Nel giardino chiuso

Nel giardino chiuso Nel giardino chiuso Nel giardino chiuso del convento, l'infanzia fioriva in adolescenza, l'adolescenza in giovinezza. Ma il giorno in cui Agostinella Fabri annunziò alle compagne'ch'ella aveva compiuto i quindici anni, tutte risero e nessuna credette. Ella conservava difatòl un piccolo corpo smilzo di bambina decenne, un piccolo volto a cui la larghezza troppo accentuata delle mandibole dava un'appa-lrenza fittizia di floridezza, ma ch'era tut-jtavia incavato sotto gli zigomi e solcato sot-ji grandi occhi grigi to i grandi occhi grigi a venato di lieve azzurro alle tempia pallide crudemeute de¬ nudate dalla pettinatura claustrale ch'ellanon'sapeva illeggiadrire d'alcuna civetteria JTutte le educande proteggevano con unaspecie di pietà materna la piccola Nella Fa-bri perchè era tanto delicata di salute ches'ammalava a ogni mutar di stagione, per-che era tanto tarda d'intelligenza che non imparava mai nulla senza piangere, e poi perchè aveva una sua storia misteriosa e strana come un romanzo a cui "tutte s'ap-passionavano. Ella la narrava candidamente con la suavocetta un poco velata dove sibilava l'essecome nella pronuncia infantile, e le com-pagne l'ascoltavano intente deludendo conl'apparenza d'un gioco la vigilanza dellemonache sorveglianti. Ella non si chiamavaun tempo Agostinella Fabri — narrava sor-ridendo di chiara innocenza — si chiama- va- Teresa Vassalli, ed abitava in campagna con tanti bimbi e tante bimbe ohe credeva suoi fratelli e sue sorelle, e con una contadina allegra e bionda che chiamava mamma. Correva scalza pei prati — e tutta in volto s'illuminava a quel ricordo lucente dilibertà — mangiava le zuppe di latte nelleciotole di terra nera e s'arrampicava sugli alberi dietro l'invito ghiotto dei bei fruttipendenti. Ma un giorno — ella aveva allorauna carrozza si fermò dinanzi casolare e due signore ne sce eette anni al rustico aero. L'interesse drammatico del racconto diveniva a questo punto così intenso che tutte le compagne le si serravano intorno con gli occhi avidi, e nelle fantasie vigili, il casolare, la carrozza, le due signore si disegna-vano nitide e ferme come nell'illustrazionedi un libro d'avventure. La signora più anziana dichiarò ch'esse erano le zie della piccola Teresa e mostrati-do alcune carte annunziò che l'avrebberoporiate seco in luogo più adatto alla sua condizione. Piangendo, la contadina bionda, vestì la piccina smarrita, le mise sul capo raso un cappelluzzo di paglia che ap-parteneva ad un'altra sua bimba e la se- dette nella carrozza in mezzo alle due si-gnore, frenando i singhiozzi con la cocca dello scialletto giallo che le copriva le spalle. E andarono, e si fermarono in una cittàgrande ch'ella credeva fosse Milano, in unalbergo così bello e così bianco che le davail capogiro. In questo albergo la zia Augu-sta, la più anziana, l'avvertì solennemente che il suo nome era d'ora innanzi Agosti- nella Fabri, che colei ch'ella chiamava.mamma era invece la sua balia, e che la sua istruzione e la sua educazione incominciavano in quel momento. Fu un momento molto triste per la contadinetta zotica escontrosa; furono giorni di confusa ango-scia in cui ella piangeva in silenzio senzasapere il perchè sotto gli occhi velati dallelenti azzurre della zia Augusta c la facciabianca eternamente spaventata della ziaClara. Ma quando giravano in carrozza danolo le vie turbinose sostando agli immen-si magazzini per gli acquisti del corredino, Agostinella allargava i suoi grandi occhigrigi e sorrideva di beatitudine estatica co-me al suo paese il giorno della processione. Una sera d'autunno presero un treno eNella vi si addormentò. Così ella non seppemai raccontare come entrò nel convento econ quali parole la zia Augusta, quellache era ispida e faconda, l'avesse presenta-ta alla superiora. Si svegliò un mattino d'ot-tobre nel gran dormitòrio tutto candido, con l'impiantito di cemento a dama biancoe nero e la statua dell'Angelo custode vigilante su la colonnetta di legno dipinto a marmo Da otto anni ella si risvegliava così fraquelle pareti ormai famigliari, fra quellecose ormai care, e più nulla era cambiatonella sua vita eguale. Solo persisteva il mi-stero di quella sua dolce e lontana infanzia troncata e di quel nome mutato su cui l'aspra severità delle sue parenti non permetteva domanda nò accenno. Costoro capitavano al convento di sorpresa a lunghissimi o a brevissimi intervalli ed era allora fra le monache e di riflesso fra le educande un tumulto d'ansia e di pietà per la fanciulla atterrita. Al primo annunzio che le zie l'attendevano in parlatorio ella impallidiva, s'accasciava sul banco, qualche volta era svenuta. E zia Augusta, la terribile, si lagnava con lei e con le monache pel suo cattivo stato di salute, l'interrogava su l'anno di nascita di Giovanna d'Arco e si stupiva profondamente che Nella lo ignorasse, lo esponeva un problema geometrico e si scandalizzava che Nella non ne capisse niente, le faceva saltare la corda e si disgustava perchè Nella incespicava e cadeva, le provava la calligrafia, e s'irritava perchè la mano di Nella tremava, corno l'ala d'un pulcino quando il falco incombe su l'aria. Zia Clara guardava e taceva con la sua faccia troppo bianca d'anemica, eternamente spaventata. Agostinella tornava da quegli interrogatori col volto stirato e la fronte madida d'un naufrago che un prodigio abbia salvato dal furore della tempesta, e le compagne la circondavano celiando su quella sua paura per rianimarla. E a poco a poco il suo piccolo volto di gatto, troppo largo alle mandibole, si ricomponeva e gli occhi grigi che l'angoscia inverdiva, quasil pallore si propagasse fino alle iridi, tornavan sereni. Tina Alberti, ch'era la più risoluta fra le sue protettrici, l'avvertì un giorno : — Se tu avessi una madre, queste cose non accadrebbero. — Ma non l'ho — osservò timida Nella crollando il capo. — E chi lo sa? — ribattè Tina Alberti che aveva letto molti romanzi, e tacque preoccupata. Alcune altre educande ripeterono e commentarono quel dubbio e parlarono delle tenerezze materne con una acuta nostalgia che la lontananza e l'indocilità naturale delle recluse rendevano appassionata. Ognuna narrò qualche suo piccolo caso particolarmente dolce al proprio ricordo ; anche Marina Mores, la quale aveva una madre bellissima che veniva a vederla tutte le domeniche accompagnata sempre da tre p quafc- n a a n , o tro signori che la colmavano di doni e di confetti. — E' vero, è vero, se tu avessi la mamma! — a Nella a quel compianto, a quelle caj'ezze cominciò a piangere piano piano. A uessuna venne in pensiero di lamentare la mancanza del padre. I padri, quei signori rigidi e seri, vestiti sempre di scuro, fcrop-lpo grassi o troppo magri, troppo barbuti -jo troppo calvi che s'indugiavano qualche -j scarsa mezz'ora nei parlatori, interessavano e ¬ poco per la loro uniformità monotona la già troppo grigia monotonìa di quelle vite a>claustrali. Alcune ne temevano la severità, J altre ne approvavano la tranquilla fiducia, a;nessuna o quasi ne sentiva la vigile amore-jvolezza della protezione materna, e! Tutte compiangeva"'.- la piccola Nella e -jnon s'avvedevano d'angosciarla sempre più, n j di sempre più eccitare la sua sensibilità già i j malata verso un desiderio vano, verso una e speranza impossibile. -' — T'hanno mai detto che è morta? — [domandò Tina Alberti che andava dritta aiai suoi scopi, e! — Mai! — singhiozzò Nella Fabri col -j volto nel fazzoletto enorme, da uomo, con nigli orli massicci che la zia le provvedeva, ej — Allora esiste! — dichiarò la eompaa1 gna risoluta; e se esiste non te lo devono -1 nascondere. Ascolta... - Tutte le compagne si strinsero intorno a alla piangente che alzò gli occhi dall'iride a n fatta verdastra. — Ascolta: quando verranno le zie a trovarti, non tremare, non piangere come fai sempre, ma alla prima domanda su la Grot- i'te del Cane o sul làbaro di Costantino tu ri e'spondi tranquillamente: — Cara zia, dimi ! mi prima una cosa che mi sta molto più a ijcuore di queste sciocchezze e che ho il sacro a!diritto di sapere, dimmi.... i te i -, ejneggiando la tenue anima ignara, ne ma aprirono il morboso bisogno di tenerezze e lignote a cui la imminente giovinezza ane-|lava, la indussero nella loro inconscia stolo;tezza a scrivere quattro pagine d'accusa, di — Non ne avrò mai il coraggio ! — gemette interrompeudo Nella Fabri — mai, mai ! — E allora scrivile! — consigliò Tina Alberti eccitandosi iu quel sentore di romanzo pericoloso. — Ti detto io stessa la lettera, e te la spedisco di nascosto. Le si misero intorno, ne stordirono va¬ a l protesta, d'inchiesta, ingenue e violente, e spedirle senza indugio alla sua torturatrice. Costei non rispose per cinque giorni, ma -|U sesto, ch'era il lunedì dopo Pasqua, men- j tre uu crepuscolo giallo e viola languiva -j nell'aria grave di aromi vegetali, Nella Fabri fu chiamata in parlatorio. Subito ella girò intorno gli occhi smarriti, con quel a . à|suo sguardo che pareva implorare aiuto nìPer 'a sua. debolezza, per la. sua frag:';'à. a:Col cuore stretto di pena le compagi < la -| videro varcare la soglia col passo ir rto e |e ineguale di chi non scorge chiara jnte - la strada dinanzi a sè, la videro sjjarire a.;nell'ombra del corridoio. Ma invano ne at- a ao tesero il ritorno. La zia anziana l'aspettava sola nel parlatorio, e al suo entrare le balzò, incontro e'come una fiera sventolando la lettera nella o-! destra con un volto così terribile che la cola!pevole senza un grido, senza un gemito e ! piombò a terra come un povero piccolo muc a oblio di carni inanimate. La trasportarono a all'infermeria bruciante di febbre, e la a!'ebbre più non l'abbandonò n- j Fioriva nel chiuso giardino in un alito o, molle la primavera e penetrava per la sua hi | finestra, che guardava in un orto abo- bandonato, con le rosette bianche dei ci e. ; liegi fioriti. L'assistette per qualche tempo e Wa giovane suora di viso tondo e d'anima e jgaia, ma poiché il male s'ostinava, le sue e | Jiarentì furono pregate di portare altrove a! 'a l°ro inferma o di venire esse medesime a-ja prestarle cure ed assistenza. Esse vent-inero e sl stabilirono in quell'ala disabitata o, |c'el convento ch'era destinata alle ammalate o i0^ alle suore forestiere ia La zia Augusta ebbe una camera più lontana, la zia Clara ottenne un lettino nel la stanza stessa di Nella e notte e giorno a'Pm »°n la lasciò. Quel suo volto sbiancato e ! d'anemica conservava tuttavia l'espressione o perenne di spavento che s'era immedesii-i mata con le linee del suo profilo, ma gli a arocchi le si erano ingranditi quasi per uno sforzo disperato a combattere il sonno o a ctpcNdsccepeislttqsappit|e[smmpslvlvsnel—a a o a e , à a — a l n o o e i - a o e i , a a ¬ e . a a a a combattere il pianto. Come la sorella matura, sentendosi inutile e non osando ripartire, s'indugiava fuori a visitare le chiese, esse rimanevano quasi sempre sole. Un pomeriggio già caldo, del giugno, Nella restò assopita qualche ora e ridestandosi d'improvviso sentì su la sua mano di-1stesa, stillare qualcosa di cocente, qual-1cosa di incessante e sobbalzò: — Zia Clara, zia Clara, tu piangi? L'altra tentò di sorridere, asciugò adagio col lenzuolo stesso la piccola mano scarna e poiché era tanto taciturna non parlò. Dammi da bere, zia Clara, e dimmi perchè piangevi. Ingoiò d'un fiato la bevanda ristoratrice e insistette sorridendo. — Piangevi per i miei peccati ? Perchè io ne ho commessi, sai, dei peccati. — Oh ! — esclamò zia Clara con la gola stretta. — Sì, ho scritto alla zia Augusta una lettera — come dire? — una lettera molto... — Taci, taci, ti fa male, — pregò Clara turbata. — L'hai letta anche tu quella lettera? — No — rispose l'altra mentendo per troncare l'indagine. Ma l'inferma vi si ostinò con quella loquacità febbrile che è in certi mali una specie di delirio sensato. — Ebbene, io domandavo alla zia se non avessi una madre anch'io come le mie com-pagne e dove avrei potuto trovarla. Era unipeccato chiedere questo? — No, no, non era un peccato. — E allora avevo ragione di chiederlo? — Non so; forse; dannili il polso. Rimasero entrambe ad ascoltare il battiito affrettato della piccola vita nella vena |esigua. Dai cieli tersi cadde pigramente la [sera, l'ombra invase la camera conventuale, ma Nella non volle lume. — Restiamo al buio, zia Clara. — Restiamo. L'inferma ricominciò a parlare di quella madre ignota di cui nessuno sapeva nulla, parve talora delirare' vagamente, tornò in sè, s'addormentò. Ma quel pensiero non le lasciò più pace e la donna silenziosa che la vegliava notte e giorno, di più in più allargava i suoi occhi, quasi nello sforzo di vincere un'ansia disperata. Quando il medico le tolse l'ultima illusione ella non potè piangere, ma la sera, nell'ombra prese la mano di Nella nelle sue e per la prima volta la baciò pianamente, lungamente. - Zia Clara, che fai? Perchè? Perchè? — singhiozzò subito Nella, intenerita fino allo spasimo. GL'altra la serrò frenetica contro di sè, per la prima volta, in un gemito rauco: — Ah! bambina! Bambina mia! I Si strinsero perdutamente sentendosi me-j ifiesima carne, medesimo sangue, si ripete- j jrono senza stanchezza, senza fine la parolai vietata per quindici anni, la parola della! loro muta condanua, del loro oscuro marti rio, del loro male mortale. — Mamma, Mamma ! — Bambina mia, fijflia mia! ...... nata ua.ua. lui uiuo uoouuuw u* i^w^. , l'altra, legata a lei nell'ombra di un antico ! mistero : spense un mattino alla prima aurora. E non seppe di morire. AMALIA GUGLIELMI NETTI. 1sfciao dell'altra, 1 S'u soffrire e la I | i , ter molti giorni filo a filo ritesserono lacoro vita dolente, piansero l'una sul de-; inoliriamnn Aa\ loro liio. I inebrarono del loro lun _ piccola anima ^ cmaia si. senti nata dalla torbida oscurità di quel-f . . , ... .tinche, conosciute le ragioni della sua; vita e del suo dolore, non rattristata più; oltre dai lugubri presagi che la mano ma- j , a, - i i " i i • i - terna le scosto dolcemente, la piccola ani-| ma chiara vissuta nel giardino chiuso, si ;

Persone citate: Agostinella Fabri, Amalia Guglielmi, Giovanna D'arco, Marina Mores, Teresa Vassalli, Tina Alberti, Zia Clara

Luoghi citati: Milano