Il processo per l'eccidio di Empoli

Il processo per l'eccidio di Empoli Il processo per l'eccidio di Empoli 138 imputati alle Assise (D al nostro inviato speciale) Firenze, 6 notte. ' Avrà inizio dopo domani forse il più grosso processo clic siti staio discusso in Coite ai Assise in quest'ultimo ventennio, processo eccezionale sia per l'orrendo eccidio ria cui trae origine, siti per il numero non comune di imputati, bi'n 138 tra cui tre donne. Per questo processo occorsero lavori straordinari nel palazzo delle Assise e fu necessaria una enorme apposita gabbia. Per capire lo svolgimento della discussione occorrerà riportarsi al febbraio 1921 e specialmente allo sciopero generale proclamato in Toscana per la misteriosa uccisione àel noto capo comunista e ferroviere Spartaco Lavagninl, seguita allo soopplo di una bomba lanciata su un «orteo patriottico e in cui trovarono morte due persone. In seguito a iruesto sciopero insieme ad altri servizi pubblici, era rimasto interrotto anche quello delle ferrovie. Per rimpiazzare i ferrovieri scioperanti e nd evitare la compietti paralisi del servizio, l'autorità aveva disposto l'invio a Firenze da Livorno di 45 marinai del personale di macchina, all'ordine del capitano macchinista Nello Ambrogi, e colla scorta di 18 carabinieri al comando del tenente Valerio Bachili!. Spigolando nell'atto di accusa apprendiamo che questa disposizione dell'autorità, pare fosse arrivata a conoscenza del comunista Abdon Maltagliati, segretario dell'Associazione del vetrai di Empoli. Costui si trovava a Livorno per il congresso socialista e, dovendo venire a Firenze in motocicletta, aveva raggiunto per via imcnitùons che trasportavano i marinai e che in erano dovuti fermare per un guasto a una delle macchine. Qualificandosi falsamente per fascista, il Maltagliati aveva potuto conoscere dagli stessi marinai 10 scopo del loro viaggio, di modo che, precedendoli, aveva potuto informare i suoi compagni di fede comunista del prossimo -passaggio dei camions. Il primo agguato Compiute le riparazioni necessarie, 1 camions si eran rimessi in moto, ma subito i marinai e i carabinieri avevano notato che le popolazioni dei paesi che andavano attraversando, tenevano nei loro confronti un contegno poco rassicurante, forse perchè credevano che gli autocarri trasportassero dei fascisti. Verso le 17, il primo ctunion giungeva in Empoli; i militari andavano, inconsapevolmente incontro al sacrificio. In via Chiarugi infatti essi furono fatti segno a un nutrito fuoco di fucileria, a colpi di rivoltella e al lancio di tegole e di oggetti di ogni sorta da parte della popolazione; impotenti a qualsiasi difesa, sia per il numero degli avversari, sia perchè i colpi provenivano da gente nascosta sui tetti e dierro le finestre, gli aggrediti non videro altro scampo che nel far accelerare la corsa del veicolo. Ma, giunto questo in via del Giglio ove era la Casa del Popolo il fuoco si fece più nutrito e contro il veicolo fu lanciata anche una bomba, la cui esplosione per vero miracolo non cagionò danni. Il camion prosegui nella sua tragica corsa sotto il grandinare dei proiettili; uno di essi colpi mortalmente l'artigliere meccanico Carlo TutIì, che cadde dal veicolo e fu dovuto lasciare a terra in vicinanze del villino doll'ing. Del Vivo. 11 fattore di questi. Giovacchino Menichetti, e successivamente il rag. Gastone Buzzoni cercarono di soccorrere il morente, ma ne furono impediti minacciosamente da un gruppo di persone che si mostravano tra le più accanite. Il camion riusci tuttavia a sottrarsi alla imboscata e giunse verso le 17,30 fuori del paese. Si fermò allora e ti constatò che, oltre alla perdita del Turli, altri due marinai erano stati feriti da arma da fuoco. Peggior sorte toccò al secondo camion, che seguiva a-breve distanza il primo; anche questo, giunto in Empoli, lu fatto segno a numerosi colpi di arma da fuoco e 1 primi feriti furono i carabinieri Francesco Turano e Mario Pennone. Narra la teste Clementina Bartoli che coloro che si trovavano sull'autocarro cominciarono a gridare e a raccomandarsi: Non tirate, non siamo tascìstì! Siamo marinai e si và a Firenze! Si ebbero, per tutta risposta, di vigliacchi e di carne venduta. 11 tenente Vicedomini, visto che nella via del Giglio erano stati messi degli ostacoli che impedivano il passaggio, fu costretto a far fermare il veicolo e a farne discendere i militari, cercando asilo per i due carabinieri feriti nella casa del falegname Arturo Convalll. Il tenente chiamò poi a raccolta i suoi uomini e dispose che 11 camion procedesse a passo d'uomo, dato che in qusl momento non fii sparava più. Una carneficina Fu una fallace tregua, fu una tregua di morte. La folla che si era posta in agguato, usci in gran numero dai nascondigli e circondò la casa del Convalli, facendone venir fuori molti dei militari che vi si erano rifugiati e 1 due feriti, i quali poi poterono esser messi in salvo e curati per la pietosa opera della moglie e della figlia del Convalli. Quella folla di persone armate di bastoni, di accette, di pugnali e di rivoltelle (emergeva tra tutu 11 ferroviere Angiolo Castaldi), dopo aver distaccati i feriti e gli altri militari, fermò per primi i carabinieri Pintus e Pinna, che furono affidati a uno dei rivoltosi armalo di rivoltella; quindi passò in rassegna gli altri disarmandoli e bastonandoli. Il tenente Bartalesi, raccolti i pochi uomini Che potevano rispondere al suo appello, diede . ordine al conducente di far avanzare lentamente il veicolo, seguito dai militari; ma, percorso breve tratto, l'ufficiale si accorse che altri ostacoli si incontravano sulla via e che altre persone armate attendevano il passaggio del camion, con intendimenti certamente ostili, alle cantonate delle strade, alle finestre della Casa del Popolo e a quelle di altre case. Jl Bartalesi pensò allora di far comprendere a quella gente che non erano fascisti, ma marinai di servizio, e discese per rimuovere gli ostacoli. Effettuato questo suo proposito, risali sull'autocarro, mentre un gruppo di persone tutte armate, tra le quali molte discese dalla Casa del Popolo, lo circondavano c uno di essi — identificato per tale Giuseppe Bossi — gli gridava di ondar oltre, che non gli avrebbero fatto nulla. Dopo questa assicurazione, il Bartalesi mise in marcia il camion, seguito dai marinai, ma ben presto ricominciarono gli soari dalle porte, delle case, dalle finestre e dal tetto della Casa del popolo, 3ul quale fnron vedute parecchie persone che impugnavano le rivoltella. 11 Bartalesi fu allora costretto ad abbandonare l'autocarro e, sebbene Inseguito dalla ferocia degli aggressori, potè trovare scampo nella casa di certo Niccoli, ove rimase celato. Anche il tenente viecdomini cercò di rassicurare la folla e di convincerla elio aveva preso un equivoco, trattandosi di marinai e non di fascisti; tra la iolla vi era il sindaco Riccardo Mannaionl, capo dell'amministrazio ne comunista di Empoli, il quale, mostrando di essere persuaso della verità delle dichiarazioni del tenente, fece cessare il fuoco. Ma non tardò a ricomparire sulla scena un tale Giuseppe Bossi, clic si spacciava per commissario del popolo, il quale ingiunse al sindaco di andarsene. Il sindaco infatti si allontano e la folla capitanata sempre dal Rossi, volle perquisire i militari, disarmandoli c spogliandoli, oltre delle carte e dcj documenti personali, anche di tutto quanto altro possedevano. Nemmeno il tenente Viecdomini potò sfuggire a tale imposizione e tale Dino Caponi, che è tra gli imputati, tentò di lusrliergli con la violenza il portafogli, cosa che il tenente riuscì a evitare. Intanto, compiuto il disarmo, si ricontili ciò a sparare da ogni parte sopra i militi i nermi che si sbandarono per trovare una via di scampo; ma, prima che potessero raggiungere l'intento e mentre imploravano pietà ner non esser trucidati, si fece loro avanti tale Giovanni Morelli, notato da tutu per la bruttezza del suo viso schiacciato • per il suo ciuffo di capeUi. U quale unpugnando la rivetella intonò li militari di fermarsi Quindi. dirèttosi verso il carabiniere Salvatore MÙsu, che »ra appoggiato a un muro, ricordandogli la *ia qualità di carabiniere, a brurlapete gli sparò un colpo al pettc> e quantunque lo avesse ferito mortalmente, soggiungendo: .von sei morto aneoia?, gli'sparo un altro colpo alla tempia e cosi lo lini. Dispersi e trucidati Lo stesso Morelli - sempre secondo l'accusa — e i numerosi compagni si diedero poi alla caccia degli sbandati, no= riSDarn™in?0 loro percosse e insulti di ogni genere. In prossimità della Casa del Popolo, scovarono il marinaio Errico Kotlin, e, avutolo in loro potere, gli spararono contro numerosi colpi di rivoltella, atterrandolo. Quando tentò rialzarsi, fu fatta una seconda scarica, che lo fece cadere supino. Quantunque 11 disgraziato non desse più segno di vita, pur non si arrese la ferocia degli aggressori e fu visto uno di essi vibrare una pugnalata al capo del morente, mentre un altro, identificato per Natalo Lombardi, lo colpiva fortemente con il tacco della scarpa. La molteplicità e la gravita delle lesioni furon causa della morte del Bottin, non ostante le cure ricevute all'ospedale, ove venne trasportato dalla Pubblica Assistenza. Alla strago di questo marinaio presero parte, oltre al Morelli e al Lombardi, numerosi altri tutti armati di rivoltella, tra 1 quali lo sciancato Lindoro Cantini che, per colmo di ferocia, aggiuns-e per conto suo» per incitamento di un compagno, due colpi di gruccia sul moribondo. L'opera degli aggressori dopo questi primi successi si rivolse anche contro i militari fuggiti .verso la campagna. Gli uni incitavano gli altri con grida di questo genere: Ammazzateli! E' carne venduta a venti lire al niorno! insogna vendicare il nostro lavagnini! Quest'ultima frase fu particolarmente proferita da tale Jaurés Busonl, in risposta ud alcune pietose donne che gli avevano mosso rimprovero perchè faceva tirare 6ti dei poveri giovani. Nell'inseguimento furono rintracciati i carabinieri Giovanni Pinna e Garino Pintus, per opera specialmente degli imputati Amleto Maestrelli e Angiolo Castaldi, che, insieme ai compagni, li circondarono e li bastonarono. Il Pintus, sebbene ferito, riuscì a scampare alla strage e potò venir ricoverato all'ospedale; il Pinna invece, inseguito e incalzato presso l'argine dell'Arno, dove si stava lavando le ferite, fu costretto, per sfuggire alle minacele di morte, a gettarsi nell'acqua, ove miseramente scomparve. Il suo cadavere fu ripescato dopo alcuni giorni e i periti accertarono che l'infelice era morto per annegamento. Marinai massacrati e seviziati da donne Narra l'atto d'accusa — e c'è da rabbrividire — che i marinai Vincenzo Incarbone, Salvatore Santaniello e Salvatore Lo Pinto, venivano raggiunti dai sovversivi empolesi e massacrati, il primo in un campo presso Magolo. gli nitri in prossimità della cabina elettrica. Nò ai morenti vennero risparmiati atti di vere sevizie, per parte — orribile a dirsi — proprio di alcune donne, le imputate Filomena Gini, Bianca Miranceli e Ginevra Innocenti soprannominata la Cinquantaccia, la quale ultima arrivò sino al punto di strappare con un morso un orecchio al morente Incarbone. Certi Bruno ed Elio Caverni inveirono cosi ferocemente a colpi di bastone contro uno dei marinai da spezzare le mazze. Un altro episodio che deve essere ricordato è quello che riguarda il marinaio Michele Vallelunga, il quale datosi alla fuga dopo il disarmo e direttosi verso la campagna, fu percosso e ferito da quattro rivoltosi. Essi lo lasciarono a terra, credendolo morto; ma 11 ferito si potè rialzare, e, grondante sangue, mentre già annottava, chiese asilo alla casa colonica di Girolamo Bertinl, il quale, invece di soccorrerlo, chiamò a raccolta i compagni mediante spari di fucile. Quando costoro furono arrivati, tutti presero a inveire contro il ferito, e a percuoterlo; poi 10 presero e lo gettarono nell'argine del fiume dove gli imputati Ugo Bagnoli, Dino Parrinl e Guglielmo Pasqualetti gli rubarono portafogli ed orologio e lo ferirono di coltello. Non sazi, il Bagnoli e l'imputato Gino Maestrelli lo buttarono in Arno. L'acqua fredda gli fece ricuperare i sensi e ciò fu la sua salvezza perchè a nuoto potè traversare 11 fiume e riparare sull'altra riva lungi dal suoi persecutori. DI altri episodi secondari sono pieni i volumi del processo e illustrano questa folata di pazzia, di ferocia e di criminalità che passò su Empoli.