TRA I RAGAZZI DI BEIRUT, LA CAPITALE MORTA di Igor Man

Crescere nell'orrore in Libano TRA I RAGAZZI DI BEIRUT, LA CAPITALE MORTA Crescere nell'orrore in Libano La guerra ha sconvolto ogni credo e dissolto tutti i valori - C'è chi dispera della prossima generazione - A colloquio con l'ex presidente Chamomi. capo delle «tigri», le milizie cristiane: «Non ci arrenderemo mai ai siriani» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BEIRUT — Due bambine, le mani protette da guanti di filo, raccolgono con diligenza la spazzatura deponendola, a piccoli mucchi, in una carriola-giocattolo. Sorvegliate da una governante francese, le due bambine sembrano divertirsi: il sole, tuttavia, rivela occhiaie profonde. Siamo a Sursok, il centro residenziale di Beirut Est (cristiana), già comoda nicchia dei greci-ortodossi del Libano. I bambini di Ashrafieh son pressoché nudi e scalzi, ma anche le piccine benvestite che raccolgono la spazzatura hanno le ginocchia arabescate di polvere. «On se débrouille-, dice la governante. «On ne mange pus beaucoup, mais on se débrouille-. Il dio della guerra si è rivelato abbastanza clemente coi ricchi della zona cristiana. Anche qui son piovuti, dal primo al sette di ottobre, obici da mortaio 240, organi di Stalin, razzi Grad, bombe al fosforo, al magnesio, al gas ammoniacale ; le distruzioni sono tante ma le cantine, i rifugi dei ricchi han retto e, soprattutto, non è mai mancata l'acqua, seppur razionata. Chi ne aveva in abbondanza, come Lady Yvonne Cockraine (figlia di donna Maria Serra di Cassano, sposa di un aristocratico britannico), ha aperto i cancelli del suo parco e i rubinetti dei pozzi artesiani ai vicini e ai poveri. Di poveri ne sono morti parecchi: il quartiere popolare di Sursok, che dalla collina degrada dolcemente fino al mare, è un cimitero di rovine. I superstiti vengono a riempire le taniche d'acqua accedendo sicuri nel parco di Lady Yvonne. Sul cancello della dimora — un castelletto della metà dell'Ottocento —, c'è un cartello in arabo e in francese: •Distribuzione dell'acqua dalle 8 alle 12; dalle li alle 16.. La padrona del castelletto — bella e accuratamente trasandata —, ci invita a entrare: .Non m'è rimasto che un domestico, dice, mio figlio bada agli operai che stanno murando il portale di casa, divelto dai mortai, mi è impossibile offrire il caffè*. Con la stessa grazia disincantata con cui un tempo accompagnava gli ospiti ad ammirare gli arazzi di famiglia, ci porta in giro a vedere .ti macello' (in italiano) che han fatto «quelli» (i siriani). Le torri del castelletto sono state mozzate dai bombardamenti, le palme decapitate. No, qui i morti non sono stati molti, l'unica 'Vittima illustre, è Andrée Mugnier, la sorella di Raymond Eddé: colpita dai cecchini mentre cercava di traversare le linee, giace in coma profondo. Suo marito è stato ucciso nel 1976 (durante la guerra civile), suo figlio ha perduto una gamba nel 1975, sempre durante -gli avvenimenti-. S'era rifugiata nell'appartamento di una amica, dove ora vivono Nicolas Bustros e sua moglie. -Povero Nicolas, ha visto la sua casa? Un orribile disastro, proprio una roba da non credere...-. Nicolas Bustros è il capo di una delle più antiche famiglie greco-ortodosse di Beirut. L'autista, il cuoco e l'aiuto cuoco, aiutati da tre volenterosi, spazzano via le secolari vetrate a piombo ridotte in frantumi. L'immensa biblioteca, ricca di edizioni' originali, è tutta in briciole. Centinaia di icone rare sono state bruciate, le collezioni di quadri: sventrate; quelle di opaline: in frammenti. I mobili preziosi, le statue: ridotti in poltiglia; i tappeti: fatti a pezzi. Però rimane qualcosa da salvare, destinata a un museo, -sempreché la guerra non ricominci troppo presto-. Sempreché — e questo vien detto in un sussurro —, i miliziani non facciano razzia. Certo, perché i miliziani -quando non combattono fanno gli sciacalli-. Il corrispondente della Reuters racconta che, poche ore dopo il cessate il fuoco, fu visto un ragazzino di Ashrafieh — avrà avuto otto anni . correre verso un alto muc- chio di rifiuti, raspare nell'im mondizia finché non ne emerse un lungo braccio di donna. -La mano, dalle unghie laccate, era gialla, vi spiccava un grosso brillante; con rara perizia il baìnbino lo sfilò dall'anulare della morta per poi correre via, felice della preda-. I medici dicono con tragico distacco che « una generazione di mostri s'annuncia nel Libano. Gli "avvenimenti", la guerra dei siriani hanno sconvolto ogni credo, dissolto tutti i valori. Come sperare nella rinascita quando i vecchi son piagati e i giovani crescono nell'orrore?-. Ma ci sono vecchi tutt'altro che piagati, in Beirut. Ecco Camille Chamoun. ex presidente della Repubblica dal 1952 al '58, l'uomo che provocò la prima guerra civile ostinandosi a ricandidarsi alla presidenza, salvato dallo sbarco dei marines in forza della .dottrina Eisenhower». Stanato, dal cessate il fuoco, dal bunker in cui ha vissuto dall'agosto fino al 7 di ottobre, Chamoun ci riceve nel suo ufficio al secondo piano d'un palazzotto sventrato, sede del quartier generale delle «tigri», le sue milizie (tremila uomini). E' un vecchio di 78 anni, occhiali spessi da miope, uri accenno di sordità. -Sono come una roccia in un torrente in piena-, afferma non senza jattanza. E' in maniche di camicia, lo protegge dagli spifferi un pullover di cashmere. Con voce tribunizia tuona: -Non ci arrenderemo mai. Io combatto, i - I miei due figli combattono, i l a i n o o o l ò a o a l o e a 8 , o o e i miei nipoti. Non ci arrenderemo mai-. Ma la situazione è disperata. Siete isolati. Cosa vi può attendere se non il disastro? «Noi vogliamo mantenere il Libano nelle sue frontiere-. Ma la presenza della Siria non permette di farsi molte illusioni. -Solo un accidente della storia ha voluto che la Siria abbia preso sotto tutela il Libano. Passerà. Noi auspichiamo, e ci battiamo per un regime federale di tipo svizzero. Cantoni musulmani e cantoni cristiani, ognuno per suo conto, per evitare pericolose frizioni-. E' un sogno infranto dal nuovo assetto mediorientale quale si sta prefigurando dopo l'accordo di Camp David, ma il vecchio oltranzista, che non ha disdegnato l'aiuto degli israeliani, vi si abbarbica con ostinazione. Il cessate il fuoco, tuttavia, il fatto che i saudiani abbiano rilevato, ai ponti e alla torre Rinsk, i siriani dà fiato alle illusioni di Chamoun. Illusioni che vanno lontano: quando gli chiediamo un giudizio su Israele, risponde: -E' uno Stato organizzato, sta facendo la pace con l'Egitto. Non vedo perché il Libano non debba fare la pace con Israele-. Il problema è di -fare la pace- con i siriani, di accettare la realtà. -Certo. C'è il cessate il fuoco. Subito dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, alle sette del mattino del 7 ottobre, ho dato ordine ai miei uomini di non sparare se non per legittima difesa. Se la si¬ tuazione precipiterà, sarà colpa dei siriani-, Nell'ufficetto irrompe Dany Chamoun. uno dei due figli del vecchio leader del partito nazional-liberale. Capelli rossi, jeans, aria spavalda, somiglia a un attore hollywoodiano specialista in film di guerra. -La tregua non potrà superare le tre settimane, dice, i siriani vogliono annientare il Libano. Fa comodo a loro, al "fronte della fermezza" arabo che vuol sabotare Camp David: probabilmente fa comodo anche a chi non vuol sabotare quella pace. Ma noi siamo pronti a ricominciare, siamo tutt'altro che stanchi-. Stanco, invece, è Rudolph, portavoce di Chamoun. responsabile delle relazioni con la stampa straniera. Stanco e esasperato. Nel suo ufficio, devastato da calcinacci, dove trionfano sinistramente una chitarra e un pianoforte coperti di polvere, ci dice -quanto non ha detto o non ha voluto dire l'ex presidente-. Sono parole da meditare. -Noi (cristiani) non abbiamo più nulla da perdere. Se l'Occidente non vuol muovere un dito in difesa del Libano, il Paese che ha rappresentato la cultura e la civiltà del mondo occidentale in una regione condizionata dall'apatia degli arabi, noi diventeremo i nuovi palestinesi. Il die vuol dire: Monaco, Fiumicino, Atene. Ci sarà il terrorismo cristiano. Non si può impunemente cancellare una nazione dalla mappa del mondo. E noi cristiani siamo una nazione-. Igor Man