L'istituto e la storia di Giovanni Spadolini

L'istituto e la storia L'istituto e la storia La mia storia è in due sensi autobiografica. Il « Cesare Alfieri » come sfondo costante e unico alla mia esperienza universitaria: venticinque anni di insegnamento, un quarto di secolo, su mezzo secolo appena vissuto. Con una disciplina, la « Storia contemporanea», oggi popolarissima e perfino di moda, difesa e quasi imposta negli anni lontani del primo incarico universitario, successore di Carlo Morandi nel 1950, quando tutti si opponevano, i « modernisti » per un verso, i « risorgimentisti» per l'altro. Unico vero alleato: Federico Chabod. Ma anche il «Cesare Alfieri» — questa vecchia scuola fiorentina di scienze sociali fondata un secolo fa da un notabile piemontese, Carlo Alfieri di Sostegno, in ricordo del padre ex-presidente del Consiglio di Carlo Alberto — come momento caratterizzante di una storia globale dell'educazione italiana, come frammento non secondario di un intero paesaggio culturale. Ed ecco il perché del libro, al di là della occasionale ricorrenza centenaria. Una storia tutta fondata sui documenti, molti inediti, della nascita e primi passi di una scuola libera, fra il 1875 e fine del secolo: inquadrata da un saggio storico preliminare che tende a scoprire le cause del mancato sviluppo del pluralismo universitario e del pluralismo scolastico nell'evoluzione del nostro paese. La storia di un fallimento, allora? In un certo senso, sì: pur nell'affetto per una scuola che mi accolse, giovanissimo e quasi sconosciuto insegnante, pur nella nostalgia sempre pungente per una parte del proprio mondo perdu¬ to, questo libro su « Il Cesare Alfieri nella storia d'Italia » è il racconto, documentato e analitico e perfino in certe parti puntiglioso, di una grande occasione perduta nella storia del nostro secolo unitario: la occasione di libere Università accanto a Università di Stato, la gara fra scuole Ubere, libere espressioni di una realtà sodate molteplice e composita, e la massiccia struttura, tutta napoleonica e francese, della educazione pubblica, integ. almente di Stato, con le sue grandezze ma anche con le sue chiusure, dalle elementari agli atenei. Carlo Alfieri, questo piemontese trapiantato e morto a Firenze, rappresentò la voce anti-centralistica e autonomistica del liberalismo piemontese, sul versante della Destra. « No » a Roma capitale, fino a dissentire da Cavour (il grande modello anche di famiglia, avendo Carlo sposato la nipote prediletta Giuseppina); preferenza per To:.'r,a o Firenze capitali; un' Italia rispettosa delle sue tradizioni municipali e delle sue componenti regionali. Un po' come Minghetti. Più Inghilterra che Francia, e in Francia solo o soprattutto Tocqueville. Quali sono le ultime tracce universitarie di questa storia? L'Alfieri a Firenze, ormai facoltà, ma facoltà anomala; la Bocconi a Milano, libera ma ancora fiorente Università. Niente o quasi a Torino. Il genio piemontese del « diverso » si è espresso e quasi consumato a Firenze: prima e costante sede di quella che Alfieri, il fondatore, chiamava la « Manchester italiana ». Potrebbe essere un motivo di meditazione. Giovanni Spadolini