Luigi XIV, grande sovrano ma anche grande istrione
Luigi XIV, grande sovrano ma anche grande istrione Luigi XIV, grande sovrano ma anche grande istrione John B. Wolf LUIGI XIV Garzanti, Collana storica, 699 pagine, 12.000 Sire. Se lo storico Goubert non si propone di isolare il Re Sole in una aureola di grandezza, John B. Wolf — la cui opera del '68 esce solo ora in traduzione italiana — si prefigge proprio il fine contrario, e cioè di isolare la grandezza di Luigi XIV togliendogli però laureola. E' un'operazione che risulta interessante soprattutto per chi è abituato a riconoscere nel sovrano francese il monarca assoluto, direttamente investito da Dio di un potere senza limiti. Demistificare la sacralità del sovrano « cristianissimo » non è un lavoro facile se si pensa che John B. Wolf lo affronta in termini di biografia, ricostruendo di momento in momento la vita di Luigi, l'infanzia, l'educazione, la mentalità, il carattere e da quest'ottica psicologica — tipicamente anglosassone — delineando a poco a poco gli ambienti di corte, le relazioni politiche, i conflitti militari, l'assetto dell'Europa, sempre in bilico tra l'aneddotica e il pettegolezzo, ma senza mai deviare dal solco di un profilo storico che avvince e si fa leggere. Il mestiere di re non fu facile per Luigi che fin da bambino ebbe una chiara immagine — dalle rivolte della fronda — di quanto fragile fosse il potere e insidiosa la vita di corte. Di intelligenza precoce, alunno attento del cardinale Mazzarino, acquistò via via la convinzione che fare il re significava dover recitare una parte in una commedia di cui non si poteva modificare il copione o giocare d'azzardo — un gioco in voga alla corte di Francia — ma un gioco in cui non era consentito perdere se si voleva mantenere un trono. E' questo il fondo disincantato dell'animo di Luigi XIV, il punto di partenza di quell'itine7-ario a un tempo fastosi) e inquietante che lo porta a reggere le sorti dell'Europa dal 1661 al 1714, a costruire col sotterfugio o con la violenza — ma sempre con teatralità — quella « gioire » che doveva trasfigurare agli occhi di tutti l'uomo nel sovrano. E' proprio studiando l'uomo che Wolf mette a fuoco la figura del re: un uomo sprezzante, Luigi, nei confronti sia della nobiltà che dei mercanti, e deciso a sottomettere entrambi: solo così avrebbe potuto esercitare il mestiere di re, essere re di fatto e non' solo di nome. Attorno a lui ruotano i grandi temi dell'epoca: il sorgere del nuovo stato militare centralizzato e burocratico; l'annientamento progressivo dei « favoriti » (si pensi al ministro. Fouquet rinchiuso in carcere per circa vent'anni); la strumentalizzazione della regina e delle grandi dame, alternandole — queste ultime — come oggetto di trastullo o di divagazione (si pensi ad Olimpia Mancini, La Vallière, alla marchesa di-Montespan) verso le quali Luigi sapeva essere tenero e crudele, affettuoso-e glaciale, senza permettere mai a nessuna, neppure a Madame de Maintenon (forse l'unica, vera jamica e poi moglie morganatica dal 1684) di penetrare^ nei segreti del ;v e nel cuore dell'uomo. La «presa di potere» di Luigi XIV fu anche la lotta — a volte senza successo — contro l'inerzia, l'inefficienza, i funzionari incapaci, contro la mancanza di un meccanismo politico atto a tradurre rapidamente in pratica la volontà del re, in cui Wolf vede là ragion d'essere del fallimento della politica economica di Colbert. Infaticabile lavoratore. Luigi appare nella biografia dello storico americano come l'abile manager del primo Stato moderno, ma anche il tradizionale principe cristiano, di per sé incredulo q superstizioso, più spesso scettico e privo di illusioni, volto a fare della religióne cattolica un altro apparato scenografico per la costruzione teatrale della regalità!. La concezione del « culto » della regalità, cioè della celebrazione di un rito che aveva luogo tanto nella reggia di Versailles, quanto nella chiesa o sui campi di battaglia, è l'aspetto sul quale il Wolf insiste per interpretare il culto della personalità, l'egomania di Luigi XIV come un'abile recitazione della « mistica » del potére, nelle cui forme il Re Sole — da attore sapiente e consumato — costringeva anche e soprattutto se stesso. Umberto Gastaldi
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