Dostoevskij in pantofole

Dostoevskij in pantofole Dostoevskij in pantofole Anna Snitkina aveva vent'anni quando conobbe e sposò Fèdor Dostoevskij. Non era una ragazza eccezionalmente bella e neppure particolarmente intelligente. Studentessa di scienze naturali, aveva interrotto gli studi poiché non riusciva a sopportare la vista della dissezione di animali morti. Dallo studio delle scienze era quindi passata a quello — molto meno traumatizzante — detta stenografia. A quell'epoca Dostoevskij cercava una segretaria a cui dettare il romanzo al quale lavorava, Il giocatore. Fu così che Anna e lo scrittore si conobbero. Trascorsero poche settimane e Fèdor, che aveva 46 anni, le chiese di sposarlo. Durante i primi anni di matrimonio, Anna Dostoevskaja redasse un diario e sulla base di quelle note, per lo più stenografiche, scrisse fra il 1911 e il 1916 un libro di memorie che fu pubblicato per la prima volta sette anni dopo la morte dell'autrice, in un'edizione curata da Leonid Grossman, a cui seguì nel 1971 una seconda edizione, più sistematica e arricchita di un approfondito commento critico. Queste memorie sono state ora tradotte in inglese da Beatrice Stillman, col semplice titolo di Dostoevskij, e pubblicate dalla Wildwood House. Molti si aspettavano da questo libro un ritratto sincero del grande scrittore russo, un discorso che riuscisse finalmente a sciogliere i molti nodi che rendono tuttora enigmatica la figura di uno dei più tormentati narratori del nostro tempo. Invece, come ha detto il critico Alex De longe, da queste pagine non affiorano che « idealizzazione e reticenza », forse perché, insinua il De Jonge, Anna fu certamente una buona moglie, ma fu anche una donna che restava sempre al di qua della porta dello studio del marito; una donna cioè che. non cercava o non riusciva a penetrare la natura psicologica di Dostoevskij e che non ha saputo dirci, per esempio, per quale ragione lo scrittore abbia deciso improvvisamente di finirla col gioco. E tanti altri episodi restano oscuri. Non si parla di Polina Suslova, una donna che Dostoevskij amò profondamente e di cui Anna era gelosissima, al punto da aprire di nascosto certe sue lettere, come si racconta invece nel Diario. Viene mistificato il problema religioso di Dostoevskij, raffigurato come un uomo devoto e ortodossamente cristiano, quando invece, per tutta la vita, fu tormentato dall'ateismo. Michaux racconta Henry Michaux divenne un caso letterario quando, nel 1941, André Gide parlò di lui in una conferenza intitolata significativamente Découvrons H.M. Prima di allora Michaux. si era dedicato all'arte figurativa, aveva viaggiato moltissimo (il viaggio, come la droga, erano per lui una straordinaria forma di liberazione), aveva scritto dei libri improntati ad un simbolismo kafkiano e all'esplorazione del proprio mondo interiore. Dopo il discorso di Gide, Michaux continuò in perfetta solitudine e quasi in selvatica scontrosità (rifiuterà persino il Grand Prix National des Lettres) a tradurre in scrittura le immagini che gli sorgevano sotto gli stimoli della droga. Scrisse così Misérable miracle, L'infini turbulent, Connaissance par les gouffres, Les grandes épreuves de l'esprit, Un barbaro in Asia, tradotto nel 74 in italiano da Einaudi. Ora Michaux ha pubblicato Face à ce qui se dérobe (Gallimard), in cui non accade nulla e in cui tuttavia accade tutto, portando all'estremo quel suo esercizio di suscitare le sensazioni e di farle passare dallo « spazio interiore» a quello della scrittura, fissando così in forme visibili (ed ecco il senso del titolo) ciò che è nascosto. Fra i racconti del volume ce n'è imo, Bras casse, che era già stato pubblicato nel 73 e che vale come esempio di tutta la straordinaria arte narrativa di Michaux. In queste pagine, aveva osservato Raymond Jean, è. acutissima « quella meravigliosa iperstesia che fa di un episodio della vita quotidiana un evento dalle vibrazioni, dalle risonanze illimitate ». Nel racconto si narra di un braccio spezzato. L'isolamento, la coabìtazione col dolore, tutto concorre a fare di questo braccio non il luogo di una lussazione o di una frattura, ma un centro d'irradiazione poetica. • o.g.

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