Il rogo di Rimbaud

Il rogo di Rimbaud Il rogo di Rimbaud La più completa edizione italiana delle opere del poeta francese che per raggiungere una più alta verità bruciò la propria esistenza Arthur Rimbaud OPERE, a cura di Diana Grange Fiori. Introduzione di Yves Bonnefoy Mondadori, Milano, 907 pagine, 9.000 lire. Arthur Rimbaud è di quei poeti che, ciclicamente, vengono riletti, ritradotti, e infine privilegiati in questo o quello aspetto dell'opera che, da cento anni ormai, è una delle matrici fisse degli archetipi della poesia moderna non soltanto francese. La pubblicazione delle Opere di Rimbaud nei Meridiani rientra dunque in questa proposta ricorrente che, anche da noi, ha avuto fasi ben scandite dai tempi della iniziale scoperta con Soffici, i Vociani e Campana soprattutto, alla successiva rilettura novecentesca pervenuta al registro dell'ineffabilità da parte degli eponimi dell'Ermetismo, fino alle ricorrenti interpretazioni dell'ultimo trentennio, culminante, ad esempio, in quella di Sergio Solmi, il cui volume rimbaudiano è di appena un anno fa. Queste Opere che ora leggiamo, a cura e tradotte da Diana Grange Fiori e introdotte dal poeta francese Yves Bonnefoy, hanno il pregio di una completezza che mai prima si era veduta in Italia, anche perché, oltre a offrire tutta l'opera poetica sia in verso che in prosa, dalle Poesie vere e proprie a Una stagione in inferno alle Illuminazioni, offrono anche le Opere varie e le Prose e versi di collegio, oltre alle Minute per « Una stagione in inferno » e, soprattutto, a una vastissima sezione della Corrispondenza, la cui pubblicazione integrale anche in Francia è solo del 1972. L'« Introduzione » di Yves Bonnefoy punta su un esame strutturale del linguaggio vero e proprio della poesia di Rimbaud, prendendo lo spunto da alcuni testi determinan- ti all'individuazione delle varie fasi dell'opera, e dando, in un certo senso, per note le stagioni avventurose della biografìa del poeta: dalla precoce e genialissima adolescenza di Charleville sotto la tutela troppo rigorosa e puritana della madre; alle successive fughe parigine e poi londinesi e belghe, nell'ambiente della grande bohème artistica dei brevi anni (1870-75) della sua culminante attività letteraria, compresi i drammatici sodalizi con Verlaine e Germain Nouveau; alle avventure africane ormai fuori dalla letteratura, ma riverberanti di continuo su di essa, terminate col ritorno in Francia e la precoce morte a Marsiglia nel 1891, con la sola assistenza della sorella Isabella, da allora tutrice fedele se pure unilaterale della futura gloria. Dalla premessa correttamente freudiana dello studio dei suoi rapporti con la madre, Bonnefoy risalirà allo studio della prima stagione « celebrativa » della poesia rimbaudiana, caratterizzata da un progressivo distacco dal. mitico realismo e autobiografismo giovanile carico ancora di richiami classicisti e parnassiani, per penetrare in una zona di baudelairiane « corrispondenze », assai più ricca di novità lirica e di autonomia, pur nelle scadenze di una vita tanto popolata di avventure reali e dell'immaginazione, quanto disposta a bruciarle interamente in un linguaggio, per mettere a fuoco la stagione più geniale e innovativa della sua opera. È, quella che, dopo avere scritto testi decisivi come « Voyelles » (« Vocali ») o « Le Bateau ivre » (« Battello ebbro »), Rimbaud avrebbe teorizzato e cercato di chiarire prima di tutto a se stesso in un celebre brano come «Alchimia del verbo » di Una stagione in inferno, o nell'altrettanto famosa lettera a Paul Demeny del maggio 1871, in cui avrebbe definito il poeta come « veggente », come un essere interamente posseduto da un linguaggio risolto in « altro », in un « fuori » che negando l'esistenza quotidiana, e pur vivendola in un certo senso fino nelle sue esperienze più estreme, sia personali che collettive, proprio in fondo a questa negazione e combustione avrebbe colto una diversa e più ricca vicenda di verità immaginativa, di intatta e intangibile polvere cosmica. Non staremo neanche a dire quanto di tali proposizioni («La Poesia non ritmerà più l'azione; sarà davanti »), da Rimbaud peraltro tradotte in testi che, ancor oggi, trovano eco in tutte le letterature, siano stati in qualche modo debitori i diversi movimenti innovatori dell'arte e della poesia di questo secolo. Bonnefoy nella sua ■* Introduzione », ardua quanto penetrante, ha avuto il gran merito di metterne a fuoco il linguaggio, la letterarietà e la materialità piuttosto che la suggestiora, diciamo, spiritualistica, ;he taluni interpreti ne avevano un tempo privilegiala. La traduzione della Grange Fiori ha inteso restituire i testi rimbaudiani secondo una medesima prospettiva che parte dalla radice delle parole e del loro significato, e intende restituirle secondo una stretta fedeltà alla base del testo stesso e, solo quando quest'ultimo lo consenta, in un tentativo di « trascrizione musicale ». È un'opera svolta con amore e con risultati spesso più che soddisfacenti: basta leggere, nella sua traduzione, componimenti che abbiamo tutti nell'orecchio come « Les Reparties de Nina », o « Au Cabaret-vert » o « Les Po ètes de sept ans » o, appunto, « Voyelles » e « Le Bateau ivre », o alcune notissime poesie tarde come « L'Eternité » o « Mémoire ». In altri casi si potrebbe discutere, come è inevitabile anche per le migliori traduzioni. Viene, comunque, dal volume nel suo complesso, una dimensione di Rimbaud pienamente aderente al proprio linguaggio e immersa nei vari aspetti della sua avventura esistenziale e fin romanzesca; uno scrittore sprofondato nel cielo nero della sua sperimentazione inesausta del futuro di tutti i tempi; anche dei nostri, tanto più bisognosi della sua perduta genialità nell'affrontare la metamorfosi di tutto, in una totalità fatta linguaggio e immaginazione. Marco Forti

Luoghi citati: Francia, Italia, Marsiglia, Milano