Prima c'era l'uomo adesso c'è la donna di Lidia RaveraLidia Ravera

Prima c'era l'uomo adesso c'è la donna IL PIANTO DEL MASCHIO DEBOLE Prima c'era l'uomo adesso c'è la donna Gerard Depardieu e Omelia Muti nel film «L'ultima donna» di Marco Ferreri che rappresenta con pessimismo il tramonto del ruolo del maschio incapace di comunicare con la sua compagna Lo guardo dormire. Ha appena finito di piangere, e un leggero sibilo al naso e le palpebre rosso pesante sono quanto è rimasto del suo strabiliante dolore. E' strano: negli uomini il pianto ricorda da vicino il raffreddore da fieno. Anche lui è così: si gonfia, arrossa come un tacchino stracotto, lotta virilmente contro qualche umore catarroso che gli impedisce di prendere fiato, singhiozza nervoso come per deglutire e poi crolla in un sonno inquieto ma solido. Le lacrime, quelle sono rimaste una specialità femminile: Maria le fa sgocciolare in silenzio, furtive, da sotto le ciglia, senza una contrazione, senza fatica di muscoli, così, appoggiando le palpebre agli occhi e socchiudendo le labbra. Maria, quando piange, sembra un fiore bagnato. Lui ha visto una volta piangere Maria: si è quasi irritato, ha parlato di femminismo con quel falso rispetto che gli riesce tanto bene, piegando appena le labbra agli angoli, in basso, in una sfumatura di inconscio disprezzo che conosco soltanto io. Ho detto: «Siete le uniche oggi in Italia adì avere uno straccio di rivoluzione. Siete forti, la cresta dell'onda, siete più dialettiche, più dure, più brave... e Maria piange, ma a che gioco vuol giocare Maria?». Forse era tutta invidia, lui è un neofita del pianto. Maria è una veterana: Maria, quando piange, non ricorda il raffreddore da fieno. Non gliel'ho mai detto, a lui, che Maria piange meglio, che commuove di più, che è più bella... Anzi, con lui ostento anch'io una sorta di disprezzo per Maria: certo che io sono diversa, annuisco, certo. Io ho lottato: mai un ' sospiro; aggressività, quella sì, fino alle botte (per tacere dell'Ideologia che mena più duro senza fare rumore), quello è un diritto riconquistato. Non si discute. Ma le lacrime, per Dio, mai, sono come merletti, suggestive maBari, ma poco pratiche, costose, antiche. A lui piace un mio vestito grigio cupo coi pantaloni sformati ad arte e le spalle imbottite: «Sembri Joan Crawford», dice deliziato, «ti manca soltanto il frustino». Io lo guardo seria seria, come se qualsiasi complimento maschile mi dovesse provocare per forza noia e sospetto. Sono fredda, insensibile, tutta d'un pezzo, col viso truccato a sottolineare in rosso mattone gli spigoli duri di zigomi e mento. Non ho una curva, non una dolcezza, sembro un'icona del periodo bizantino. Lui mi osserva rapito, poi crolla,-come crollano le dighe: prima una crepa, un ruggito lontano e subito la piena paurosa del torrente liberato. Mi investe, a fiotti, inarrestabile, con un delirio di autocommiserazione: che lui non ha un partito, che la paternità gli fa paura, che la carriera è una gabbia per gli idioti, che non c'è più niente, né Dio né il denaro, a salvarlo dalla Crisi dell'Occidente. E io? Io sono salva, secondo lui, arrampicata sulla scialuppa del femminismo, approderò presto in qualche Isola Felice che a lui è negata. Insomma: c'era una volta l'uomo, e adesso c'è la donna. Intanto io lavoro e lui si compiange. Torno alla sera con un diavolo per capello e lo trovo, perfettamente disgregato, mentre fa un solitario sul tavolo del salotto. Nel frigorifero fanno bella mostra di sé tre uova e mezza bottiglia di whisky, le stanze traboccano di cicche (a bella posta non apre le finestre, per testimoniare col fumo stagnante il travaglio del suo pomeriggio di autentica crisi esistenziale), il copriletto sconvolto rivela sonni angosciati ma frequenti. Se mi lascio andare a "qualche larvato rimprovero, rischio il suo sarcasmo: mi guarda fisso, occhi addolorati e smorfia sdegnosa, mi guarda a lungo, calibra il silenzio, lo tende fino al disagio, poi lo fracassa in una risata piena di mezzi toni, una di quelle risate con doppiofondo. amare dentro, che fanno paura. «E brava», articola ansimando ancora e asciugandosi gli occhi, senza nemmeno fingere un po' di allegria «tu sì che li hai rovesciati i ruoli... Torni a casa e lamenti la cucina in disordine...». Poi mi pianta in faccia due occhi da condannato, infossati, neri di rancore, e conclude, improvvisamente afono, in un soffio: «Ma credi che sia facile, che non faccia soffrire... stare dalla parte del torto?». Lo so, lo so, lo so fin troppo bene... In fondo, benché emancipata, sono pur sempre 10 la donna. So che cosa vuole dire in certi pomeriggi infiniti 11 tormento delle mura dome¬ stiche, quello spleen, quella voglia di niente... Lo so. mi addolcisco infatti. Al diavolo le cicche e la disorganizzazione alimentare: mi avvicino e gli accarezzo la testa, le guance mal rasate affondate nel cavo delle mani e quella mia camicia estiva troppo colorata che si ostina a indossare in casa... » Anche stasera è stato così: la mia prima carezza è un segnale e il copione vuole che a questa carezza io non sappia rinunciare. Questa sera lui ha pianto. E io. adesso, sto qui. ferma, a guardare, il suo corpo più grande del mio. rivoltarsi pesante nel letto. E adesso che lui dorme e nessuno mi guarda, posso rimboccargli le coperte, rincalzarlo bene come rincalzerei il figlio che non abbiamo, soppesare pietosa il suo sonno soddisfatto. Mi ha regalato il bello spettacolo di un uomo senza identità, disposto a travolgere il radicato tabù delle lacrime in cambio di qualche tenerezza assolutoria. Si sveglierà tardi e muto, io sarò già uscita e lui. con la pressione bassa e il caffè riscaldato, leggerà solo i titoli sul giornale e gli annunci economici distrattamente, sperando di non trovare un lavoro. Mi spaventa o mi lusinga la prospettiva che domani sera si ripeta questa parodia maledetta di odio, di pianto e di riconciliazione? Potrei tornare triste io. magari coi capelli arricciati di fresco o una gonna fiorita, potrei tornare più triste e piangere io. Potrei piangere, certo, dal passato, potrei perfino riesumare' un'emicrania, la faccia dipinta di qualche cipria un po' lunare, pallida, chiara. Gli appoggerei la testa su una spalla e mi lamenterei di avere già trent'anni... forse. E' strano: a poter scegliere fra l'essere deboli e l'essere forti, ci si sente ancora più impacciati, più schiavi, appesantiti da libertà che sembran giochi più che dal vecchio gioco dell'essere inferiori. Ma no. proprio domani sera non è il caso di azzardare queste variazioni. Non domani sera. Me l'ha detto prima di piangere e già me l'ero dimenticato, avevo già rimosso la notizia: domani pomeriggio, lui. alle cinque o giù di lì. va a trovare Maria. Me l'ha detto e già me l'ero dimenticato. Come ha detto? Ah sì: «E' un sacco in crisi sai? Povera ragazza, è un groviglio di nervi, di contraddizioni, non è come te... E'fragile lei». Ha detto proprio così. E ha aggiunto: «Maria ha bisogno di me». Staremo allegri, domani sera: si andrà al cinema. Sicuramente. Lidia Ravera Lidia Ravera

Persone citate: Del Maschio, Gerard Depardieu, Joan Crawford, Marco Ferreri

Luoghi citati: Italia