La villa d'monssu Pingon e un masso leggendario

La villa d'monssu Pingon e un masso leggendario * La villa d'monssu Pingon e un masso leggendario Se »i,.4vvenga, o viandante, o placido scalat,0<< della nostra collina, o studioso osservatore delle cose del tempo passato, di. Inerpicarti lungo la Val dei Salici — cioè lungo 5a nostra Valsalice d'adesso — passerai davanti a una vecchia-villa avvolta dall'arnica ombra di alberi secolari. E' la villa Andreis, uh tempo proprietà d'uri personaggio dell'antica Torino e il cui nome corre nel popolino piuttosto leggendario: Emanuel* FiUberto Pingon«, che l decurioni d'un tempo onorarono del titolo di cittadino onorario e a cui 1 posteri dedicarono una piccola via solitaria,.lunga cinquantotto metri e di poche case, la via Pingone che si trova nella sezioPa Moncenisio al fondo di via S. Domenico. i.a memoria di questo personaggio è sempre etata viva presso il popolino il quale fa rLsalire frequentemente le cose un po' antiche e tutte lè cianfrusaglie malandate ai tempi di « monssù Pingon ». Antiquario, orco, anacoreta? Fu invece un brillante uomo e, sia pure in ritardo, un amoroso marito che lasciò monumento dell'amor suo coniugale in un'iscrizione latina Appunto nella villa di Valsalice suddetta. Emanuele Filiberto Pingone nasceva in 'Chambery nel 1025. Nel 1561 venno in Piemonte dóve, pel brillante Ingégno e per gli utili servigi ebbe da Emanuele Filiberto, che assai lo aveva protetto, dignità baronale e quattro anni dopo la cittadinanza torinese in premio del suoi lavori elio avevano illustrato la citta. Pingone fu forse il primo storico di Torino. Nessuno prima di lui aveva potuto compulsare archivi e interrogare documenti por quella segretezza in cui si teneva, la cosa pubblica; 11 Duca fece aprire ail suo beniamino tutti gli archivi pubblici e privali, la città di Torino mise a disposizione tutti i preziosi suoi incartamenti, pergamene e libri che — salvo pochi ritirati In tempo — andarono poi irremissibilmente smarriti (diciamo così) per incuria degli eredi del Pingone. Questi fu amantissimo delle antichità e sotto questo aspetto ebbe fama più popolare. La sua casa divenne un piccolo museo ove si conservavano lapidi romane e di non tanto remoti tempi, antichi oggetti, libri preziosi, quadri e carte; e la sua raccòlta fu popolarmente coni, presa sotto la frdsè « le antichità d'monssù Pingón • frase che corre oggidì. Di troppa buona fede, come molti amatori d'antichità, |)r«e solenni cantonate. Uno speculatore gli fabbricò parecchi cimeli vendendogli a caro prezzo lapidi mal esistile. Ed egli, il buon Pingone, s'arrabattava a illustrarle! Emanuele Pingone abitò nella casa posta all'anjjolo di via Porta Palatina e via Basilica nell'isolato di Santa Croce e sulla cui bassa porticina d'Ingresso, segnata col numero 23, et vedeva un monogramma di Cristo colla data 1532 scolpita in marmo. Oggidì quella porticina non esiste più perchè ha fatto posto a una bottega, Mori nel 1582 dell'età di 57 anni, tanti quanti ne- aveva morendo il padr» suo, e le sue spoglie vennero deposte in 8. Domenico dove, a sinistra.entrando, in fondo alla chiesa si legge ancóra una bella epigrafe in lode di lui. Nell'aprile del 1551 mettendo line ad una vita brillante di scapoIo aveva sposato Flliberta di Brucile donzeli* dt nobile lignaggio. La pestilenza che fece rifugiare le più cospicue famiglie tori, nesl mila collina, spinse pure il nobile Filiberto Plngòne a comprarsi una villa, l'attuale villa Andreis come ho detto, col danari di Flliberta di Bruelle sua moglie. Questo brillante uomo fu un amoroso marito che lasciò monumento dell'amore suo coniugale in una Iscrizione che credo si conservi ancora nella villa e che cominciava cosi: « Hate vfneta m'apalibus sub bisce — con va Rei» dótrìlnas obòsculantur — helc nec non PWHberta ruris emptrlx ecc. ecc. — ad mutui amoris perp. mem ». Inchinati, o viandante, o lettore, a questa fedeltà coniugale consacrata nel marmo e prosegai. Addentrati nel boschi, al rezzo, e appropinquati in quel di Pecctto, la patria delle ciliegie. Nella regione del Bricco, volgendo un po' a sinistra, si trova la famosa « Pietra del Tesoro ». Vaio la pena di sostare. I pecettesl del passati tempi si erano ficcato in testa che sotto quell'enorme pietrone si celasse un nascondiglio ricolmo di ori, di pietre preziose e di monete. Ingomma un tesoro. E molti ci credono ancorai Sulla origine d'una miniera simile, a due passi si può dire da Torino, sono due le leggende che corrono. La prima che il tesoro sia proprietà degli antichi frati camaldolesi che messi lassù nell'Eremo per volere del Duca Carlo Emanuele Lo di Savola dovettero poi far fagotto in fretta e furia, esattamente due secoli dopo, quando nel 1802 il governo francese da cut allora dipendevano Torino e il Piemonte sfrattò le corporazioni rell- gL^Ererno durante i due secoli di vita caroaldolese fu mèta di conlinul pellegrinaggi e 1 fedeli non vi andavano a mani vuote. Per I buoni frati camaldolesi non era che un ricevere doni, .tra cui ricchi arredi religiosi. Tutti questi oggetti, insieme al danaro, ve. nlvano conservati entro armadi di ferro in un apposito stanzone del convento, locale che per la destinazione a cui era adibito venne chiamato . la camera del JJ^XP:» leggenda racconta corno l'ultimo priore.dell'Eremo lesse un santo che aveva■ '«quem visioni celesti. Prima che al camaldolesi fosse intimato lo sfratto, gli comparve un angelo 11 quale lo avverti di quanto awebbe accaduto ordinandogli di pensare a metterà in salvo il tesoro. E per aiutarlo in questa urgente impresa, l'angelo prese per man» ti santo priore conducendolo sino ««me pietrose del Bricco e insegnandogli alcune parole o preghiere miracolose che avevano il potere dt smuovere quel sasso immane. II buon padre fece tesoro del celeste avvertimento e per molte notti sempre da solo e senza cne nessuno, neppure i suoi frati, io sapesse andò al pietrone. Pronunciata la «aera formula, questo da sò stesso si spostava lasciando cosi aperto un profondo scavo nel quale il santo priore riponeva il carico di oggetti preziosi che a volta a volta portava con se. Poi compiuto questo lavoro, prò. nunciava un'altra Invocazione suggerita sempre dall'angelo e 11 grosslssimo mosso tornava al suo posto chiudendo ermeticamente 11 nascondiglio. Tutto l'immenso tesoro accumulato durante duecento anni dai frati dell'Eremo sarebbe dunque finito in quella buca. E questa è leggendal Ma un fatto storico accertato è che dopo il famoso decreto d'espulsione, 1 commissari del gover. no recatisi al convento fecero aprire 1 famosi armadi di ferro della Camera del tesoro e rimasero con tanto di naso, n tesoro era sparito. La leggenda aggiunge che il santo priore mori qualche anno dopo lontano dalì'Italia senza'avere potuto rivelare le magiche frasi che avevano avuto in virtù di .•faanovere il masso. ' èButt•nveCEfldqpbciPe La seconda leggenda è più emozionante e bisogna raccontarla aL bimbi cattivi. Nel 1340 la repubblica di Chieri vendeva per non so quanti fiorini d'orò il feudo e il castello di Pecetto per metà ciascuno a Urvleto Simeoni dei Balbi e a Milane Gribaudo. Non è il caso di occuparsi dt quest'ultimo; ma il primo. Dio buono, che canaglia! La tradizione vuole che si facesse chiamare conte e in realtà non era elio un volgare ladrone da strada. In quel tempo la via più diretta fra Torino e Chieri passava appunto per le colline ed era percorsa da numerosi mercanti. Simeonl del Balbi alla testa d'un branco di scherani assaltava i viandanti e 11 depredava. Nessuno osava muovere lagni perche i tempi non erano leggiadri. Urvleto era u feudatario, il padrone! Le merci rubate le faceva poi vendere a Calieri e a Torino ricavando grossi gruzzoli di fiorini d'oro che riponeva nei sotterranei del suo castello. Cosi le ricchezze e i delitti del ribaldo conte andarono sempre crescendo. Ma tutto ha un termine .quaggiù. Narra la leggenda che un venerdì santo il conte Urvleto trovandosi ■ in regione Bricco, presso il famoso pietrone, derubò una povera vedova di tutto il suo avere. Invano la disgraziata implorò e pianse, anzi Simeoni fu inesorabile e infastidito del pianti della disgraziata la trafisse. Male incolse al tristo, perchè (ecco la Provvidenza) senti Sri quel momento una mano appesantirsi ferrea sulla sua spalla si da farlo umiliare al suolo. E una voce stridula e beffarda gridargli: — Urvieto dei Balbi, quanto hai fatto sorpassa Ja misura! La tua anima mi appartiene, ma il seguirmi al-' l'inferno sarebbe per le'pena lieve! — E il diavolo — poiché la leggenda assicura che si trattava proprio di lui — in un attimo fece girare su di sè l'enorme masso è precipitò nella voragine il conte con tutti i suoi maile acquistati sacchi dt fiorini. Pare incredibile ma il oontc Urvieto dopo tanti secoli è ancora vivo là sotto. E se nessuno è mal riuscUo a smuovere il pietrone del Bricco si ò prima di tutto'perchè pesa molto, eppoi perchè l'antico feudatario nella paura che gli rubino i tesori, coi quali e maledetto e dannato per tutta l'eternità, vi si è aggrappato dal disotto. Nessuna forza umana — ammonisce la tradizione — riuscirà mai a vincere questo infernale incantesimo. In tempi menò progrediti e di deficiente Polizia, nel momento giusto a colpire il reo, interveniva il diavolo. Adesso non interviene, purtroppo, nè 11 diavolo nè la polizia.... NI.

Persone citate: Balbi, Bricco, Calieri, Carlo Emanuele, Emanuele Filiberto, Simeoni, Vaio