L'Europa miraggio e alibi di Vittorio Gorresio

L'Europa miraggio e alibi Taccuino L'Europa miraggio e alibi Ricevo da Torino un volumetto pubblicato in questi giorni dagli editori Marietti con la firma di due autori: Angelo Giudici, il quale è presentato come un giovane ricercatore animato dai freschi entusiasmi dell'opera prima; e Franco Molinari, docente universitario e saggista. Il titolo è Comunisti e cattolici, e farebbe pensare ad una delle tante esercitazioni che da molti anni sono di moda per raffrontare concezioni e comportamenti politici di ispirazione diversa, e potrebbe quindi promettere non più che l'ennesimo ritorno su un tema così sfruttato ed abusato da rischiare di far pensare all'inconcludenza. Gli è però aggiunto un sottotitolo che vuole essere solleticante: « Incontri ravvicinati di eurotipo ». Si potrebbe anche dire che l'evidente richiamo al titolo di un grosso film americano di successo (Incontri ravvicinati d^-1 terzo tipo) suscita qualche diffidenza, come se si trattasse di un ammiccamento editoriale, alla ricerca di una popolarità a buon mercato. Si preferirebbe invece che argomenti di genere serio e pertanto di trattazione difficile non fossero condotti a scadere sul piano di una pubblicità troppo ovvia. Ma, sempre in copertina, c'è una vignetta che interessa perché aiuta graficamente a capire il senso conclusivo del volume. In quattro piccoli riquadri seno raffigurati i due personaggi protagonisti dell'indagine: il comunista e il cattolico, rispettivamente presentati come un barbone malmesso in arnese che brandisce, chi sa perché, una chitarra; e come un buon borghese evidentemente benpensante tutto rotondo nelle dimensioni, classico esemplare del tipo che in America si chiama invece square, quadrato. Ma non è questa contraddizione in termini che importa: ogni linguaggio di popoli e Paesi differenti ricorre alle immagini geometriche che preferisce. Quello che è da notare è che nel primo riquadro le due figurine, secondo la tecnica usata dai disegnatori di fumetti, mostrano di pensare a modelli diversi. Dalla testa del comunista, per via di circoletti esce difatti il nome di Marx, e da quella del cattolico si alza il nome di Cristo. Secondo riquadro: le ispirazioni si attualizzano nei nomi — rispettivamente — di Stalin e di Pio XII. Chiaro è il riferimento ai tempi della guerra fredda. Terzo riquadro: è venuto il momento del disgelo, e i pensieri vanno, sempre mediante i circoletti, a Kruscev e a Giovanni XXIII. Nel quarto e ultimo riquadro i circoletti del pensiero fuoriescono dalle teste dei due personaggi per confluire in un nome solo, che è Europa. E' una parabola politica e mi sembra che abbia significato e valore di apologo. Sta a dimostrare la verità di una curiosa evoluzione, chiaramente avvertibile nel nostro tempo, secondo la quale da sponde opposte si è arrivati a concludere che stando le cose come stanno — secondo che avrebbe detto De Gaulle — non c'è altra scelta all'infuori dì quella di trovare sul piano dell'Europa il modo di risolvere prò blemi che i contrapposti schieramenti ideologici indigeni non sono riusciti a superare in Italia. Siano quindi rimessi ad altra sede: amoveantur ut solvantur, direi nel mio latino approssimativo. E' una determinazione che suggerisce due diversi tipi di considerazione. Essa da un lato può essere interpretata ed elogiata come necessità di guardare le cose in grande, fuori dall'ambito provinciale italiano. Anche nel vecchio libro giustamente famoso e celebrato di Jean-Francois Revél. Ni Marx ni Jesus, era già stato dimostrato che il problema della scelta è di portata mondiale: dati i mezzi che abbiamo a disposizione, incominciamo intanto a trasferirci sul piano e nelle dimensioni del continente europeo. E' forse là che troveremo quella terza via che in casa nostra non siamo riusciti a scoprire. Fra noi c'è addirittura chi sostiene che essa non esiste (come Norberto Bobbio, per esempio) e durante tutta l'estate abbiamo avuto una polemica serrata a questo riguardo, con interventi dei politologi più rinomati. D'altro canto, però questo rimettersi all'Europa dà anche l'impressione di una soluzione di comodo, di una ricerca di alibi. Fra le opposte concezioni della borghesia cattolica e della intellighenzia comunista, dopo un dibattito tutto sommato sterile, noi ci troviamo dunque, come si dice, a pie del muro. Siamo alla guerra di posizione, nella constatata impossibilità di ricorrere alla guerra decisiva di movimento, e appunto in casi simili i cattivi strateghi — quali ad esempio furono Hitler e Mussolini nella seconda guerra mondiale — vanno a cercare diversioni aprendo nuovi fronti. Se in Inghilterra non si sbarca si parte all'attacco della Russia; se in Africa si ristagna ci si muove per spezzare le reni della Grecia. Insomma, ho l'impressione che l'Europa sia vista come un alibi. Noi non riusciamo a superare sul piano interno le difficoltà quotidiane e quindi ci ripromettiamo di rovesciarle sulle spalle degli altri. Europa, fa tu. Questa Europa è un miraggio, e all'atto pratico mi pare che sia l'equivalente di quel ricorso allo straniero che tante applicazioni ha avuto nel corso della nostra storia. In sé e per sé, considero l'Europa una cosa eccellente e anzi necessaria, da perseguire come obbiettivo con tutto il nostro impegno. Ma sia ben chiara una condizione: che all'Europa si vada dopo avere risolto i problemi di casa nostra. Altrimenti non è una soluzione, perché la politica della storia non concede nessuna via traversa scorciatoia: rischiamo di vedere che l'Europa si faccia senza di noi, senza che noi possiamo entrarci, come Mose non entrò nella Terra promessa. di Vittorio Gorresio