TEATRI

TEATRITEATRI L'Arciduca di 6. A. Borgese {Politeama Chiarella — 16 Luglio 1!S4) Per G. A. Rorgcse, la tragedia fli Mnycrling ha Uni lati oscuri, ma non dello parentesi misteriose; si tratta di un duplice suicidio, pensato ed attuato freddamente, senza pressioni e senza paure, col proposito di una evasione Un caso comune, reso clamoroso, non dalla l'orma, ma calle determinanti; intime puramente, por la donna, la baronossina Maria Vezzera e per l'uomo, l'arciduca Kodollo d'Absliurgo, da un complesso di ragioni dinastiche, politiche e famigliari, che l'autore sinistramente illumina con l'intento di rappresentare, non il semplice crollo delle illusioni di una persona, ma lo sfasciamento di una Dinastia ,la rovina di un Impero. L'arciduca Rodolfo si è rifugiato nel castello di Mayerling, in pieno inverno, perchè vuole trovarsi a faccia a faccia con se stesso e vedere se gli è possibile costruirsi una nuova vita, scavarsi la strada della libertà. E ia liberta in quell'ora rappresenta per lui non soltanto la realizzazione delle sue aspirazioni politiche in contrasto con la volontà paterna, ma il proposito di spezzare, i legami che lo uniscono all'arciduchessa Stefania e sposare la sua amante, la diciottenne baronessa Vezzera. L'Arciduca non attende che una visita : quella dell'arciduca Giovanni Salvatore, il principe che farà più tardi getto del nome di Absburgo per assumere quello borghese di Giovanni Orth e scomparire per sempre. Atteso, ma non desiderata, giunge invece nel castello da caccia Maria Vezzera. L'Arci«luca non si allarma; vede in questo suo atto niente di più che un capriccio di bimba, e, mentre In muove incontro, già pensa al viaggio di ritorno, perché egli deve trovarsi a Vienna per il fidanzamento della sorella Maria Valeria. Ma la baronessina lo disinganna. • La strada per tornare indietro, — «lice la Vezzera all'amante, — non esiste più per me. Maria Vezzera non toccherà più la soglia, del palazzo materno ». Preoccupato più assai di se e delle persecuzioni che lo n.inòcciano, che non della sua amante, l'Arciduca fatica a rendersi ragione di ciò che è maturato in lei e della realtà della sua situazione, e ciò per quanto la Vezzera cerchi di dare ad ogni sua parola un valore definitivo. Radicalmente l'Arciduca non mula il suo stato d'animo se non quando l'amante, vinto le esitazioni, gli narra come e in quale modo ha abbandonato la casa materna. Maria ha scritto alla madre: « Non posso più vivere; prima che tu mi abbia raggiunta sarò in fondo al' Danubio I •, ed è fuggita a Mayerling. Di fronte a questa rivelazione, le prime, parole di Rodolfo sono di stupore e di ira. Superato però il primo scatto di sdegno e rampogna, Rodolfo pensa al modo di evitare lo scandalo. - Bisogna subito inviare un dispaccio a tua madre, che dica che sei salva e che ritorni ». La Vezzera replica: « Non mi riporteranno più viva ». Questo fermo divisamento disarma Rodolfo. Acconsente dapprima che Maria rimanga a Mayerling; poi rinunzia a recarsi la sera a Vienna per restare accanto a lei. « Sono — dice — le bambine che comandano al mondo I ». A contendere Maria a Rodolfo si presentano a Mayerling uno zio della fanciulla e un gesuita. Lo zio, un levantino, si presenta umilmente. « Credo — egli dice — negli Absburgo più che non ci credono t loro baroni e le loro contesse. Se Maria Vezzera non è qui, me ne andrò con Dio; me ne andrò con mia nipote se è qui con voi. La riporterò alla madre e dirò ad essa che vada via subito, lontano, quanto il mondo è grande. Via da questa città che con Sodoma e Gomorra fa la terna ». Rodolfo prorompe in accenti d'ira: «La Vezzera non è qui; cercatela altrove ». Ben altrimenti del Levantino parla il Gesuita e ben altra è la risposta dell'Arciduca. Si apre una finestra sull'impero. Al prete, che lo invita a lasciare che la fanciulla torni alla sua famiglia, Rodolfo rispondo: « Se io la stacco da me, la Vezzera è risoluta a morire ; il suo sangue arrosserebbe tutta la Monarchia ». La risposta non smuove il Gceuita, che forza il Principe ereditario a chiarire le sue intenzioni, non solo per quanto riguarda la fanciulla, ma anche per quanto riflette la politica imperiale. Lo accusa di tramare contro l'Imperatore, di pensare ad un colpo di Stato; gli chiede che cosa .intende di tare. E Rodolfo risponde: «Io rifiuto obbedienza alle forze straniere che governano l'Austria e mio padre ». E congeda il Gesuita, come ha congedato Baltazzi, senza nulla promettere. La risoluzione matura nel colloquio che si ha in seguito con Maria. Filippo di Cobnrgo, Giuseppe Hoyos e il fiaccheraio Brattiseli, colloquio che è una specie di monologo poiché, le quattro persone che parlano coll'Arciduca non sono che degli specchi che riflettono le idee che passano nella sua mente. Crollano in questo colloquio, che a poco a poco assume la forma del farneticare per il generoso vino ungherese che in gran copia bevono i quattro uomini, tutte le illusioni ed ò lo stesso Arciduca che dà mano al piccone <> si abbandona alla furia devastatrice; e lauto 6i aflanna che finisce per cadere a terra tramortito. Il malessere che coglie Rodolfo scompare subito, ma quando riapre gli occhi c trasfigurato. La risoluzione 6 presa. Allontana gli amici e rimane, solo con Maria. • Da anni — dice alla Vezzera — sono spialo, seguito; ogni cosa mia è manomessa dalla sbirraglia; sono legato con catene lunghe e invisibili che non posso spezzare. Bisogna fug¬Le nuove circoscrizioni elettorali gire. Non posso più essere imperatore. Un ■\sbi rgo se deve regnare e un segreto, o io mi sono svelato ». Un'ultima speranza gli rimane in Giovanni di Toscana, ma è una speranza che ha un filo tcmiissirfto... 11 colloquio con Giovanni di Toscana non porta elementi nuovi, fa precipitare, la decisione rende più ferma in Rodolfo la volontà di morire. 1 due amanti restano soli. Intorno alla villa *i f- fatto più fitto il cerchio delle spie, tanto che si icnora se Giovanni possa scappare. Rodolfo dico a Maria: « Tu clic sei una bambina puoi farti ascoltare da Dio. Puoi dirgli- «Signore; egli non sapeva che cosa fosse l'amore. Pensava agli imperi, diceva di amare il genere umano. Io gli ho insegnato l'amore. Signore, eccoti il mio... assassino; perdonagli perchè io 1 ho amato». Risponde Maria: «lo dirò: Signore, eccoti un Re. the riporta la sua corona. E venga sulla terra il tuo regno ». E si allontanano, 1 uno accanto all'altro, ma disposti in modo che la donna preceda l'uomo nell al di la. Il velario si chiude mentre si 6ente echeggiare il primo colpo di rivoltella. Questa la versione che sulla tragedia di Mayerling da nM'Arcidvca G. A. Borgese. Non è il caso di soffermarsi a discuterla, darebbe puerile. La materia storica non rappresenta per l'arte che la sostanza servile destinata a sostenere ima forma clic è come la fodera dello spirito e della vita. Se la ricostruzione borgesiajia della tragedia di Mayerling sia esatta storicamente importa relativamente poco; quello che conta è constatare se attraverso a questa interpretazione le figure e i casi dell'arciduca Rodolfo 0 della baronessa Maria, trovano potenza di irradiazione e di commozione, scopo e ragione dell'opera d'arte. Che Borgese abbia visto drammaticamente la pagina di storia che si è assunto il compito di portare sul teatro è fuori dubbio. I tre episodi sono tagliati con sicurezza, con la evidente cura di evitare gli effetti banali, ma contemporaneamente con lo studio di mantenere vivo l'interesse con il disegno di caratteri, la progressione dei sentimenti, la sempre più acuta concitazione degli animi, lo sviluppo logico della parabola e la eleganza della forma. Persuaso che la passione contrastata di Rodolfo per MiiTia Vezzera non ra.ppresenta nel suicidio che uno degli elementi, ma che la determinante deve essere cercata nei contrasti del Principe con l'Imperatore e gli uomini della sua Corte, egli ha avuto cura di disciplinare la abbondante materia in modo che 1 diversi elementi, trovassero un rilievo proporzionato alla loro importanza, e vi è riuscito. Ottenuta però la logica distribuzione dei piani, non ha avuto pari alla visione la forza rappresentativa. Di qui un senso di grigio che incombe sull'opera, di qui l'impressione che il dramma dà, non di cosa vissuta ma di cosa raccontata. Raccontata bene, con eleganza di parola, con ricchezza d'imagini, con varietà di accenti, letterariamente pregevolissima, ma raccontata. Vi è un mondo che crolla, ma il turbine non ci prende nelle sue spire e non he sentiamo l'ineluttabilità; ne ci commuovono i casi dei due amanti perchè quel tanto del loro amore che vediamo espresso non ci sembra abbia tale forza da rabbuiare le loro menti. Il teatro vive di contrasti. I sentimenti «31 fatti, trovano unicamente la loro espressione in forza di essi. Xen'Arciduca, se se ne eccettuano gli episodi di Baliazzi e del Gesuita, che dal punto di vista teatrale rappresentano le migliori pagine dell'opera, I contrasti mancano. Abbiamo ima logica, gènlale elencazione di fatti che servono a determinare ed a rafforzare il proposito di Maria e di Rodolfo, ad illuminare il momento storico, a suggerire i motivi per cui l'impero austro-ungarico era destinato a frantumarsi ma senza che si assista ad un reale conflitto, senza che di questo rovinio si abbia la sensazione e fenza che il crollo delle due illusioni risultino teatralmente evidenti. Giovanni di Toscana, parlando a Rodolfo, s! richiama al Re di Roma. II dramma di Rorgese fa pensare alVAiglon di Edmondo Rostand. L'Aquilotto rostandiano assomiglia qualche poco al Rodolfo di Eorgese. Uguale spirito nelle due opere, ma espresso nell'una, colla ricerca del massimo effetto teatrale e nell'altra con l'austerità che s'addice ad un'opera letteraria. E tale è, anche se scenicamente non privo di pregi e di qualche buon effetto, il dramma di G. A Borgese. Cronaca lieta, quella di ieri sera, per gli Interpreti e per l'autore. Teatro bellissimo, attesa viva. Due chiamate al primo atto cinque al secondo, rielle quali tre all'autore, festeggiato assai, e al terzo altri applausi agli interpreti e all'a.utore. La Compagnia Niccndemi presenta l'Arciduca in una cornice di bella ed austera eleganza. GII interpreti 6ono stati ieri sera per Borgese dei collaboratori devoti e intelligenti. Luigi Cimara aveva riassolvere il non lieve compito di impersonare la figura dell'Arciduca; per timore di essere svenevole fu aspro, e in certi momenti sin troppo. A Maria Vezzera la signorina Vergan(Mede canorità di accenti e grazia giovanile di atteggiamenti. Ricordo ancora RuggeroLupi. Marini, Brizzolari. L'Arciduca si ripetestasera. gl. mi.

Luoghi citati: Austria, Mayerling, Mede, Roma, Toscana, Vienna