Il successo e l'utopia

Il successo e l'utopia Il successo e l'utopia Un'autorecensione. Un'autostroncatura. Difficile autorecensirsi. Più facile autostroncarsi. E preferibile, anche: visto che nessuno pratica le belle, nette stroncature di una volta. Ma appunto perciò la autostroncatura suonerebbe rimprovero a coloro che benevolmente ci hanno recensito. Sarebbe anzi un atto di pura e nera ingratitudine. (In verità, non posso lamentarmi: la stroncatura, generalmente in disuso, a me più di una volta è capitato di godermela; si vedano, per esempio, quelle che si sono abbattute sul Contesto. £Wo che non vi presiedeva la letteratura, ma la politica e il costume). Cercherò di tenere una via di mezzo: tra la recensione (elogiativa per come si usa) e la stroncatura. Toccando due soli punti. Primo: La scomparsa di Majorana è, dopo / fisici di Durrenmatt, la sola opera letteraria che, nel giro di più che un decennio, affronti con giustezza e con giusta violenza il problema dei rapporti (ormai inesistenti, ormai criminalmente vanificati) tra 1' umanità e la scienza e tra la scienza e il potere (invece esistenti e sempre più criminalmente rafforzati). Questi due esili libretti, uno del 1962, 1' altro di quest'anno, così soli, così sparuti di fronte a dei fatti che il potere riesce a difendere con l'esercizio di una omertà massiccia e insieme capillare, sono atti di coraggio: e rendono la letteratura — ormai smarrita nei labirinti di una sessualità che si illude libertaria mentre fonda nuovi modelli di antica schiavitù — al suo ufficio umanistico, e cioè di amore all'uomo. Poiché sono sole, le sole, un confronto tra le due operette si impone. Nella commedia di Durrenmatt il fisico che ha fatto la scoperà che sa nefasta per il genere umano, difende il suo segreto e si autopunisce chiu¬ dendosi in un manicomio di lusso. Nel mio racconto, Majorana sembra (sembra anche a me) finisca in un convento. In area protestante, il manicomio. In area cattolica, il convento. Nella commedia, il fisico è raggiunto in manicomio da altri due fisici che si fìngono pazzi — uno dice di essere Newton, l'altro Einstein — e che hanno il compito, assegnato loro da due diversi paesi in guerra fredda, di carpirgli il segreto. Ma a carpirglielo sarà la direttrice del manicomio, che lo venderà al maggiore offerente. L'idea della follia, e cioè le teorìe psichiatriche più avanzate, la follia stessa in cui si imbevono la scienza, la politica, fanno alla fine un groviglio che sembra ma non è inesplicabile. Il filo che se ne può sgomitolare è questo: «Ciò che si è pensato una volta non può più venir revocato ». Con questa battuta, che fa dire al fisico che si nasconde, Durrenmatt dà un avvertimento realistico e rifiuta l'utopia della responsabilità individuale, della possibilità dell'individuo di mutare o fermare qualcosa. Questa utopia è invece alla base del mio racconto. Ma un'utopia come questa non serve più, il mondo non sa che farsene. Io so che farmene: ma è un po' troppo scrivere un libro, sia pure esiguo, per una cosa che serve solo a me (e forse anche a pochi altri). Secondo: questa utopia ne nasconde altra, piuttosto arrogante. L'affermazione della « superiorità » della letteratura. Anche di questa, oggi come oggi, il mondo non sa che farsene. Al povero autore, nonostante il grande successo di pubblico che il libretto ha avuto, non resta che sperare nel domani. Una terza utopia. Leonardo Sciascia

Persone citate: Durrenmatt, Einstein, Leonardo Sciascia, Majorana, Newton