La Chiesa, il diavolo, il sesso

La Chiesa, il diavolo, il sesso La Chiesa, il diavolo, il sesso Maservei no: I diavoli fé parte di una collezione di opuscoli popolari scelti da Guglielmo Amerighi, benissimo illustrati, e nel suo sottotitolo c'è ; l'avvertenza che si tratta dei diavoli di cent'anni or sono. Uscì infatti in francese nel 1863, e già allora Delmay si domandava come mai nel pieno secolo dei lumi e del progresso ancora sì potesse parlare dei diavolo e delle sue corna come ne avevano parlato le bisnonne. Ingenua meraviglia, domanda retorica; ancor oggi difatti ne parla Paolo vi (suoi discorsi del 29 giugno e del 15 novembre 1972) e ne fa scrivere in due ancora più recenti paginoni dell'Osservatore romano (26 giugno 1975). L'attualità del diavolo resiste dunque sempre bene, e sempre fondata sugli stessi argomenti: . « Il maligno si insinua dappertutto. Voi gli camminate gomito a gomito nella via — lèggo in Delmay — salite in vettura con lui, rischiate di respirarlo nell'aria, forse d'inghiottirlo addirittura, come > toccò a quella religiosa che fu invasata per aver mangiato una semplice foglia di lattuga sulla quale Astarotte stava a sedere. E' vero che costei s'era scordata di dire il suo benedicite prima di mangiare la malaugurata lattuga». Giusto per un assaggio di demonologia comparata, devo informare che anche il nostro Carducci conosceva la storia della sventurata religiosa, dell'insalata e del diavolo. Nella polemica che egli ebbe con Quirico Filopanti dopo la pubblicazione del suo « Inno a Satana » (nel 1869, cioè proprio negli anni degli stupori di Delmay) denunciava difatti come esempio di obbrobrio: «Quella povera monacella desidera un cesto di indivia? In quel cesto v'è Satana ». Quanto alla possibilità di respirare il diavolo nell'aria, se non addirittura di inghiottirlo, si può citare un altro poeta, Baudelaire, che in quei medesimi anni (i cinquanta-sessanta dello scorso secolo) non esitava a scrivere: « Sans cesse à mes cotes s'agite le demoh / il nage autour de moi comme un air impalpable / je l'ovale et je sens qui brute mon poumon I et l'emptit d'un desir etemei et coupable» (cfr. in Les fleurs du mal, CIX, « La destruction »). II maligno si insinua dunque dappertutto, come diceva Delmay e come ha confermato Paolo VI ammonendo che esso è entrato sotto le forme del dubbio nelle nòstre coscienze, e che vi è entrato anzi per finestre che dovevano essere aperte alla luce. Il papa disse infatti (il 29 giugno 1972, festa dei Santi Pietro e Paolo) di avere la sensazione che « da qualche fessura sia penetrato il fumo di Satana nel tempio di Dio ». Addirittura in chiesa ci sarebbe dunque puzzo di zolfo, che è, secondo Primo Levi (Il sistema periodico, Einaudi 1975, pag. 165) un odore sporco e triste, sicché «magari poteva anche aver ragione il prete, quando diceva che nell'mferno c'è odore di zolfo. Del resto, non piace nemmeno ai cani, tutti lo sanno ». L'opuscolo di Delmay è dunque un testo prezioso a dimostrazione, innanzitutto, di una imperterrita continuità culturale di demonofobia, e peraltro nel merito è utilis- simo come dizionarietto dei principali diavoli contro- i quali dobbiamo vigilare. Esso difatti offre in poche pagine, oltre alle effigi, prerogative e biografie di una decina di diavoli (Belzebù, Adramelec, Aguaresso, Andusciasso. Aminone, Asmodeò, Astarotte, Abracasso. Behemot, Belfagor) i quali sono certamente pochi per una piena conoscenza della demonologia: si pensi che le legioni diaboliche sono, formate da 6.666 demoni ciascuna, e che questo e quel diavolo ne comanda, chi veutinove (Andusciasso) e chi trentuno (Aguaresso) e chi probabilmente anche di più. Ce n'è dunque per tutti, e hanno ragione i preti, i papi ed i poeti a metterci in guardia. Ma se vogliamo stare a discorsi più seri, il libro di Herbert Haag, che ha per sottotitolo «Idea e realtà del mondo demoniaco », ci guida a fare ragionamenti di ben altra qualità. Professore di teologia neo-testamentaria nella università, di Tubinga, egli comincia a prendere atto che la credenza nel diavolo rimonta alla preistoria e ne fornisce poi la documentazione dilatata dalla civiltà mescpotamica al terrificante mondo mitico dell'Egitto, alle lotte fra dei e demoni in Fenicia, al regno demoniaco dell'Islam. Israele ha un capitolo a sé, ma in Israele il diavolo non è oggetto di fede, bensì tema di miti, di leggende apocrife e di influssi iranici, ciò che è già un passo avanti: e che del resto ancora si allunga di un buon tratto poiché sostiene Haag — onestamente è da vedere « un rifiuto della demonologia e del satanismo nell'annuncio di salvezza contenuto nel Nuovo Testamento». Mi sembra * un concetto ineccepibile nella sua stessa semplice enunciazione, ma naturalmente Haag si addentra in un esame dotto quanto minuzioso degli evangelici sinottici, delle allegorìe, della satanologia e demonologia nelle lettere di Paolo, negli scrìtti di Giovanni e in quelli posteriori al nuovo testamento. Allora, il diavolo non esiste? Aldo Gecchelin, traduttore e riduttore del libro nella edizione italiana (in tedesco: Teufelsglaube, Katzmànn Verta* KG, Tubingen 1974) avverte che una domanda posta in questi termini, e cioè per sapere se al diavolo competa una realtà ontologica o personale, è teologicamente insolubile, anzi piuttosto futile. Basta notare l'assurda inge¬ nuità che ha chi pensa che se il diavolo non esiste non c'è neppure il peccato, di modo che non sarebbe più possibile spiegare la legge di Dio, Cristo, il paradiso e l'inferno. Per parlare di Dio bisognerebbe infatti partire dal diavolo, come se Dio esistesse appunto o solo perché c'è il diavolo. Insomma, il diavolo prenderebbe il posto di Dio, posto che inconsciamente gli attribuiscono molti credenti pur di buonissima fede. Ma fin qui siamo sul terreno teologico che è per molti estremamente arduo, praticabile solo da pochissimi, e per i più non attraente, specie ai giorni nostri. Ma si possono battere altre strade, più congeniali alla cultura di oggi. Una moderna metodologia scientifica ci può aiutare meglio: la psicopatologia, ad esempio, ha dimostrato a dispetto di certi libri e certi film di pur {rande successo (penso a 'esorcista dell'americano William P. Blatty, dal quale è stata ricavata una omonima pellicola del purtroppo fortunato filone cinematografico detto dell'orrore) che la teorìa e la prassi riguardanti la cosiddetta possessione diabolica mancano di consistenza. Quelli che in età più fideistiche della nostra erano considerati segni della presenza del diavolo, sono oggi più freddamente classificati con i nomi di schizofrenia, epilessia, isterismo, paranoia, depressione maniaca, eccetera. Quelli che una volta erano chiamati diavoli, oggi sappiamo abbastanza bene che non son altro cbe complessi inconsci non assimilati. Haag che già scrìsse nel 1969 un Abschied vom teufel (liquidazione del diavolo) ci dà ora tre capitoli che opportunamente documentano quali siano state nella storia le tragiche conseguenze della credenza nel diavolo, dalla cosiddetta possessione e connessi esorcismi, alla caccia alle streghe, e al satanismo contemporaneo come subreligione. Ce n'è abbastanza per inorridire davanti alle degenerazioni che l'umanità ha sofferto o ancora sta soffrendo appunto in forza della mitizzazione del diavolo. La fede, insomma, non perderebbe nulla rinunciando al diavolo (così si intitola la conclusione del libro) e per mio conto se proprio non voglio rinunciare a tutta quella demonologia che per qualche verso è così divertente, mi sento abbastanza sicuro rifacendomi a una bella quartina di Pierre Jean De Beranger, il grande padre dei veri chansonniers francesi, il quale fino dal secolo scorso (i tempi di Delmay, di Baudc lai re e Carducci) raccontò il duello a morte fra il diavolo e sant'Ignazio, che diede a bere a Satana un veleno, naturalmente benedetto: « Satan boit, et pris de colique / z7 jure, il grimace, il se tord / il creve comrre un heretique. I Le diuble est mort, le diable est mort ». Perciò mi auguro che morto il diavolo una buona volta, o per la santa pozione di sant'Ignazio o per la liquidazione, abschied, di Herbert Haag, non ce lo voglia più resuscitare nessuno. Vittorio Gorresio Recenti dichiarazioni di altissima fonte o ispirazione hanno riaffermato con intransigenza la posizione della Chiesa su due tensi che sono oggetto di disputa, si può dire, sin dalle origini del Cristianesimo: il diavolo e il sesso. La dottrina ufficiale della Chiesa cattolica rimane immutata: l'esistenza del Diavolo è fuori discussione, e non sono leciti rapporti sessuali fuori del matrimonio. Su questi argomenti è in corso un acceso dibattito, al quale vogliamo dare un contributo con un articolo di Vittorio Gorresio, che prende spunto da due libri di recentissima pubblicazione («I diavoli», a cura di Bernard Delmay, Editrice Fiorentina, 28 pagine, sXp.; « La credenza nel diavolo » di Herbert Haag, Mondadori, Milano, 276 pagine, 3.500 lire), e uno di Giancarlo Zizola, che si richiama all'ultimo saggio di Stephen Pfurtner, «La Chiesa e la sessualità» (Bompiani, Milano, 332 pagine, 5.000 lire). unii * IÈ Pi Wm " |

Luoghi citati: Egitto, Israele, Milano, Santi Pietro