Il pellegrino cherubico

Il pellegrino cherubico Il pellegrino cherubico Tra seooli fa, quando ]a guerra dei trcnt'anni, incominciata da oltro un lustro entrava in una faso di nuovo sviluppo, nasceva a Breslavia da un gentiluomo emigrato di Polonia il più melodioso poeta del Seicento tedesco, Giovanni Scheffler. Il secolo pareva ai contemporanei terribilo quanto mai so n'era veduto nessuno, ed era in effetto ricchissimo d'eccessi e di contrasti. Mentre gli eserciti si scontravano in mille battaglie, le anime dei sopravvissuti ai continui flagelli eran sconvolto da tutti i demoni del fanatismo e della superstizione: senxa fine s'imprigionavano a furia di popolo, si torturavano, si bruciavano vivi streghe ed eretici, senza fine si celebravano con colori di romanzo d'apocalisse veri o presunti*miracoli. Il secolo non ammetteva si fosso se non diavoli o angioli. Il giovino slcsiano, — destinato a morire a 53 anni di consunzione, — compiuti gli studi di medicina a Strasburgo, a Leyden, laureato a Padova, medico in patria ad Oels, scelse d'essere angiolo. Volle consacrare il suo proposito anche nel nome mutato; si chiamò Angelus Silesius. Il 12 giugno 1653, non ancora "trentenne, nella chiesa di S.' Mattia a Breslavia compì il passo, che tanti suoi spirituali fratelli romantici un secolo e mezzo dopo dovevano imitare : si convertì, lui, luterano, al cattolicesimo. Fino allora si sapeva appena chi fosse. Tutt'al più se .ne doveva bisbigliare il nomo nelle conventicole mistiche del suo paese. Perchè nella Slesia, meglio d'ogni altra regione di Germania, ferveva la lotta religiosa tra cattolici e protestanti, tra protestanti e riformati, tra tutti costoro e i seguaci delle molteplici Bette pullulate _ a soddisfare i disgustati delle vuote ortodossie, i delusi da troppi dolori, gl'illusi di troppe aspettazioni. H nuovo Meister Eckhart del Cinquecento, Jacob Bolime, aveva, con efficacia solo paragonabile a quella di Lutero, ridestato il sempre pronto misticismo tedesco. Con un Franckenberg, recatosi anni avanti ad Amsterdam per attendere alla raccolta degli scritti bohmiani, il giovane studente aveva stretto amicizia in Olanda; la sua conversione era avvenuta pochi mesi dopo la morte dell'amico. Se il suo nome cominciò ad esser noto dopo l'abiura del luteranesimo, sia per il fatto in sè, —considerato come un trionfo dell'intraprendenza dei Gesuiti — sia per le » Cause e motivi > ctel mutamento, dal convertito redatti in vivacissima forma polemica, la fama vera venne soltanto quattr'anni più tardi, nel 1657", anno in cui fece stampare le due opere capitali il < Pellegrino cherubico » e il « Sacro gaudio dell'anima, ovvero canti pastorali religiosi della Psychc innamorata del suo Gesù ». — H libro dal titolo lungo -e piano uscì a Breslavia, quello dal titolo più enigmatico uscì, prudentemente, a Vienna. Gesuiti qui e là avevan concesso Yimprimatur, imprimatur che non si vollero rimangiare mai, nemmeno quando l'Inquisizione condannò come eretiche le dottrine del quetista Molinoe, le quali potrebbero punto per punto venir suffragate colle estatiche espansioni del «Pellegrino cherubico*. Singolarissima opera questa. H Éacro gaudio ha numerosi riscontri sia esteriori che essenziali nella letteratura .tedesca. Per fermarci1 ai 'eontémpóranei più illustri ricordiamo' lé raccolte "<ti F.' Spee e di P. Gerhardt. E si capisce facilmente come sia divenuto popolarissimo presso cattolici e protestanti. Ma il Pellegrino cherubico, sebbene di riscontri, meno illustri, non manchi, sebbene non cadesse in oblio e nutrisse anzi 10 spirito dei migliori Pietista e non isfuggisse all'attenzione di Leibniz, doveva sol- tanto da Fed. Schlegel e da Hegel trovare 11 euo giusto riconoscimento; il quale se; suonava ammirazione da un punto di vista filosofico ed estetico, avrebbe dovuto suonare condanna da un punto di vista religioso ortodòsso. I 'gesuiti non vollero infierire contro il libro del pio medico che, fattosi prete nel 1661 guidava processioni nelle vie di Breslavia e menava accanita la penna in. numerosi scritti in difesa del Cattolicesimo ; permisero perfino che due anni avanti la sua morte egli ne pubblicasse una seconda edizione accresciuta per vero d'una sesta parte affatto innocua più; ma non per questo i primi cinque libri del Pellegrino cherubico sono mono indipendenti da ogni disciplina dogmatica. In compenso sono pieni dello spirito di Dio. L'amore, il desiderio della Divinità ivi sono espressi con un'energia prodigiosa. Non le delizie del cielo tradizionale, non il tripudio olimpico, non i lumi, gli angeli, le stelle —: « Via, via, voi .Serafini, voi non mi potete ristorare — Via, via, Santi tutti... — non voi voglio, io voglio lanciarmi solo — liei mare increato della pura Divinità »; In un certo punto della sua opera Angalus Silesius dirà che, essendosi l'uomo fatto troppo cosa del mondo e quindi allontanato da Dio, per ricondurlo al Signore c neoessario un pellegrino celeste; voler esser lui quest'intermediario; onde lo scopo del libro. Tale scusa la si può mettere insieme con quello ammanite nella Prefazione allo scopo d'allontanare ogni sospetto. In realtà quando l'estasi afferra il mistico, lo solleva tanto in alto, ch'egli non vede più nulla all'infuori di sè e di Dio. A Dio, secondo lo Scheffler, l'anima non giungo colla scienza, uè col consueto amore, e nemmeno colla fede o colle buone opere, giunge per la forza d'un amor sublime che, mentre si dico fatto d'umiltà, ò frutto di un'orgogliosa esaltazione personale : « Io stesso devo essere il solo, io devo co' miei raggi — Illuminare il mare scolorito dell'intera Divinità ». Volontà, non rassegnazione, è la gran leva del mistico; volontà è la parola elio s'incontra o si sottintende in ogni proposizione. Ma tanto sforzo di volontà c necessario, perchè la vita dell'universo dipende dall'unione del Creatore colla creatura: « Io so, che senza di me Pio non può vivere nemmeno un istante; — se io diventassi un nulla, anch'egli di Becossità dovrebbe spirare ». L'innamorato di Dio del resto non agita la propria volontà, come s'adoprerebbo un mezzo teiIfeno per una conquista terrena ; se ne vale solo por salirò a Dio e confondersi in lui, se ne vaio dunque per uccidere il volere di se. Non l'attivismo, il quietismo conduce alla vittoria. Ma quando la quiete assoluta è' raggiunta!... — « Subito che la mia volontà ò morta, Dio è ciò ch'io voglio; — Io gli prescrivo il modello e il fine ! ». Siamo si vedo sulla vertiginosa strada Bella mistica, strada che conduce al panteismo e che a que' tempi poteva condurre anche sul rogo. Come si fermò l'ardente pellegrino, scantonando nei più sicuri sentieri della legalità? Qualcuno ha voluto affermalo che, sa pure egli si fermò, l'autore degli scritti feroce niente ortodossi raccolti j»i sotto il titolo di Ecclesiologia iu un 'po¬ deroso in-folio è un altro Scheffler. Certi teologi cattolici, basandosi sulle incertezze e le contraddizioni immancabili in ogni opera mistica, vorrebbero audacemente mostrare elio dall'ortodossia Scheffler non uscì mai. I più dei critici proferiscono lasciar credere a una silenziosa tragedia intima: l'aquila si sarebbe lasciato strappare le penne dai gesuiti, dalle lusinghe imperiali, dal timore dei tempi troppo grossi. Confesso che nemmeno quest'ultima soluzione, cui pare accedere anche il recente editore del poeta, mi soddisfa. Innegabilmente le influenzo esteriori hanno avuto il loro peso, ma per accelerare quello che era uno sviluppo già manifestantesi perfino nel primo libro dell'opera dal poeta steso d'impeto in quattro giorni. C'è nel Pellegrino cherubico un'ardenza di desiderio, che dolorosamente trabocca senza trovare cibo adeguato. Dio fa ebbro il cantore ma quando l'anima e in piena eccola sollevarsi in un impeto che non sa trovare neppure in Dio sfogo — « Il mondo m'è troppo angusto, troppo piccolo il cielo; — dove ci sarà spazio per l'anima, mia? ». Ad un porto ignoto anela l'anima; la conduce Dio, ma anch'egli è sulla nave e l'anima aspira ad una casa : « Il mondo è il mio mare, mio nocchiero è lo spirito di Dio, — nave il mio corpo; e l'anima naviga verso la sua casa ». Una così indefinita nostalgia è destinata a consumarsi invano. E' lo stato d'un cuore assetato d'amore e privo d'un oggetto d'amare. L'oggetto Scheffler crede d'averlo trovato in Dio. Ma gli amori cort uh. Dio così astratto potranno durare in lui solo il tempo d'una breve primavera. Perchè la sublime primavera durasse bisognerebbe avere un'anima smisuratamente alta o forte 6Ì da reggere all'assalto diuturno d'una brama mai saziata ; bisognerebbe osser fatto di materja troppo diversa dall'umana. — E invece c'è nel Pellegrino cherubico una gioia del canto spontanea, prepotente, che non può fare a meno dei colori e delle voci della terra — « Ah, che noi uomini non siamo come gli uccellini del bosco — Che noi non sappiamo mettere ciascuno la sua nota di gioia nel concento! » — i Io sono la torfcoreila, il mondo è il mio deserto — Dio il mio sposo, è lontano, io siedo sola nel nido vuoto ». Nella prefazione citata Angelus Silesius allega Sant'Agostino e S. Bernardo; il riawicinamento vai però meglio a comprendere, come qui parli un ingenuo spirito di bambino. Non sembra di sentire un vanto infantile, quando leggiamo: o Dio è il mio bastone, il mio lume, il mio sentiero, il mio scopo, il mio giuoco, — Mio padre, mio fratello, il mio piccino e tutto ciò che voglio ». E una volta il poeta ammonisce: « Uomo, se non diventi un bambino,-non potrai mai entrare. — Dove Btanno i figli di Dio: la porta è troppo piccola ». E un'altra volta confessa: « Nulla io amo tanto, quanto bambini e vergini. — Perchè? Lassù nel cielo, non c'è da veder altro ». Il vero clima dello spirito scheffleriano è qui. Qui egli si differenzia dagli altri mistici e spiega il suo ulteriore sviluppo. Nei mirabili alessandrini del Pellegrino cherubico egli ha non soltahto filtrato il pesante vino della mistica di J. Bòhme ricavandone un liquore terso come un rubino, ha anche chiarito l'anima sua, ha sfogato l'impeto della prima giovinezza. Potevano altri mistici continuare indefinitamente le loro estasi riempendo volumi di farragginosi rapporti; un artista cui l'esercizio dell'arte insegna disciplina e misura no. L'arte ai poeti veri è maèstra d'implacabile sincerità, e impone le illuminate rinunce. Onde non consumarsi sterilmente, Angelus Silesius chiuso il quinto libro della sua opera, aveva bisogno ormai per il suo amore d'un oggetto più determinato. Cosi ■l'amore per il terribile Dio amorfo si trasformò in lui nell'amore per Gesù, — il mistico si fece cristiano. E nacque il Sacro Gaudio, che è tutto un interminabile inno. Ancora desiderio, ancora nostalgia, ma il porto è in vista, la via tracciata. Onde un che di consolato pur tra lo incessanti domande: a Dove sei? — Quando verrai a me? — Perchè m'hai lasciato sola? » —; onde una magnificenza ignota nel Pellegrino cherubico. Là, nell'armonia delle coppio d'alessadrini nulla di poeticamente notevole : l'attenzione è tutta rivolta al pensiero, il merito artistico è tutto nella levità della 6ua espressione. Qui inveoe, se anche la varietà dei metri è più apparente che reale, qual sinfonia di colori e di rime! Psyche, l'anima, ha rinunciato alla superba sicurezza di sè, ma in compenso ha ora sempre la dolce certezza d'essere amata, e quindi il deserto del mondo si riempie nuovamente man mano di vita. Il cherubino ha scorto ormai la sua pàtria, e incomincia a sognare i giuochi di quegli angeli, che prima aveva quasi disprezzato. Perchè ; critici, e tra essi era lo Held, si affannano a dichiarar destituite d'ogni valore le estreme creazioni del poeta la Descrizione delle quattro ultiqic cose, la morte, il giudizio finale, le eterne peno dei dannati, le eterno gioie dei beati ? Non sono d'accordo con loro. La minuzia veristica, colla quale il poeta descrive le pene dei peccatori, non mi disturba eccessivamente. Non ho bisognosi tirare a mano esempi illustri. Non ho bisogno di leggere nella prefazione le nuove scuse dello Scheffler per aver indulto, nel colorare le sue descrizioni ultra terrene, alla debolezza umana. Sicuro, è divenuto un debole uomo l'antico eversore dell'Olimpo. Ma ha conservato intatto il purissimo tesoro d'ingenuità, elio fin d'allora era in lui. Passato attraverso il roveto ardente della vita, ora egli teme l'inferno e anela al paradiso. Perciò c assurdo ora ricordare lo ebbrezze d?l giovine mistico; io mi lascio guidare volentieri da questa tremante mano di -vecchio. Guardate l'abbondanza iagenua, colla qualo sono narrate le delizie celestiali. Esso non sono più un'astrazione, sono il paradiso cristiano, dove vive d'un'eterna giovinezza tutta la bellezza del mondo mortale quale appare agli occhi puri d'un fanciullo. L'oro e le gemme, i fiori e i frutti, le acque e gli zefflri, le stelle e i soli, i suoni e i canti, la dolcezza serena e il sereno amoreÉìe fanno il rifugio del riposo. Sulle erbe profumate i benedetti scendono in teorie osannanti, si radunano a banchetti divini, p sémplicemente si incontrano per. sedersi insieme all'ombra «figli alberi immortali «a parlare dello gioie e delle pene, che hanno avuto sulla''terra ». Nella città di Cristo Angelus Silesius, il pellegrino cherubico vuole, riposare. Vi giunse il 9 luglio 1677. LEONELLO VINCENTI. MtlgsccddAngelus silesius, Sauilliche i iìm-Iic Werfce. hrg. v. il. !.. ueld 0. C. llccht Vorlug, Muncheii, ^ voli.

Luoghi citati: Amsterdam, Germania, L'aquila, Oels, Olanda, Padova, Polonia, Slesia, Strasburgo, Vienna