Ora intervisto Attila, Pitagora e De Amicis di Giorgio Manganelli

Ora intervisto Attila, Pitagora e De Amicis Ora intervisto Attila, Pitagora e De Amicis Autori vari LE INTERVISTE IMPOSSIBILI Bompiani, 268 pagine, 3500 lire. Giorgio Manganelli A e B Rizzoli, 186 pagine, 4000 lire. L'idea di un Muzio Scevola « presidente dell'associazione mutilati di guerra della repubblica romana », che si presenta al pubblico con «voce fegatosa, piglio alla Farinacci, toni mussoliniani», rivela facilmente la paternità di Umberto Eco. E ad Eco si deve, con molta -probabilità, la felice ispirazione di quelle « interviste impossibili » che sono state una delle trasmissioni più intelligenti proposte dalla Rai. Di queste « interviste» Bompiani ha dato un succoso repertorio antologico, mentre Rizzoli ha stralciato tutte quelle 'preparate da Giorgio Manganelli. La sorpresa più gradevole è che, scritte, pur private degù effetti sonori, queste « interviste » risultano ancora più godibili per il maggiore spazio riflessivo che consentono. Gli ascoltatori della serie radiofonica sanno bene che il comune denominatore di quella trasmissione era la dissacrazione del luogo comune. Il Pitagora di Eco entra in scena con l'« accento pigro e pacato di un intellettuale del Sud che stia bevendo acqua e anice ». L'Attila di Ceronetti, con la sua frenesia distrut- irice, appare come un messia ecologico nella nostra civiltà invasa dal cemento (tanto che Ceronetti accarezza l'idea di farne un ministro dei Lavori Pubblici). Il De Amicis di Manganelli si qualifica come un « accattone di successo »; e il Monti di Sanguinea è solo un mentecatto di intellettuale che si occupa esclusivamente di sdrucciole Il gusto della battuta dissacrante non è tuttavia fine a se stesso. Dietro la caricatura, le « Interviste impossibili» stampate rivelano un pathos di verità: lo sforzo di ridurre le dimensioni mitiche del personaggio a misure di un possibile giudizio, di un auspicato confronto fra l'uomo e i suoi modelli della tradizione. Divengono così stimolo a rivisitare, con spirito critico, schemi accettati supinamente nella prospettiva possibile, se non altro, di una diversa «verità ». Ed è questa un'operazione culturale che, nella misura in cui, una volta tanto, tiene conto del suo destinatario, ha una sua concreta validità sociale. L'antologia collettiva delle «Interviste impossibili» ■ suggerisce queste confor-. tanti conclusioni: il libro individuale dì Manganelli invece ci riporta indietro. Staccate dall' insieme, le « interviste » di Manganelli tornano ad essere semplici esercizi intellettualistici, « L'importante è proporre delle ipotesi », sì légge ad apertura di libro: ma è solo una promessa. In realr tà Manganelli non prospetta delle ipotesi, conduce un discorso ben preciso. « Nulla è più sincero della falsità », dice il suo Dickens: « solo un libro falso fa piangere come accade nella verità della vita», ribatte il suo De Amicis. Nel mondo della letteratura e nella storia Manganelli incontra solo falsari: Fedro che scrive « per rancore » e Casanova che fugge perpetuamente, ossessionato dall' adorazione delle sue donne; Marco Polo che confessa la sua totale mancanza di fantasia e che rivela, insieme ad Ulisse, le sue aspirazioni ad una quieta vita borghese; Nostradamus che chiede spiegazioni al suo interlocutore sulle proprie « fanfaluche», sui suoi versetti senza senso; Fregoli infine, che s'accorge d'essere « una imitazione del nulla». E' un esercito di falsari, come falso è il mondo, semplice mascherazione del nulla. Un nulla camuffato in cento e mille universi generati, come si legge nel dialogo di apertura di questo libro, « per noia, per impazienza, per ira"», da un « Dio ateo ». Ma qui siamo ormai lontani dallo spirito corrosivo e dalla semplice (ma sana) moralità delle « Interviste impossibili »: impegolati in una ragnatela che rischia di disfarsi ad ogni momento per la sua tenuità, nonostante l'apparenza di meccanismi congegnati perfettamente. Eco aveva dato l'idea di un'operazione culturale collettiva, a cui si erano adattati non solo il moralismo suo e quello di Ceronetti, ma anche il « divertimento» intellettuale di Sanguinea, la fantasia logica di Calvino, la razionalità curiosa di Sciascia, l'ingenuità a programma di Santucci, persino l'ansia esibizionistica di Arbasino: Manganelli l'ha sciupata, o forse ce ne ha solo negata l'illusione. Giorgio De Rienzo