il 13°apostolo dio nel soviet

il 13°apostolo dio nel soviet T L /anteprima : il 13°apostolo dio nel soviet « Il tredicesimo apostolo » è un saggio di Cesare G. De Michelis, docente di letteratura russa all'Università di Bari, che riprende il titolo escogitato da Majakovskij per un suo poema; ma come lui, molti altri scrittori sovietici possono essere definiti « discepoli » dell'ultima ora di Gesù di Nazareth, del quale hanno in qualche modo parlato, al di fuori o ai margini di una collocazione confessionale. Da questo suggestivo filone di ricerca nasce il lavoro di De Michelis: ne pubblichiamo, per gentile concessione dell'Editrice Claudiana di Torino, due brani che si riferiscono a Blok ed a Majakovskij. N... Tira il vento, turbina la neve, vanno dodici uomini... EL GENNAIO del 1918 (erano trascorsi appena due me^ si dall'Ottobre), il più celebre poeta russo dell'epoca, Àleksandr Blok, si accinse alla stesura di un poemetto che, compiuto in pochi giorni, era destinato a oscurare la fama pure vastissima di tutta la sua produzione lirica e drammatica: Dvenadcat' (I dodici). Tutto inteso a rendere la « musica della rivoluzione », che egli salutò fin dal suo sorgere come caos rigeneratore, come catarsi storica, insieme a pochissimi altri intellettuali, Blok costruì un testo affatto inusuale non solo alla tradizione poetica russa, ma alla sua stessa maestrìa verbale. Strutturalmente — dice un commentatore — il poema è una serie di frammenti di disuguale lunghezza, diversissimi di metro, ispirazione e tono. In questa com¬ plessa composizione il ritmo e lo stile oscillano fra gli estremi opposti dell'arte d'avanguardia e della poesia popolare [...]. L'esordio è descrittivo ed evocativo, il nucleo centrale è narrativo [...]. Un insieme di figurine appare e scompare in quadretti pantomimici culminanti in gesti e parole che sono da soli minuscoli drammi, catastrofi microcosmiche. Ma il senso generale del "poema, come avvertì acutamente Lev Trockij, era « un grido di disperazione per il passato che muore, ma un grido di disperazione che si sublima in speranza per l'avvenire ». Costruito dunque come amalgama dissonante di bozzetti e metafore, il poemetto sui Dodici — che vanno intesi non come dodici campioni dell'avanguardia operaia, ma come dodici reietti, « chuligani », ladroni — trova la sua giustificazione esplicativa nell'ultimo quadro, in cui appare chiaro essere coloro, a loro insaputa e loro malgrado, dodici apostoli della nuova realtà, guidati nella tempesta rivo¬ luzionaria, tra i relitti della caduta città borghese, da Gesù Cristo, che li precede > reggendo la bandiera rossa: Così vanno con passo possente — dietro — un cane affamato, dinanzi, con la bandiera sanguigna, e invisibile oltre la bufera, e invulnerabile dalle pallottole, in un lieve incedere sopra la tormenta, in un niveo profluvio perlaceo, con un bianco serto di rose, — dinanzi, Gesù Cristo. Si può ben dire che con / dodici di Blok la presenza^- ossessiva della figura di Cristo nell'avverarsi dell'evento rivoluzionario pervade la letteratura sovietica fin dal suo sorgere [...]." C'è un episodio che vale a metterci in guardia da conclusioni sommarie e affrettate: com'è noto, Vladimir Il'ié Lenin non era persona da trattenersi, quando era il caso (anche in «letteratura»), da giudizi sferzanti e netti; sono d'altronde evidenti le ragioni per cui quel Cristo che guida la Rivoluzione potesse non andargli a genio. Pure, ricorda V. Sul'gin, quando Lenin gli chiese se amasse Blok, e l'interpellato rispose di sì,, proseguì: «Anche Gleb [Krzizanovskij] ha preso una sbandata per Blok ». All'improvviso aggiunse: « V belom venéike iz roz / vperedi lisus Christos... Voi lo capite? Spiegatemelo». E senza attendere risposta, concluse: « Io non lo capisco ». Se Lenin non «capiva» quello strano « Cristo rivoluzionario », lo stesso Blok si dichiarò più volte estremamente perplesso di fronte all'immagine conclusiva del poema. Varrà dunque la pena di ripercorrere, assieme a tutta la critica in materia, i momenti più esemplari di tali sue perplessità. Leggiamo nel Diario (7/2/1918): La religione è una ^porcheria (i preti ecc.). Pensiero terribile di questi giorni: il problema non è che le guardie rosse « non sono degne » di Gesù, che adesso marcia con loro; quanto il fatto che è proprio Lui che marcia con loro, e bisognerebbe che fosse un Altro. La medesima idea è ripresa dopo qualche giorno sul Taccuino (18/2/1918): Che Cristo vada dinanzi a loro è indubbio. Il problema non è « se essi siano degni di Lui », ma il terribile è che di nuovo Lui è con loro, e per ora non c'è un altro; ma serve poi un Altro? Sul problema del rapporto con i marxisti (dal Diario, 25/2/1918): I marxisti sono i critici più intelligenti, e i bolscevichi hanno ragione di temere / dodici. Ma... la « tragedia » dell'artista rimane tragedia. Inoltre : se in Russia fosse esistito un clero autentico, e non soltanto una accozzaglia ai persone moralmente ottuse, sacerdoti solo di nome, da tempo si sarebbe «fiutata» questa circostanza, che «Cristo sta con le guardie rosse ». È difficile mettere in dubbio questa verità, semplice per coloro che hanno letto il Vangelo, e ci hanno riflettuto su [...]. La « guardia rossa » è l'acqua al mulino della chiesa cristiana (come i settari, scrupolosamente perseguitati) [...]. Forse che ho « inneggiato » (Kameneva)? Ho solo constatato un fatto: se si guarda nel vortice della tempesta per quella strada, si vede « Gesù Cristo». Ma io stesso qualche volta detesto questo spettro femmineo. Cominciano a trasparire le prime antinomie: Cristo è l'alternativa ad un Altro che manca; per il « cristianesimo puro » non c'è dubbio che Egli stia dalla parte della Rivoluzione, eppure si presenta sotto le spoglie "di uno « spettro femmineo » talora quasi odiato; Cristo si fa strada ideologicamente (teologicamente?), ma si realizza « iconicamente », figurativamente. A questo proposito, è interessante quel .che scrisse al .pittore Jurij Annenkov, che stava approntando "Te* illustrazióni per i Dodici: A proposito di Cristo: non è affatto così [come lo aveva disegnato Annenkov in un primo tempo], piccolo, curvo come il cane che sta dietro, che porta scrupolosamente la sua bandiera e se ne va: Il « Cristo con la bandiera » è « così ma non così». Sapete, quando una bandiera batte al vento (con la pioggia, o con la neve, e soprattutto con le tenebre notturne), sotto di essa si pensa a qualcuno enorme, come dei ssa entità (non è che la porta, o che iu . ?ne, com'è non lo saprei dire). La stessa precisa imprecisione ricorre nella risposta che diede al poeta N. Gumilev, il quale ad un pubblico dibattito sui Dodici (il 4/7/1919) aveva accusato la chiusa del poemetto d'essere « appiccicata artificiosamente », e sostenuto che « l'improvvisa apparizione di Cristo è un effetto puramente letterario», cioè esornativo, tutto esteriore: Anche a me non piace il finale dei Dodici. Avrei voluto che il finale fosse diverso. Quando finii, io stesso rimasi stu_pito: perché Cristo? Ma quanto più guardavo, tanto più chiaramente vedevo Cristo. Allora mi appuntai: purtroppo è Cristo. Per Blok la figura di Cristo, ossessiva, invadente, in qualche modo perfino repulsiva (« purtroppo è Cristo », lo « spettro femmineo», ecc.) era al tempo della stesura dei Dodici un rovello continuo [...]. Non v'ha peraltro dubbio sul fatto che Cristo, questo Cristo femmineo, sia anche un Cristo socialista: perché, secondo Blok, chi ha letto il Vangelo e ci ha meditato, non può nutrire dubbi che « Cristo sta con le guardie rosse ». Scrisse il poeta Eduard Bagrickij, nel prmro anniversario della morte di Blok: Àleksandr Blok vide per primo al di là del sangue che inzaccherava le strade, al di là del fumo denso e greve degli incendi e del fuoco degli spari, il volto luminoso della rivoluzione. La personificò nell'immagine di Cristo, che porta al mondo la nuova dottrina. Questo Cristo è un socialista, che marcia con la bandiera rossa dinanzi alle dodici guardie rosse, gli apostoli del nuovo mondo, tra il sangue e lo sporco, verso l'alba ineluttabile della liberazione mondiale. Una sorta di « socialismo cristiano », dunque? Probabilmente sì, anche se di-

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