Il canto tragico di Paul Celan di Giovanni Raboni
Il canto tragico di Paul Celan Il canto tragico di Paul Celan Paul Celan POESIE Mondadori, Milano, 230 pagine, 4.500 lire. La leggenda di Paul Celan è arrivata in Italia parecchio tempo prima della sua poesia. Di origine ebraica, nato in Romania ma da genitori di lingua tedesca, conobbe in gioventù gli orróri del ghetto e della deportazione; alla fine della guerra, seguendo la sorte della Bucovina, divenne cittadino sovietico; visse poi a Bucarest, a Vienna e infine a Parigi, partecipando, nello stesso tempo, alle esperienze della nuova avanguardia tedesca (Gruppo 47) e a quelle del post-surrealismo francese (traduzioni da Char, da Du Bouchet ecc.). A Parigi, dove insegnava all'Ecole Normale, si tolse la vita nell'aprile del 1970 gettandosi nella Senna. Bastano, forse, questi scheletrici cenni biografici a evocare l'immagine di un uomo coinvolto in prima persona in quella spaventosa vicenda di dispersioni, mutilazioni esistenziali e perdite di identità che è la storia d'Europa dagli zssd trenta agli anni cinquanta; e, insieme, l'immagine di uno scrittore che, pur restando fedele alla propria lingua, è in grado di distillare preziosamente dentro di sé una vastissima gamma di suggestioni e di influenze, facendo della propria poesia, tra l'altro, il messaggio-limite e il compendio testamentario di un intero mondo, di un intero paesaggio, di un intero patrimonio espressivo, paradossalmente uniti al di là dei confini e delle differenze etnlco-culturali. Questa immagine, che può sembrare — appunto — soltanto «leggendaria», trova nella lettura dei versi di Celan una verifica emozionante. li poeta che ne risulta è davvero il poeta (forse l'ultimo poeta) dell'immensa pianura che attraversa l'Europa dalla Russia alla Bretagna, dagli Urali alla finis terree; una pianura dove scorrono fiumi che si chiamano Senna e Moldava, Moscova e Danubio, e dove suonano ugualmente fraterne le voci di Blok e di Rimbaud, di Traki e di Mandel' stam (ho citato, non a caso, tre poeti — Rimbaud, Blok, Mandel'stam — che Celan amò e tradusse). Nell'arco della poesia di Celan, dalla prima raccolta, Papavero e memorie, del 1952, all'ultima, Zona di neve, uscita postuma un anno dopo la sua morte, l'immagine che ho cercato di suggerire si evolve, mi sembra, da un massimo di figuratività e di patetismo (cui corrisponde un verso affabile e solenne, da nenia, da ballata) a un massimo di concentrazione e di astrattezza (cui corrisponde un ritmo spezzato, smangiato, nevrotico e un agglutinamento lessicale e sintattico al limite del puro segno, della croce, del rifiuto semantico). Ma io credo che la finale oscurità di Celan — di cui tanto, e non senza ragione, si parla, e che rende la comprensione pratica delle sue ultime poesie un'impresa poco meno che impossibile — non derivi da un programma estetico, da un'intenzione «letteraria», quanto piuttosto, ancora una volta, dal disperato coincidere, dentro di lui, di ragioni esistenziali e ragioni storiche: la sua insanabile malinconia e solitudine di deportato rispecchiandosi, ormai, nel tramonto di un « dopo » (dopo la guerra, dopo le deportazioni, dopo gli stermini) attraverso Ù quale balena l'atroce minaccia di un « prima ». Giovanni Raboni
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