n o

n o n o n ossier «L'importante era non perdere la piada, // filone, ma inseguirlo fin dove si poteva. Ora lasciano perdere che è ancora spesso mezzo metro, ma noi scendevamo sino a tre, quattro centimetri, purché riuscisse a entrare la punta del piccone». L'ex minatore si ferma un attimo, riprende fiato. Salire qui a Malzas non è stato uno scherzo, il sentiero s'impenna subito dopo Crosetto per due chilometri buoni. L'accesso alla vecchia galleria è solo parzialmente sbarrato. Dal tunnel esce un rivo d'acqua. «£' acqua di talco, meglio non berla. Troppi sali minerali. Per evitare che creasse allagamenti la facevamo scorrere in una specie di canale rialzato, sulla sinistra della galleria. Ma contro reumatismi e bronchiti non c'era molto da fare, le pareti stillavano in continuazione». I binari dei vagoncini furono portati via con lo smantellamento di questa miniera, nei primi '60. «Erano in ferro, naturalmente, ma a Sapatlè ci sono ancora tracce di quelli più antichi, fatti in legno. Rotaie sconnesse, con le giunture inchiavardate malamente. Per guidare il carrello fuori ci voleva un minatore esperto, pronto a "correggere" la traiettoria con ripetuti colpi di reni. Se no deragliava il carico e buonanotte». Le vecchie foto di miniera mostrano volti severi, intenti, non privi di solennità. Gli abitida lavoro se li portava ognuno per conto suo, tuta ed elmetto compariranno solo nel dopoguerra. Chi lavorava nelle gallerie di grafite (peiro graso, pietra grassa in patois), usciva annerito e unto, gli altri no: il talco è traditore ma lascia puliti. Già, le insidie della