno di arbitrio . che di fatalità. In ogni partita di scacchi si gioca il già scritto", si decide il già avvenuto. Protagonisti di tutte le infinite combinazioni possibili, gli scacchi ci guardano, senza spiarci, senza degnarci di alcun interesse, da un punto di lontananza astrale, il punto dove tutto ciò che deve ancora accadere s'imbuca, con un fragore così assordante da essere scambiato per un silènzio siderale, in un abisso di memoria. Non ignara di maleficio, la perfezione degli.scacchi si rivela come il luogo dove il tempo, la vita, il futuro e il passato si cancellano e non esistono. Come un luogo di morte, di assenza, come la perfezione matematica e funerea del nulla. Così è possibile percorrere, partendo dagli scacchi, tutte le strade intellettuali, simili a un labirinto, cui rinvia la loro sterminata ricchezza di significati. Possiamo prendere gli scacchi come un gioco'strutturalista, dove trionfa la sincronia e in qualsiasi momento della partita intervenga l'analisi, il passato non conta. O come un sistema di segni,.che rinvia a una suprema semiologia senza oggetto di ricerca. O infine, come fa Reuben Fine ("La psicologia del giocatore di scacchi", Adelphi, pagg. 185, L. 2.500), il maestro americano attivo negli anni Quaranta e poi divenuto psicanalista di professione, possiamo studiarli come un gioco rivelatore di conflitti del profondò', riconducibili, nello sviluppo dell'io, alla "fase fallico-anale: aggressività, omosessualità, masturbazione, narcisismo, angoscia da castrazione, ecc. Il simbolismo degli scacchi, secondo Fine, si presta a figurare in termini di chiaroveggente evidenza il rapporto con flit tua to coi genitori e soprattutto la rivalità fra padre e figlio : mentre la Donna simboleggia la figura materna (e Suando, si. .chiedeva Ernest ones, il Grand Visir diventò la Vierge, la Regina?), il Re viene identificato come padre, riconosciuto indispensabile e insostituibile, ma anche degradato a pezzo "debole", cioè ridotto alle dimensioni del figlio. Su queste premesse, che sono poi un campionario di merce un po' scaduta. Fine costruisce una teoria classificatoria dove trovano posto, in gruppi antagonisti, i campioni interamente risucchiati dalla nevrosi del gioco (Fischer, Morphy, Alechine, Steinitz, ecc.), insomma gli incurabili, e gli altri, gli "anti-eroi" come Spassky o Botvinnik, Lasker o Euwe, capaci di padroneggiare la propria ossessione e di coltivare, insieme agli scacchi, altre attività intellettuali e professionali. '-- Confesso- che le magiche proprietà degli scacchi, a mio parere, continuano a trascendere queste modeste, e Un po' pedantesche, interpretazioni razionalistiche. Penso che gli < scacchi esprimano una- realtà oggettiva, irreducibile'alle leg-* éi finora hote alla psicanalisi. Insomma un mistero. Una realtà che risiede non già nelle combinazioni in cui si realizza, di volta in Volta, una partita, ma nella somma infinita delle variabili sconfitte, .nel totale dei termini di segno meno, in tutto ciò che, nel corso di ogni partita, resta esclu- so, inespresso, interrotto. Tutto ciò che è possìbile, si sa, incombe sulla scacchiera molto più di ciò che viene scelto e deciso. In questo senso, gli scacchi assomigliano a una musica mai composta, a un romanzo mai scritto, a una vita mai vissuta. Sono l'alibi che incontra, sul suo cammino, ogni creatività difficile e contrastata. A un 'io* tendenzialmente creativo si oppone, in 'ogni giocatore di scacchi, un superio che gode a sprecare le proprie energie, a sciupare la propria intelligenza. Facile preda degli scacchi non è solo chi sia tentato da un sentimento di onninotenza, infantile, ma chi sia prigioniero,, ai tempo stesso, di un'altra nevrosi, di una condizione insuperabile di •passività". Che cosa si celebra,, negli scacchi, se non la "distanza più infima, il diaframma più sottile fra il puro pensiero e la sua applicazione, la sua manifestazione esteriore? Tutti gli ostacoli,; tutti gli sforzi a cui deve adattarsi d pensiero, se vuole esistere, in ogni attività della vita reale, gli scacchi li eliminano. Un massimo di concentrazione, di energia mentale si esprime quasi senza mediazione, con il semplice- allungamento della mano, con un futile gesto. E il raggio dei calcoli intellet- tuali, il quadro di ciò che è immateriale occupa negli scacchi uno spazio, .una vastità che non trova corrispondenza nella lignea materialità dei pezzi e della scacchiera. Ebbene, dove si suonano le musiche più celesti? E a chi spetta il privilegio di tradurre, il puro pensiero in azione senza nessuna fatica, sconfigge^ do non solo l'avversario, ma anche la resistenza del "mezzo"? Uno dei più grandi cam- «ioni che siano mai esistiti, Wilhelm Steinitz, al termine della sua prodigiosa carriera cominciò a soffrire di visioni. Pensava di emettere ónde elettriche con le quali avrebbe spostato i pezzi senza muovere il braccio. Presumeva che si potesse telefonare senza bisogno di cavo e di ricevitore. Andava alla finestra, parlava, e aspettava la risposta da un telefono invisibile. Steinitz presumeva anche di essere in comunicazione con Dio, e di poter gareggiare con Dio concedendogli il vantaggio di un Pedone e del tratto. Fu ricoverato in clinica psichiatrica, nel 1897, e dopo tre anni morì. Steinitz era certamente pazzo, e meritevole di cure. Ma nessuno come lui, in quegli anni di follia, andò vicino al centro degli scacchi, vicinissimo a comprenderne il mistero. Cesare Garboll _ « V^j Mèi Gli.scacchi di Man Ray