La giovinezza di Gabriele D'Annunzio: aneddoti

La giovinezza di Gabriele D'Annunzio: aneddoti La giovinezza di Gabriele D'Annunzio: aneddoti Per cortese consenso della Società Libraria Editrice Nazionale, siamo in grado di pubblicare un interessante- capitolo del volumedi Vincenzo Morello (Rastiqnac) su Gabrie-le d'Annunzio. Il libro del Morello apre lacollezione „, moderni d'Italia, che la So-■ ij x •, .„,.,. , ... , , .cult Sbrana Editrice sta allestendo, che sipropone di (are conoscere, nell'intimità dellaleresse o maggiore curiosità nei lettori. loro v'ta intellettuale, tutti gli italiani ino-derni, letterati, politici, artisti, che esercitanomaggiore influenza e suscitano maggiore in-Uscito dal collegio di Prato. 11 giovinetto poeta del Primo vere, venne a cantare a Roma il suo Canto novo. Venne, si può dire, sul cavai della morte. Sopra una falsa informazione di non si sa più qual foglio di provincia, che voleva il D'Annunzio morto per una caduta da cavallo, il Fleres scrisse nel Fracassa l'elogio funebre di questa grande speranza dell'arte, cosi presto abbattuta. Ma non ancora, in attesa di conferma, le patrie lettere avevano prese le gramaglie, che una gioconda lettera del D'Annunzio al Fleres assicurava che la grande speranza era ancora salda sui suoi garetti, e muoveva alla conquista di Roma. Infatti, poco dopo, il D'Annunzio stesso in persona si presentò agli uffici del Fracassa, a dare un'autorevole smentita alla sentenza del poeta greco, chi sa quante volte allora citato, che vuole muoia giovine colui che al cielo è caro. Il " Fracassa „ Il Fracassa! Questo nome è ora soltanto un ricordo storico: ma. tra il 1882 e il X883. fra tutti coloro che gridavano nelle scuole il tradizionale Abbasso Senofonte!, quel pupazzetto che nella testata del giornale romano sollevava bizzarramente sulla spada i larghi panneggiamenti del suo mantello, rappresentava l'ideale della marcia alla vita. E quale gioia quando potevano — quando potevamol — vedere pubblicato, sotto la protezione di quel mantello, qualche sonetto scritto tra l'una cartella e l'altra dei nostri compiti di scuola! 11 Fracassa era non soltanto il giornale svelto, grazioso, elegante, pieno di spirito e di brio, il giornale che allietava il pubblico coi suoi articoli e coi suoi pupazzetti, ma era il cenacolo del nuovo giornalismo e della nuova letteratura italica, e i suoi famosi saloni gialli, che poi erano una sala soltanto di pochi metri quadrati, pigliavano, nelle lontane fantasie, le proporzioni di una reggia fantastica perchè raccoglievano spesso le più note celebrità contemporanee della politica e delle arti, di tutte le arti, da quelle del pensiero a quelle del canto: musica e poesia. 10 raccolgo dal labbro di uno dei fondatori del Fracassa, dal labbro di Gennaro Minervini, commendatore e prefetto del Regno ora. scrittore arguto e spensierato allora — o Blazlus! — le notizie di quel tempo. 11 modesto ufficio del Capitan Fracassa era In quel primo periodo sul Restaurant Morteo, el Corso (Il piccone demolì quel caseggiato e sul suolo che esso occupava furono costruiti t magazzini Bocconi). L'ufficio si componeva di quattro stanze : due per la redazione, una per l'Amministrazione, e la quarta era il famoso salone giallo, con le pareti tappezzate di carta paglierina chiara, sulla quale GandoUn. Ugo Fleres. Ettore Ximenes, Pascarella, e tanti altri si sbizzarrivano in disegni d'ogni genere, dalla caricatura di Pietro Cossa e del marchese Francesco d'Arcais, direttore dell'O pinlone. al duello alla spada fra Alberto Mario e papa Pecci; dal ritratto di Eleonora Duse a una espressiva testa d'asino in amore, specialità della matita di Pascarella. Il duello fra Alberto Mario é Leone XIII era disegnato con figure quasi di grandezza natu rale. Occupava tutta la parete di fronte. Alberto Mario tirava un terribile colpo di spada a papa Pecci. che con la sottana a mezza gamba, tremante, tentava pararlo; Le diafane- smi surate orecchie pareva rabbrividissero di spa vento e di sdegno. Quel duello era l'illustrazione grafica di un avvenimento giornalistico Si era al tempo del giornale La Lega della Democrazia, diretto da Alberto Mario, che pubblicava • ogni sera una lettera aperta all'indirizzo del signor Pecci e polemizzava coi giornali clericali. A proposito di questo disegno di Gandolin, Alberto Mario entrando nel salotto giallo in compagnia di Napoleone Parboni. nel vedersi raffigurato sulla parete in atto di colpire in pieno petto il venerando iPeccl. fu preso da tali convulsioni di risa, da cadere riverso sul tappeto e rotolarvisi come in un accesso epilettico. Il "bohémien,, Pastorella L'enfant gate della casa era Cesare Pascarella. Pascarella era ancora un vero tino di bohémien tolto di peso dal romanzo di Murger. Egli studiava pittura e. se non dipingeva insegne di negozi come il suo collega del romanzo francese, dipingeva, con .la stessa liberalità, asini. Una vera specialità, in questo ramo di produzione. Pascarella entrò nel gran mondo delle lettere, attraverso Casamicoiola. Si era al tempo del disastro di Casamicciola e si preparavano spettacoli d'ogni (.-onere per soccorrere i danneggiati. Una sera Minorvini, in compagnia del maestro Augusto Rotoli, che poi mori in America, ma che fin da allora era popolare e festersinto come autore della Mia bandiera, della Gondola nera e dino ancora il giro del mondo, si recò al Co stanzi, dove i soci del Circolo Artistico met tevan su in una sala una grande mènageric,nella quale essi stessi sarebbero stati gli ani- mali più o meno feroci. Pascarella. che era ili un'agilità davvero scimmiesca, lavorava proprio nella gabbia 'delle scimmie. Dopo il lavoro, uscito dalla gabbia, si avvicinò a Rotoli ppr salutarlo; e Rotoli lo presentò al Minervini. dicendogli: - Sai che. Pascarella compone dei sonetti in romanesco 7;,. Da bravo recitane qualcuno! Pascnrella disse subito di no, e nel suo rifiuto persistette „con un'ostinazione detma Invero degli asini, che dipingeva con tanta ve-rità; ma alla fine, non potendo più resistere ene insistenti premure del Minervini, li. al buio, sotto l'arco di una porta, recitò due o tre dei suoi sonetti. Minervini ne apprezzò subito la bellezza, laspontaneità, il fine umorismo, e si propose diaggregare il Pascarella alla famiglia del Fra-cassa. Si afferrò al suo braccio e tanto feceche lo trascinò — è la parola — sugli ufficidel giornale. C'era folla quella sera. Oltre lFf'Oi redattori Peppino Turco, Arnaldo Vas-sallo. Federico Napoli, vi erano Pietro Cossa,Oreste Baratleri, dei Mille, che doveva poilegare il suo nome al disastro di Adua, Fran-cesco De Renzi», non ancora ambasciatore, ilmarchese D'Arcais, Ugo Fleres. Giustino Ferri, Ferdinando Martini il banchiere Moisè Bondl, Gigi Perelli, della Riforma, e molti altri letterati, uomini politici, pittori, mus'clsti. Pascarello. messo alle strette, fu obbligato a dire suol versi col piccolo cappello a fungo 6ul cario, con la eterna pipetta fra le labbra, gesticolando con un'efficacia meravigliosa. Cominciò impacciato, titubante, ma prosegui, rinfrancato, confortato dai clamorosi applausi, dall'entusiasmo del suoi ascoltatori, con inimi-tabilo arte, con evidenza scultoria. Fu quello l'ingresso ufficiale di Pascarellanel giornalismo letterario. Ditatti, nel numero "^L^W9*^ TSiT ' " h^! , 1 ^ S P gli altri, accolti dal plauso universale, che me- rltarono le loA\ di Giosuè Carducci. Pascarella non ha mai dimenticato chi lo spinse nella v.'a che doveva percorrere con tanta gloria. Donando al Minervini un esem-piare della sua Scoperta dell'America, vi scris- se in prima pagina: A Gennaro Minervini. al mio scopritore. E Pasca, cosi lo chiamavano tout-court, s'ap- passionò al Fracassa, come se n'era appassio- nato Pietro Cossa, Il quale passava lunghe ore ad assistere all'apertura della posta nella sala dell'Amministrazione, e si fregava le mani in segno di Ìntimo compiacimento ogni qua! volta dalla busta delle lettere usciva il vaglia per l'abbonamento. E ne uscivano a centinaia tutti i giorni! Scarfoglio e 1"'Emulsione Scott., in musica Un a'tro nuovo era Scarfoglio. Scarfoglio, allora nei primi anni della giovi- nezza, era come un selvaggio trapiantato a forza in una città civile. Egli si ribellava a tutte le convenienze sociali. Mangiava, beveva, vestiva e dormiva come un figlio dei boschi, Non ancora giornalista politico, egli sdegnava l'arte di nascondere o modificare 11 suo giù- dizio critico nellopera letteraria di qualsiasi scrittore, anche dei più illustri. E questi suoi giudizi esprimeva in una frase magnifica che, nelle male parole, era superata soltanto da quella di Giosuè Carducci. E ne seppe qualche cosa anche il buon Già- cosa! II Giacosa *ra a Roma per assistere alla pri- ma rappresentazione di una sua commedia. Egli era naturalmente fra gli amici prediletti del Fracassa; e tutti gli volevano un bene del- l'anima, e primo fra tutti il Miuervinl. Era dovere giornalistico pubblicare su Già- cosa, che chiamavano semplicemente Plnotlo, e che era l'uomo del atomo, l'articolo d'occa- sione col suo bravo pupazzetto II pupazzetto, opera di Gandolin, riuscì somigliantissimo Mi' nervini pregò Scarfoglio ai scrivere l'articolo e gli raccomandò di non lesinare gli elogi al- 'autore Illustre, all'amico carissimo Scarto- gllo promise, e poiché era già tarda 'sera e 11 chiasso era indiavolato nelle sale di redazione del Fracassa, andò a rinchiudersi nel gabinetto dell'amministratore e in meno di un'ora scrisse l'articolo e lo mandò In tipografia. Poi si recò nel salotto giallo, a chiacchierare,' a ride- re, a scherzare con tutti, e specialmente con Giacosa, che era l'ospite caro e festeggiato. Quando, verso l'alba, la riunione si sciolse MÌinervini che era rimate ,m nTind etTLi minervini cne era rimasto un po indietro dal gruppo degli altri amici, e chiacchieravu con Giacosa, appoggiato al suo braccio, gli confidò che il Fracassa l'indomani avrebbe pubblicato =„i ..i.-ju „J.._ ■allo. E Pinotto, a ringraziare, commosso, con la sua voce cosi ca(bda e armoniosa! sul suo conto uno splendido articolo di Edoai^ do Scarfoglio con relativo pupazzetto di Vas- Minervini andò a letto e quando si destò chiese il numero del Fracassa per deliziarsi nella lettura dell'articolo di Scarfoglto, che tonto piacere avrebbe recato al carissimo Giacosa. esse Altro che apologia! L'articolo di ^arrogilo, era, come si lice in gergo giornali- stico una feroce stroncatura di tutta l'opera in b»«. — ... . . u Gi'a"co"sa ìwn*£^~P^Y^ che ne pensava, Appariva intanto, sulla scena Angelo Som- ^'vemtto anRom,d'^rCnThw;- ^'r' ZI,? Roma per pubblicare la Cronaca 25? E^nrnni^6' T ^v,"^/ T C,aS? to del ^™PJT, 10 ,T frair6d,at' n/sUtn- !' 1, T amJcl avrebbe ben E V.»^tÌ«^° Va re 6- SemPre SOrrl- ^•n^S^Z^n^^ zlone del suol nuovi conoscenti nnccia. che conquistò anche TT^^-^TIL^ ■endo, a disposi- dell ottima ver- il nero Enotria, scopo: quello di reclutare per la sua Casa tutte le rigogliose e promettenti forze della giovane letteratura. Pazientemente, passava molte ore. tutti i giorni, nelle sale del Fra-1 cassa e accaparrava scrittori anche quando mostrava di godersela un mondo ad assistere ai giuochi acrobatici, cui si nhhTndnnnvnno Vassallo. Soarfogllo e Pascarella nel famoso baioito giallo. \ ansallo. une eia ..b.Mi lutaste, reggeva sulle spalle Scarfoglio, e Pascarella con l'agilità di un gatto si arrampicava su i due, e insieme formavano la piramide umana. In quello stesso salotto, più in la, quando Luigi Bertelli (Vamba) mandò al diavolo l'amninistruzione delle Ferrovie alla quale appar- . ■ . . „ teJ eva' 0 da ,F°fSla 51 ndusse a Homa._si eseguiva quasi tutte le sere una composizione di lui, che era uno dei tanti avvisi di quarta panna dalla Emulsione Scott messo in musica. 1 osti e Rotoli erano al piano, Vamba cantava,suonando il violino, e gli altri facevano il coro, L'.eftetlo dei curo, modulante in minore la fru.se degli ipoiosfltl, era semplicemente me¬ raviglioso. Gabriele e il gelato al caviale Fu in questo ambiente che Gabriele D'Annunzia fece la sua prima iniziazione alla vita delia capila.;.. Un giorno si presentò al Minervini Carmelo i Errico, l'autore dei Convolvoli, accompagnato da un giovanetti di media statura, imberbe, dati folli e ricciuti capelli castani,- « dal sorriso puro e luminoso come di vergine, dai grandi occhi;azzurri, che pareva si schiudessero allora alia vita, curiosi e quasi spaventati». _ qjjq Minervini --- disse Carmelo Errico 60no qui per presentarti il mio giovane amico Gabriele D'Annunzio... _ cne viene di persona — soggiunse D'An nunzio — per provare che la notizia della sua morte, pubblicata dal Fracassa con parole corsi lusinghiere, è inesatta e, per lo meno, prema tura_ perchè, come vede, sono vivo e vegeto. Congratulazioni, strette di mano, soambio .di cortesie con la esuberanaa espansiva dai primi anni della giovinezza. A festeggiare Gabriele. .Minervini chiamò il ruflazzo del giornale perchè andasse giù a prendere birra. Quel ragazzo, a servizio del Fracassa, notiamolo di sfuggita, è divenuto cogli anni un uomo assai noto, uno del più coragigiosi industriali della nuova Roma : egli è nientemeno cho Faraglia, il cavaiier Faraglia, proprietario del grande caffè omonimo in piazza Venezia, e, prima, del Bar Anglo-Americano di piazza Sciarra. Egli conosceva la bibita, il rinfresco preferito di agni singolo redattore e non sbagliava mai nelle ordinazioni. Quel giorno diede la birra a D'An nunzio. Ma di li a poco Gabriele, che tendeva a épater le bourgeois. avrebbe chiesto un gelato a] limone con sopra una porzione di oaviaiel Il solo redattore che non si servisse quasi mai di Faraglia. ùei ragazzo, era Ernesto Mezzabotta, il più fecondo produttore di originale, che nel Fracassa firmava II Pedante, Il Maestro del Signorino e ftnanoo Chiquila! Egli aveva al suo _ immediato servìzio il gerente de! giornale, gran de. patriota e glorioso reduce delle patrie batta glie. Fortunato Cristofaro Appena Mezzabotta entrava la mattina nella redazione del Fracassa, deserta in quell'ora, e cominciava a scrivere un articolo di politica estera e il capitalo di un suo romanzo d'appendice, sentiva subito 11 bisogno Q1 mangiare qualche cosa, non bastandogli i cioccolatini di cui era sempre provvisto. Allora, lasciando in pace in cancelliere tedesco o la Pa Bessa Giovanna, interrompeva articolò e roman zo< e 51 rivolgeva fiducioso alla... biblioteca del Fracassa. Senza consultare gli inesistenti sc^er duri, metteva :e mani su i più grossi volumi disseminati per terra, ne prendeva un paio, indifferente del loro contenuto, fossero la Relazione d'inchiesta sulla pesca o la Statistica del bestiame, e incaricava Cristofari di barattarli dal piz- zicagnoio in panini, gravidi di prosciutto e di acciughe. A baratto couchluso, addentava i pa- nini, mormorando filosoficamente : — E poi ò*- cono che le pubblicazioni del Ministero di agri-j coltura a commercio sono inutili 1... Che scor- pacciata, povero Mezzabotta, 6e fossi etato an- cona tra 1 vivi al tempo dell'inchiesta Saredo o & quella parlamentare sulle ferrovie, sulla ma- rina, sull'esercito e sui l contadini del Mezzo- giorno I D'Annunzio divenne di casa ail Fracassa, dove si trovó col suo conterraneo e amico d'infanzia. Edoardo Scarfoglio, e con altri abruzzesi : Fran- i cesco Paolo Tosti c Costantino Barbella, già 6Ul-! :a via d8Ha celebrità l'uno e l'altro nella musica e neHa scultura, e poi col principe dei pittori, anch'egli abruzzese, Francesco Paolo Mlchettl, ^ch'egli ora — o Michetti 1 — senatore del Re- gno- E Questa gente non irritabile egli pas- 6ava sorridente come un piccolo dio grazioso e benigno, cui fosse a tutti dolce offrire confetti e carrezze, per renderselo propizio. Non era an- °°ra E ^Po delle rioche offerte: la lettaraiura era gaia e spensierata, ma povera. Era il tempo ^ cui 1 Brandi successi librari — come quello 0di Baroare — produoevano all'autore cin- 1uecen'° lire; e i grandi successi teatrali, come (JU€lU m Cos6a e 41 FemJl- apPena 11 d°Ppi0' Fra le pagine di un vecchio libro, cassa forte non sospetta, furono trovate seimila lire, dopo la morte di Pietro Cossa: frutto dei grandi trionfi del Nerone e di Messalina. E anche il f?'Annul'zi° cominciò a lavorare, come gli alili. lietamente, per poche lire, o per una scatola di bonbons, che Angelo Sommaruga sapeva a prò- posilo fargli trovare nella modesta scrivania deUa codestissima stanza mobigUata. nido di ,„nti . .. ,. , 5~ • _. tanti sogni e di tanto avvenire! La Cronaca Bi- zantina di Angelo Sommaruga fu, con il Fra- ™/ ?<>P° Fracassa, la Ca' d'Oro, per modo dire, della crescente gloria d'aenunziana. Le novelle delia Terra Vergine e le poesie del ?f%?"T n*T^ ,appurlto H ^assa e U Bizantina. E il poeta ne correggeva le bozze. JfTjL™lum*' "e\fu0 ,Uua^° viageio- caa p*1floareHa 6 Soarf^lto. Sardegna. Poesia e donne di Sardegna n viaggio in Sardegna fu una delle prime avventure dei D'Annunzio, che cominciata bene, poteva finir ma'e. se non' fosse h"e' . Eravamo in due. ed ora aamTinW^S conta Edoardo Soarfoglio in una sua corrispon-1 S ZZJStJS* . accompagnarci. Ma largomenlo che lo vinse ^f*?** ^ laì StCSS0: " Stanot,e è 11 Pr:ma 6r>edizi J T^TS^t'^ piccolo scialle di Pascarella. Denunzio colto ^ sprovvifi,a' e™ P^Uro come al, trovava, sen- za nemmeno una camicia di ricambio .. In. '"T"60- 0581 a*wario. tutti e tre. molta t°e a n€l Cen'eU°- E m P0€6ia ne fecer°. nelle loro escursioni, e ne mandarono nelle loro cor- T:fpoa^x at F™™* e Ella Bizantina. Per ^^LT^^f »?». - anco,, il S - PO^-aT^vT^ Brande poeta di VUla Glori e della Scoperta del- l America e di Roma, ma era un prosatore da 'pretorie di incomparabile forza ed agilità, sarda: Pascarcddu. Se P'iscarella mutava jl nome, Scarfoglio vo lova addirittura mutare abito e costume: Via questi parai borghesi. Datomi Una casacca di pelle, datemi Un fu:vo poliedro nitrente Ed una tanca senza confini. Io vo' niiìarmi qua dentro il palpito Di maggo, io voglio sul nudo cranio Crii schiaflì del vento ed i baci Micidiali del solleone. Andiam. Pei socchi lentischi scalpiti Questo mio fulvo poliedro ; mugghino I liberi bovi fuggenti Per il silenzio delia tanca. e Pascarella cantava il buio e l'orrore delle mi- Mugghino. Io dietro, siccome un barbaro Delia Florida, alcoomo un barbaro D'Olièna, galoppi, galoppi A onoro o gloria di O/uquita. n d'Annunzio non arrivava fino a tanto; e si limitava a cantare nel suo stile Je cascato di acqua e le rocce granitiche del paese: Dense di celidonie e di spineti Le roccie mi si. drizzano davanti Come uno strano popolo di atleti Pietrificato per virtù d'incanti. Sotto fremono a! vento ampi mirteti Selvaggi e U oleandri fluttuami, Verde p.cbc d. nani ; gin pei greti Vau l'acìjUe delia Spcndula cro£cianbi. Sopra il eie! grigio, eguale. A l'umidore De lì pioggia un'fioredir.e di effluvii Aspra oa.ano i timi e le mortelle. Ne la conca rtrdiss 'na il pas|ore, Come fauno d bronzo su '! calcare, Guarda immobile, avvolto in una pelic¬ niere: Te sai «gnato mai d'esse portato Vicino ar maro, immezzo a 'na campagna, E co 'na torcia in mano esae calato Drento a 'na buca ìmraezzoa' na montagna? E li a fonno sentitte monca er fiato, E vedo, immezzo all'acqua che l'abbagna, Gente che sbatte er muro inargentato Co 'na mazza e co 'n chiodo da filagna? E U immezzo sentì mille rumori De mantelli, de seghe e de lamenti, Come'dia gente che vo' usci de fori? Bè: ieri che so etato a le miniare, Sto cose ohe te pare che l'inventi Tutte sbs cose qui, l'ho viste vere. Ma i tre poeti non si contentavano di cantare le foreste e '.e miniere. L'aggettivo una volta Il trascinò a cantare flnanco le donne. Fra le corrispondenze al Fracassa ve n'era una, nella quale la plastica bellezza delle donne di non so più qual comune dell'isola era decantata con tale evidenza e con cosi minuziose Indiscrezioni sulla floridezza dal seno e sulle curve delle anche, che i fieri sardi di quel comune ne furono offesi. E allorché i tre pellegrini fecero ritorno al paesello trovarono ammutinata «d oettte una grande follò, che voleva giuocar loro mlbgtssmCdvhb un mal tiro. Per fortuna s'intromise il Baccaredda nella mischia, e fece tornare la pace. L'indegnazione) sarda ebbe uno sfogo puramente verbale, nel quale tornava frequente la parola porco, pronunziata in un dialetto fra latino e spagnuolo. Da questa escursione doveva venir fuori il Libro d'Oltremare; ma non credo che il proposito dei tre poeti eia mai andato ottre il titolo. E dopo quindici giorni di cacce e di banchetti, sbattuti dal vento e dalle onde, col travaglio del inai di mare nella traversata, fecero ritorno a Roma, e le peripeale del rinomo, sutt'.4 Jessandro Volta, il Pascarella fissò in questo delizioso sonetto : Cha spavento, Madonna I... Che spavento I Per me, si ce ripenso atammmat'.ns A la nottata drente ar bastimento, Me ce sento la pelle de gallina. Che spavento, Maionna ! Gni momento, Dottaceli oo' la tosta e co' la «china Mentre or vapore sbatteva p' er vento Come un sughero in d'una cunculiua !... Però si voi wipalla chiara e torma: Er somaro oe po' casca ria vorta Ma però non oo soasca la sioonna. Cho quanno che sverò da veni via, Mascara Cristo fò una giravorta Peli monti... ma torno in forovia! Al ritorno, il d'Annunzio trovò la prima edizione del Canto Novo, di cui aveva corretto la bozze in Sardegna, esaurita, ,, .. /»__»_ nOTO 11 *>•"««» BOTO „ E' più facile ricordare che descrivere il suo- ««so di questo volume di poesia Un mese prima della pubblicazione, nell'atto stesso forse in cui aveva raccolto per le stampe le pagine sparse, il d'Annunzio scriveva a*, pa- dre questa lettera: « Roma, l.o aprile 82. « Mio caT0 car0 babbo, ■ Ti scrissi Ieri sera a lungo, ma ti riscrivo og- 8' Per augurarti con gran cuore di figlio la te licita più splendida e più lunga ch'io abbia ma! sognate per te. « Quello di domani sarà per me un giorno d: racoogUmento e di pensiero. Ti rammenti quan- do 610 bimbo e venivo alla prima mattina in camera tua tutto scintillante di gioia e ti por- tavo 1 fiori ? Allora ero un flore anch'io cre- scente al sole degli affetti famigliari, e nessuna ombra di nube turbava mai la mia lietezza, e nessun desiderio vivo mi tormentava l'anima.... « Ora non più flore, ma quasi uomo, con fori! nervi, con passioni ardenti, con ideali dispera- t**De!lUi agognati; ora non più flore, ma quercia. giovine e Ubera e con audacia sfidante i venti della Vita. « .Arriverò alle ultime vette dell'arte e della Gloria? O cadrò combattendo a mezzo del 6en- tiero ? » Io mi auguro una immensa superba vlt torta« 10 mi auguro di porgerti la fronte -ragpiante a un bacio sublime. • E augurandomi questo, io so di fare anche a te. o min hnnnn „ min n^nn» „ a te- 0 mio buono, o mio nobile, o mio più car0 amico, so di fare anche a te un augurio ^vino « Centomila ba"Ci con tutta l'anima. « tuo tuo sempre « Gabriele •. « Io m'auguro una immensa superba vitto «*» » — E la vittoria non fu tarda al richiamo Il Canto Novo divenne, a un tratto, il canto di tutta la gioventù italiana. Mai forse l'anima e i sensi di un poeta si tro varono in cosi diretta comunione con la Na in una stes5a Pnmavera, come quelli del -^nunzio, Un taccuino inedito del Poet «to rivelano 1. .criHara ,«n*» ,pMB,0 ir ferrovia — le sue impressioni, e fissava gli eie me,ntt deUe 9U6 descrizioni anche con disegni C^SovT™ ^ ^ ^ ^ « L'acqua corrente tra i pioppetti dilaga. acqueta le ire, poi seguita il viaggio tra i cespugli di celidonia giaUa e d'ortiche. Si spoe ohiano i pioppetti nell'acqua, n rivo ha Ireschissimi murmuri; scende un bove grigio a bere. A fronte di queste ombre, fatate s'erano d'intorno le roccie aridissime, bruciate dafso=7"r^m =oY »^rPa= le. prendendo stupendi riflessi dorati e d'nrgenio. Ciuffi di menta odorosa sulle rive. Un coro lontano; è il meriggio. E 11 rivo passa con Sopra, l'azzurro tenero limpidissimo ». « La Pescara dappresso è un nembo di spume dilaga precipitando da piccole roccie muscose. I pioppi d'intorno stan come giganti verdi sognanti al murmurc soave. Volan le carolale candide di tra le foglie — s'alzano alti gruppi d< ortiche coi fiori roseo violetti. Mancan le Naiadi ne' voli azzurri. Che splendidi sogni! Che freschezza lucente di fogliami! ». « Che nembo di spume meraviglioso. Dà le vertigini! Lanciarsi là e sparire! Le roccie traforate dall'acqua si ergono. Sale polvere r.cquosa a rinfrescare il viso. Valanghe valanghe di spuma. «Questo delirio di sole, di spume, di viti fiorenti, d'aridità dispeiate! « Filoni, ailerie immani, valanghe d'argento sui monti hruclati. Dall'altra parte squarci di velluto bioado — rovine di pagode — si caccia 'acqua sotto l'erbe inaridite — palpitano l'erb.; come il ventre d'un gigante sommerso. Si 'livide l'acqua in cento cascatene che traversano i giunchi, le ortiche, le fratte rosse, buca a roccia, sbuca per cento vie. « Selvaggia santissima Natura!... Si rinfrnngono l'acquo sulle roccie spugnose, traforate, ricamate. Sale su al mio viso ardente una freschezza di pulviscolo acquoso che ricade j scintilla tra l'erbe, giuoca nell'aria come una miriade d'Insetti d'argento. Tutte queste ire strapotenti quaggiù; lassù nel monte la calma superba e il giro silenzioso dei falchetti nel'aria... Che odore selvatico!... I monti gialli, biondi, a strisce di velluto. La piccola valle gialla d'un giallo caldo. « Di fronte, altri monti biancastri arrovenatissimi e la freschezza susurrante della Pescara che precipita via... «Boschetto di salici fresco; passa la Pescara tranquilla verde senza riflessi nel sienzio... Sopra guarda il castello diruto dal monte giallastro baciato dal sole morente... Che pace, che verdura, che freschezza divina! « Passa placida l'acqua verde con un fruscio fra mezzo a le piante acquatiche che ondeggiano mollissimamente e palpitano come vive. Lampi d'argento qua e là. Archi muscosi ricamati d'ellera: alti pioppi; dall'altra parte una linea violetta di colline. Io disteso -ul appeto morbido dell'erba sotto una cupola fresca di pioppi fra cui giuoca il sole meravigliosamente. Il cielo opaco di vapori bianchi. Le foglie dei salici nel sole sembrano d'argento. L'acqua smeraldina passa presso. Viene di tra i salci. Che follia, che gioia, che echi ezza di verde! Ondeggiano l'erbe alte con un bisbiglio ampio. Solitudine verde, ove canta ru il vento ne la tua musa, o Teocrito, e sento volare sul vespro l'esametro tuo mollissimo greco. Il vento agita in ampia tempesta l'erbe. Che onda!... E verde e verde e verde!... (Popoli, 8 settembre, oro S 1/2 pomeridiane). c II fiume the passa — entra una barca rossalla foce — dall'altra parte la riva coi salci bianchi agitati dal vento — passa la bare; veloce con rumore — un gabbiano blancastr aleggia sull'acqua. « Stan su la riva sparsi i lini bianchi — in fondo alla foce la linea verde del mare sparsa 11 punte rosse e gialle cho sono paranze lontane e il tumore dei flotti. Sole di ottobre, alma, scirocco. Una gran barca s'affatica :i entrare — un nuvolo di gabbiani bianchi turbina nell'aria, si tuffa nell'acqua. Il fiume f delirante di sole; e vengono vele; una innanzi .ossa arancione accesa al sole, un fuoco d' colori, che sbatte sull'acqua azzurrina placidissima dal fiume — placide le barche — un» gialla e rossa — un'altra rossa a zone nere — sembrano di velluto — colori febrili. — E' un Incendio di sole — viene uno sciame di veK cadono le vele ammainate — è una febbre ho la febbre del colore, ho proprio la febbre, l'acqua s'incendia, s'arrabbia- di riflessi, tifoco Tossissimo. E' una disperazione! c Paiono zone di sangue, paiono cetacei dalle immani ferite che versino sangue nel fiume' Splendido! Splendido! Dal Gran Sasso ven gono torrenti interminati di luce abbagliante. E le vele vengono vengono ancora innanzi Siamo in Oriente! « Che sinfonia, che gridi, che squilli, che tuoni di colore! Tra il verde caldo, autunnali ielle rive Ce il rosso bruno; le vele si afflosciano e si chiudono come ali stanche, ondeg giano, si aggrinzano. E' proprio uno stormo, ih ordine lungo feroci, taglienti sopra il cielo chiaro, di perla d'opale Thàlatta! fhàlatta! Tutto quello ch'è nei distici del Canto Novo si ritrova negli appunti del taccuino: tra quelli e questi non vi è di nuovo che l'elaborazione dell'arte. Il d'Annunzio viveva come impregnato in quell'azzurro di cielo e di mare nel quale era impregnata la sua poesia ; i suoi pensieri e i suol sentimenti, e con essi le parole, non • r no che effetti di luce, in una fulgente atmosfera di primavera, in un'anima tutta vibrante di giovinezza. Come Venere, cosi la giovinezza sorgeva dalle onde, la giovinezza non del poetsoltanto, ma dell'Italia novella: O mare, o gloria, forza d'Italia a'.fin da' liberi tuoi flutti a l'euro Come un acc.ar timorato La giovinezza sfolgori. Il d'Annunzio amava il mare — lo ama ancora — come il suo elemento. Ignudo le membra agilissime a '1 sole e a l'acqua liberamente, come un bianco cefalo, nuota... E al mare egli affidava i suoi amori e l suoi sogni. A '1 mare, a '1 mare, Lalla, a '1 mio libero tristo fragrante verde Adriatico, a '1 mar de' poeti, a '! presente dio che mi tempra nervi e oanzond ! Fu appunto nell'agosto di quell'anno, 188: che, per amore del mare, egli fece il famof viaggio da Pescara a Venezia, sulla Lady Clare di Adolfo de Bosis. viaggio che, senza l'intervento dell'^oosfino Barberigo, sarebbe forse finito in un modo tragico. La Lady Clare era un battello di diporto senza ponte, ma con due alberi e vele a goletta ; portava a poppa una grande bandiera bianca e azzurra con l'arma di Shelley (non per nulla Adolfo de Bosis vive da trent'anni in comunione di spirito con Shelley) ; e dentro, per zavorra, molti e pesanti tappeti turchi e persiani un tabouret, mirabile opera di tarsia, per posarvi su il caffè. L'equipaggio era composto di due marinai, eletti dal D'Annunzio in grazia del loro nome eroico: uno si chiamava Ippolito Santilozzo, e l'altro Valente Valori, un ragazzo : inesperti, l'uno e l'altro, di vele e di timone, il primo essendo stato a qualche servizio in macchine su qualche piroscafo; e il secondo un mezzo cretino. Ogni tanto la Lady Clare entrava in un porto o in una rada, e i due viaggiatori prendevano terra, e sulla spiaggia si facevano stendere 1 tappeti, e sop'ra cu.■icini e tabouret, a richiamo del curiosi che credevano i due poeti 6i accingessero a fare i giuochi. Il D'Annunzio, in realtà, faceva la cura del sole, e stava tutto il giorno ignudo ad arrostirsi: cotto da una parte, si voltava dall'altra beatamente. Da Pescara, cosi, la Lady Clare arrivò ad Ancona, e da Ancona a Rimini, e da Rimini a Venezia. Il de Bosis, ch'era al timone, pensan do che il viaggio sarebbe stato troppo prosaico =enza un qualche atto di audacia, volse la prua al largo — ma tanto al largo, da non potersi più orientare e non sapere più quale sarebbe stato il prossimo punto d'approdo. La lerra non si vedeva più; e Ippolito Santilozzo, con tutto il suo nome eroico, non sapeva altro fare che raccomandarsi a San Ciutteco. Ma sopravvenne, a certo punto, l'Agostino Barberigo, della squadra; che, avendo scorto quel batr tello cosi solingo ed errabondo (andava, come il vento lo portava, verso la Dalmazia), lo fermò, lo Issò a bordo e lo depose coi due marinai e i due poeti a Venezia. Dall'amicizia con gli ufficiali della Barberigo il D'Annunzio ebbe il suggerimento a scrivere gli articoli su questioni marinare, che pubblicò nella Tribuna. E, intanto, prima degli articoli scrisse a Venezia, all'Hotel Beau-rivage, VAlle goria d'Autunno. Terminato il settembre, il D'Annunzio tornò a Roma; e il de Bosis portò per terra, sopra un vagone, la Lady Clare alla Spezia, che fini i suoi giorni nel mare di Shelley. Rtistignac.