Antichi luoghi di delizia

Antichi luoghi di delizia C ammiri facendo.,. Antichi luoghi di delizi Chiamare Regio Parco il popoloso c popolare quartiere che va oggi sotto quel nome, può sembrare un cont.roeenso. Del Parco quella regione non ha proprio nulla. Quel nome, però, 6 rimasto u ricordare la bellezza e la macrniflcenza cho il luogo ebbe in altri tempi. E' stato Emanitele Filiberto a farne un luogo ili piacere, o. come si diceva allora, « di delizia n. Era. dapprima, una vasta campagna, ubertosa ma senza propria flsonomla, quella che si stendeva fra la Dora, la Stura e il Po. Il principe la trasformò radicalmente, e quasi ne fece un tutto coi maestosi giardini reali, a settentrione dei quali que.l terreno si stendeva. Furono chiamati all'opera contadini, sterratori, giardinieri, ed ecco, a . poco a poco, sorgere un luogo veramente incantato. Numero.-; viali si perdevano in labirinti ingegnosi, portavano a grotte mirifiche, attraversavano boschi profumati e macchie dall'ombra fresca e verde, valicavano monticelll pittoreschi e scendevano in violoncelli ameni. Qua e là scorrevano canali, ora tranquilli ora impetuosi, sormontati da ponti di graziosa fattura. Fontane innalzavano i loro getti di fresco argento; qua e là erano disseminate canore uccelliere; pesci di rare quaiit.:L prosperavano in vaste e silenziose peschiere; pergolati invitanti aprivano le loro oasi d'ombre, accanto a paesaggi di finte roccie n nome non era affatto rubato: era proprio un luogo di delizie! A giudicare dalle descrizioni che ne rimangono, doveva essere costruito alla foggia di quei giardini che più tardi vennero detti inglesi, ma che in realtà hanno pura origine italiana. La grazia del luogo era completata da una bellezza in tono minore costituita da un podere modello. Era la praticità accanto alla leggiadria. Si stendevano prati, campi e vigneti, la cui coltivazione era curata non meno delle aiuole dei fiori. File, interminabili di gelsi rigavano il terreno; si facevano opimi raccolti di grano, la cui semente era fatta venire appositamente dalla Sicilia; si allevavano le più stimate razze di buoi e di mucche, e non mancavano neppure i buffali. I buffali, anzi, hanno servito da richiamo, perchè più tardi si fecero venire varie specie di bestie feroci, tigri, cinghiali e leoni, unitamente a daini, gazzelle e cervi. AITistremitù de! Parco sorgeva una costruzione, che non era altro che un magnifico palazzo. Il suo nome, di ignota origine, era Viboccone. Era ornato di portini e colonne, ostentava monumentali scalee esterne, e lo sormontava una magnifica cupola. L'interno era non meno splendido. Basta dire che il Moncalvo aveva offerto l'arte del suo pennello per abbellire i soffitti. Il Viboccone, però, non potè essere ultimato, perchè Carlo Emanuele, impegnato nelle guerre, non ebbe tempo o modo di compiere la singolare c veramente principesca opera. Famosa in tutta Europa era la « delizia •' In parola, a causa dei festeggiamenti che vi si davano, con la partecipazione di personaggi stranieri, che poi ne riferivano ai loro paesi. Nel 1601 vi si sono recitate favole pastorali. Il maresciallo di Crequy parla di una grande festa cui venne invitato nel 1629. Ma v'ha di più. Torquato Tasso fu sul luogo, e assistette a quelle fiorite feste, aecolita di tutta la nobiltà della Corte, manifestazioni di spirito e di grazia di cui ora non abbiamo idea. Il poeta ne parla in qualche sua lettera, e afferma esplicitamente che da quel luogo fantasmagorico attinse l'idea dei giardini d'Armida, che immortalò poi nel suo poema. Ma vennero i giorni tristi anche per il Parco. Nel 1706 scesero i francesi, a stringere d'assedio la città nostra. Il Parco fu invaso, calpestato, rotto. Le soldatesche nemiche vi si accamparono, ed è facile immaginare lo scempio che ne fecero. Il Parco ebbe, in tale occasione, a compagni di sventura, Miraflori e il Valentino. I guasti furono tali che, a pace conchiusa, non si pensò neanche di riattarlo e riportarlo all'antico splendore. Esso ritornò la campagna solitaria di un tempo, che fu poi, a distanza di quasi due secoli, invasa dalle case e dagli opifìci. Abbiamo nominato Miraflori. Anche questo è stato « luogo di delizia » dei Principi Sabaudi. Podere privato dapprima, esso passò nel 1581 in mano a Giacomo di Savoia, duca di Nemours, e nel 15S5 divenne proprietà di Carlo Emanuele I, al prezzo non disprezzabile di trenta mila scudi d'oro. Questo principe, di larghe e grandiose iniziative, volle fare di Miraflori — o Miraflores come si diceva anche — un luogo senza pari ameno e aristocratico. Una grandiosa villa già costruitavi dal Duca di Nemours fu da lui trasformata in imponente palazzo, di valore inestimabile. Larghi e pittoreschi canali, per 1 quali andavano comodamente e dolcemente le barche, cingevano l'isola di Flora, che giustificava ad usura il suo nome con la ricchezza, la varietà dei florl. L'isola aveva forma di stella, dal centro partivano ombrosi viali — uno per ogni raggio della stella — che 6i perdevano entro paesaggi dalla de. licatezza del pastello. Miraflori, però, non fa abitato che da Car lo Emanuele I. Sembra che la moglie, a causa di una certa su* superstizione, vi andasse di malavoglia. =. che riuscisse inoltre a non far ultimare il palazzo ivi esistente. Morto il Principe, a poco a poco è comin ciata la decadenza anche per questo lembo di paradiso terrestre. I Principi Sabaudi lo frequentarono poco. Lo ebbe però caro e lo uni nella sua pre dilezione ai Parco di cui abbiamo parlato Carlo Emanuele I. Parco e Miraflori erano i luoghicin cui egli dopo le fatiche delle armi amava ritirarsi, per temprare lo spirito alla calma del luogo, al diletto delle arti. Carlo Emanuele, infatti, era scrittore di versi e prose, e quivi dava libero sfogo al suo gusto per la letteratura. Scrisse versi italiani, francesi, spagnuoli; si ose favole boschereccie; cominciò una commedia in francese e persino un romanzo e un poema in ottava rima sulle stagioni. Se ciò può recar meraviglia, trattandosi di \in principe, vissuto in tempi poco tranquilli e oberato dalle cure di Stato, ricordiamoci che i luoghi che egli sceglieva, td in cui amava circondarsi di elette compagnie, erano veni niente, come abbiamo visto, tali da .desiare l'estro anche più impigrito. , lidrlac| te| agi gj coI la! soe lirovedeTvemmcoE mardedevatesareqdpmlauaapbpavz!'cmAdrdspsccoarptubimi gmmlidràcimnnlil'deastqdsimdreinpbSlacfeps—vtoctegmtocsmzzuzsn(vlnscp

Persone citate: Carlo Emanuele, Carlo Emanuele I. Parco, Del Parco, Fontane, Nemours, Torquato Tasso

Luoghi citati: Europa, Sicilia