Ottantanni di storia nelle testimonianze di cinque «sopravvissuti»

Ottantanni di storia nelle testimonianze di cinque «sopravvissuti» Ottantanni di storia nelle testimonianze di cinque «sopravvissuti» Memorie dal sottosuolo Alice Bertalot, l'ultima donna a portar giù il talco con le slitte - L'emigrazione in Argentina e Uruguay - «In cantiere non c'era neppure la cassetta del pronto soccorso» «Nascondevo le paghe in una gerla» - Meraviglie tecnologiche e paura contadina UN -FRONTE- DI GALLERIA. IL MINATORE VOLTATO E' ADDETTO ALLO SBANCAMENTO. GLI FA LUME UNA LAMPADA A CARBURO. IN PRIMO PIANO, IL VAGONCINO DEL TALCO, CHE VIENE TIRATO FUORI A FORZA DI BRACCIA. L'ILLUSTRAZIONE, COME QUELLA VERTICALE DI PAG. 4, E' TRATTA DAL VOLUME -PINEROLO, VAL CHISONE E GERMANASCA FIN DE SIECLE», CLAUDIANA EDITRICE pietra. Molte, moltissime, dicono i vecchi mineurs. «Prima di affondare il piccone e far leva — spiega uno — la parete va saggiata a colpi di punteruolo. Se ne vien fuori un battito cavo, quasi sommerso, bisogna raddoppiare l'attenzione per il rischio di crolli». Tecniche maturate solo dall'esperienza. Non à caso per divenire caposcolta bisognava avere alle spalle perlomeno 25-30 anni di lavoro sotterra. All'avanzamento, cioè sul fronte di scavo, venivano dislocati due operai di 1* categoria. Le loro decisioni eran quasi legge. Persino i geometri, la piccola nomenklatura che gestiva, di fatto, gli scavi, spesso non osavano interloquire. «Un operaio scelto, del resto, vale più di tanti ingegneri» dicono in valle. Avanzando nella vecchia galleria si coglie appieno questa intelligenza manuale. Le pareti sono rafforzate con perizia da impalcature trapezoidali in legno, che nei tratti più cedevoli formano quasi un bunker protettivo. Poi il tunnel inclina ripido, è una «di- scenderla». Qualche metro ancora, e tira in verticale, nuovamente armato con travi ed assi. «Camini, questi li dicevamo camini, o fornelli se erano dall'alto in basso. Che fatica sbozzarli. Alcuni misurano diciotto, venti metri, opera di mesi e mesi». Scavare nelle viscere della montagna, fredda d'inverno gelida l'estate, era quasi una scommessa. Col tempo, con la salute, coi pericoli. Ma dava pur sempre soddisfazioni, almeno a qualcuno. C'era tuttavia un lavoro più ingrato e solitario, dove si raccoglievano solo rischi: far le ripiene. Sì, ogni galleria, esaurito il suo compito, bisognava ritapparla con materiali di scarto per non causare frane in quelle sottostanti. Ad occuparsene erano spesso i bocia, apprendisti con meno di quattordici anni. Occorreva farsi strada in un tunnel parzialmente invaso dall'acqua, fra gli scricchiolii delle travature già marce e continui cedimenti. Nel buio. Il piccolo lume a carburo durava poco. Un minaggio anche lontano, e lo spostamento d'aria, scorrendo-fra le gallerie come nel groviera, sarebbe stato fatale a qualsiasi lampada non coperta. Era notte completa, irreale. Secondi lunghissimi prima che la mano frugasse nelle tasche fradice alla ricerca dell'accendino. Poi, nuovo scoppio e ancora buio, senza preavviso. Gli esplosivi servivano ad aumentare la produzione, ma senza togliere fatica al lavoro. Terminato lo sbancamento c'era una lunga opera di «ripulitura», carico, trasporto. «Fumo e pólvere invadevano tutto il tunnel. Sarebbe stato un suicidio tornarci subito. Così, per evitare la silicosi, non restava che azionare il gigantesco ventilatore mobile. Le pale erano in legno. Corrente elettrica? Si muoveva a forza di braccia, una fatica supplementare dopo le undici ore passate nel sottosuolo». Poi, il molino. A Malanaggio. Qui i massi di talco venivan ridotti a polvere. La trasformazione «in loco», però, fu una conquista del secondo Ottocento. Prima, ai tempi della compagnia inglese, occorreva trasportarli oltre Manica grezzi com'erano. Nelle spese di viaggio andavano persi grandi capitali. Finché in Val Germanasca non si riuscì più a battere la concorrenza pirenaica e marsigliese, zone d'estrattiva fiorente con possibilità immediate d'imbarco sui grandi carghi. Ma torniamo alla miniera. Di storie se ne raccontano parecchie, episodi realmente accaduti che la fantasia visita e rimodella. In queste narrazioni spesso il mineur lavora in proprio, di notte, cerca. Oro, argento, metalli preziosi. I tunnel diventano caverne, buche, anfratti nella roccia, misteriosi come la «galleria del sale» che trafora il Monviso. A indicare il diavolo. Ma le scorciatoie della fortuna si rivelano illusorie: il valligiano che vuol arricchirsi «miracolosamente» in genere scorge a fine cammino soltanto la propria follia. L'unico «tesoro» lecito, forse, è proprio quello che si estrae giù in miniera, tutti insieme.