Aneddoti inediti documentati sulla Luogotenenza del Re a Roma dopo il 20 settembre 1870

Aneddoti inediti documentati sulla Luogotenenza del Re a Roma dopo il 20 settembre 1870 Aneddoti inediti documentati sulla Luogotenenza del Re a Roma dopo il 20 settembre 1870 II. IPCome abbiamo veduto nel precedente ar-iPticolo, tra il Sella e il Lamarmora sorse nell'ottobre del 70 un grave dissenso circa la opportunità o meno di affrettare l'andata a Roma del Re. Esaminati partitamente i motivi che potevano militare a favore di tale opportunità, il Lamarmora concludeva che « si tratta di cose poco serie, meno serie di quelle del Vaticano. Or di fronte a un così tremendo avversario, noi dobbiamo preparare a trattare ciò che v'ha di più serio, la giustizia, l'ordine pubblico e amministrativo, questioni così gravi e complicate che, cogli ottimi consiglieri che m'hanno favorito, cominciamo appena a riconoscervici. La venuta del Re in queste condizioni, sconvolgerebbe tutto. Caro mio, sono vecchio e so come vanno le cose : ne ho viste tante! » Dopo avere enumerato quindi le difficoltà ed i pericoli a cui si esporrebbe il Re venendo a Roma in quel momento li trovava così gravi da dover sconsigliare un tale viaggio. .* Perdoni questi scarabocchi, concludeva, che avrei dovuto almeno copiare, ma i miei occhi non me lo permettono. Conto sui suoi occhi, quantunque talvolta non vedano bene, o non vogliano vedere ». Al che il Sella replicava il 26 dello stesso mese: i La sua lettera mi ha fatto profonda impressione, come tutte le parole sue sopra cose gravi. Ebbi avant'ieri una discussione di due ore con Paget (ministro d'Inghilterra a Firenze) sopra questo benedetto argomento della venuta del Re. Egli finì per concludere che fosse meglio accelerarla.... 1 fautori del potere temporale sanno benissimo che Roma Capitale decide definitivamente la questione, e Roma non capitale può essere il pomo della discordia che avveleni la Nazione. Quindi tutte le loro batterie convergono nel fare protrarre ogni atto che pregiudichi la questione. L'andata del Re a Roma è certo un atto d'importanza. Oggi a mio credere si fa senza aggravare la situazione : fra qualche mese può invece essere un atto pericoloso per un lato e pericolosissimo al Re per l'altro. A me pare che oggi, per quel che riguarda la questione romana, possiamo dire di avere il tempo favorevole, e perciò mi dico: — A che indugiare la' navigazione? — Aspettando ci troveremo in un tempo che potrà essere tranquillo, non lo nego. Auguro alla miri patria che sia più tranquillo che ora. Ma se invece il tempo fosse allora burrascoso? Chi ha tempo non aspetti tempo. Oggi è natii rale che il Re venendo a Roma non vegga ne il Papa, né il Vaticano, né Sun Pietro La convenienza a mio credere sta perchè egli si limiti alla sua parte civile. Ma fra alcuni mesi, potrà egli vedere tutto ciò.' E se non potrà allora niente più che oggi, non sarà molto più inconveniente allora?... 10 Le confesso che sono gravemente preoccupato da tutto ciò. Veggo da una parte Lei, Lanza ed il Re stesso del medesimo avviso. Dall'altra, la mia coscienza mi grida che si fa male. Perdoni la schiettezza dell'opimo ne, ma non mi so capacitare che potendosi oggi attraversare uno stretto con bel tempo, si aspetti domani con rischio di trovare la burrasca. Basta, non voglio tormentarla colle mie obbiezioni. Ci ruminerò sopra ancora meglio, poiché come Le dissi cominciando, le sue parole mi fanno molta impressione Dal canto suo il Lanza scriveva al Lamarmora, il 27 ottobre: c Giacomelli ha tele grufato in cifra a Sella che si prepara costì una petizione per. richiedere che il Re si rechi tosto a Roma. Vedremo come sarà concepita e come sarà accolta dal Re. A me pare inopportuna la petizione, e ritengo tempre che debba diferirsi l'ingresso del Re ». Ed il 31 ottobre: c Abbiamo sempre aperta la spinosa questione del Quirinale.., Al Re ripugna assai di risiedere in un palazzo contestato dal Papa, e dice che venendo a Roma porterà con se le sue tende di campagna per alloggiarvi sotto. Questo è uno scherzo;; ma quello che vi ha di serio ti è la sua decisa ripugnanza a prendere ttanza nel Quirinale, massime se il Papa rimarrà a Roma. Il Re si è raccomandato a me di scriverle in proposito perchè vedes se se mai si potesse disporre o acquistare un altro palazzo per la sua abitazione. Io glielo scrivo per acquit de conscience, ma prevedo la sua risposta desumendola da quanto già mi scrisse. D'altronde vi è la questione politica, ossia l'opinione romàna che considera 11 Quirinale come la sola e vera reggia > In quel mentre il Sella ebbe occasione di recarsi a Biella per un convegno elettorale : transitando per Torino, vide il Re, che riu ■ sci a trarre dalla sua; il che gli diede forza per fare della questione del viaggio del Re a Roma una questione di portafoglio; ernie da Biella scriveva al Lamarmora il l.o no vembre: « ....Dopo la lettera che Ella mi scrisse, io pensai essenzialmente alla que Stione: se il Re deve fare la sua visita pri ma o dopo la riunione del Parlamento. Ma io ebbi un bel girare e rigirare la questione sotto ogni verso. Io venni sempre alla conclusione estere itidispentabile che 'il Re ci vada prima. Dalle conferenze che ebbi con Brassier e Paget io concludo anzitutto che ora l'andata del Re non dà luogo ad osservazioni. Che succederà più tardi? Anzi Brassier in tutta confidenza, da Brassier a Sella, egli diceva, e non da Ministro di Prussia al Ministro d'Italia, mi esprimeva il suo convincimento die sarebbe gravissimo errore indugiare i passi che tendono a confermare 'Roma capitale e indugiare l'andata del Re che sarebbe appunto il primo passo. La venuta del Re prima della riunione del Parla- asspdastnqcdMcOcctqs■pE■pvn1zodeqd1zdpfoPmrdclsdSjMili vravara al Rr. buona àaaaMam ìv\ Parlamento, e disposizione meno sfavorevole P"* la legge delle guarentigie da accordarsi al Papa. L'indugio della venula, si può es eme certi, preparerà in Parlamento una ituazione di animi sfavorevolissima ad ogni proposta moderata.... Quindi per ine l'indugio dell'andata del Re. significa: esporsi al pericolo di ostacoli esteri per l'andata tessa fatta più tardi, indisporre gravemene Roma, il cui conlegno ci entra per molto nella soluzione della questione romana. In questa condizione, di cose è per me dovere di coscienza non solo di non consigliare il Redi di/ferire la sita andata, ma di lasciare il Ministero se questo prende deliberazione contraria al mio profondo convincimento. Operando diversamente mi parrebbe mancare al mio dovere; mi parrebbe transigere, colla mia coscienza per restare qualche settimana di più al Ministero. Io non so a qual conclusione Ella sia giunta sovra codesta questione dopo che ci avrà alla sua volta pensato tutti questi giorni. Ma se ornai Ella fosse ancora di avviso contrario (tocche parmi non debba essere, tanto vedo o parmi vedere chiara la cosa), io confido che Ella non disapproverà se in una questione grave 0 mi conduco secondo i dettami di coscienza. Domenica dovetti vedere il Re a Torino onde far sottoscrivere alcuni decreti. Gli dissi esplicitamente il mio modo di vedere, e la necessità per me di escire dal Ministero qualora la sua gita a Roma fosse differita dopo la riunione del Parlamento. Siccome 1 Re aspetta a. Torino, giovedì, anche Lanza, così egli rimandò a tal giorno anche la discussione di codesta questione. Il Re fu però scosso dalle considerazioni che gli affacciai ». Il Sella tace però l'argomento che più di ogni altro riesci persuasivo presso il Re. Però il Lanza lo apprese dal Re stesso e lo manifestò al Lamarmora ; entrambi se n*1 risentirono vivamente, come appare dalle due lettere seguenti, delle quali il lettore ci cousentirà di omettere l'enunciazione dell'argomento scabroso: il 6 novembre Lanza scriveva al Lamarmora: Sono arrivato ieri mattina da Torino con. Sella ed altri ministri. Sella ed io ehbimo una conferenza col Re. Si discusse della sua andata a Roma e m'avvidi eh". Sella era riuscito in un colloquio particolare col Re, di cui non mi fece parola, a smuovere la resistenza del Sovrano e a deciderlo a recarsi presto a Roma. Io osservai che questa questione doveva essere prima esaminata dal Consiglio dei ministri, presentandosi delle ragioni gravi e prò e contro. Dopo la relazione il Re. mi fece chiamare, e. mi disse che se aveva accondisceso di recarsi a Roma si fu perchè il Sella, giorni prima aveva vivamente insistito, dichiarando che si sarebbe dimesso se non aderiva; che egli come Re costituzionale, malgrado fa sua repugnanza, avrebbe fatto quanto il Ministero, sotto la sua responsabilità, avrebbe deliberato. Aggiunse che il Sella se si risolveva di fare presto il suo ingresso a Roma. Io rimasi sbalordito di questo modo di procedere del Sella, ma non gli dissi nulla, riservandomi di portare la que mrrfqpecdfifcrAdippnppipacirldfctiaaccrtsedSgsgbzdccCp.stione avanti il Consiglio dei ministri ap.\pena ritornati qui. Ieri sera difatti la si\discusse e l'ebbe vinta il Sella, contro ogni] mia previsione. Allora io dichiarai ai miei colleghi die io non, credendo di accettare la responsabilità di quella, decisione mi sarei dimesso. I mici colleghi di faccia a una crisi, dichiararono di recedere dal loro voto. Il Sella venne poco dopo a ritrovarmi e dopo lungo discorrere parevamo caduti d'accordo, che il Re non avrebbe fatto il ssuo ingresso a Roma se non dopo approvata^la legge del plebiscito, cioè negli ultimij i t iti giorni di dicembre, ovvero ai primi di gennaio prossimo, che intanto si comincerebbe ad occupare definitivamente il Quirinale e a disporlo per la residenza reale. Però questa mane mi mandò Giacomelli, giunto di fresco da Roma, per assicurarmi che Lei non è risolutamente avverso alla pronta venuta del Re e benché sia d'avviso essere più conveniente il dilazionarla, però non ravvisa gravi inconvenienti qualora avvenga prima. Per premunirmi contro qualsiasi equivoco, La prego di volermi dire se il Giacomelli abbia interpretato esattamente il di Lei modo di vedere la questione, anche per mia norma. Io non Le celo peraltro che ravviso in tutto ciò più un puntiglio del Sella che una questione scria ». Il Lamarmora rispondeva il 7 novembre: c ....Sella mi scrisse, fra le altre cose, che avendo dovuto vedere il Re per far sottoscrivere alcuni decreti, in coscienza aveva cred' '.o dichiarargli la necessità di sortire dal Ministero, qualora la sua gita a Roma f'sse differita dopo la riunione del Farlameuco. Io dovevo credere che Sella andaste dal Re, col di Lei consenso. Vedo invece dalla di Lei lettera, ch'Ella lo ignorava e scorgo inoltre con profondo rammarico come Sella ti sia prevalso. . . m . per tirarl't dalla parte sua; ciò solo mi basterebbe a decidermi di sortire da questa mia ogni giorno più falsa posizione. Ma v'ha di più. Anziché dividere il parere di Sella, sulla necessità di una pronta visita del Re c Roma, e nutrire la sua fiducia sui buoni risultati che da questa venuta dovrebbero derivare, io sono più che mai convinto che il Re dovrebbe ritardarla il più possibile. Tanto meno io posso poi approvare il trasporto della sede del Governo a Roma, pri- i ffrava materialmente preparata. Siccome vedo però che oramai il Governo non si può più arrestare, io La preao a lasciarmi andare pei fatti miei. Capisco che la mia demissione, in questo momento che si fanno le elezioni, potrebbe in qualche modo incagliare il buon esito delle medesime, e perciò, imitando anche i sacrifizi di amor proprio ch'Ella ha dovuto fare, starò al mio posto, se crede, finché siano ultimate le elezioni ; ma ciò fatto, io devo e intendo ritirarmi, prima che venga il Re, che io non mi sento di ricevere e far ricevere come si conviene.... Al Sella non mi sento neppure di rispondere. » « Mio caro Generale — replicava il Lanza il 9 novembre — se Ella abbandona codesto posto, io dispero di vedere prevalere una politica moderata e conciliativa; prevarranno gli intemperati e gli impazienti e ben presto tutto andrà a rottoli; -partirà il Papa, interverrà la diplomazia, verranno le intimazioni delle Potenze estere e l'Italia passerà per le forche caudine. Ella è un argine a tutti questi guai, e forse il solo che si possa ancora opporre. Anche il Sella innanzi alla di Lei resistenza si arresta e riflette prima di urtare. La questione dell'epoca della venuta del Re. non è ancora definitivamente decisa. La mia opposizione fece rinsavire, parecchi miei colleghi e. pare che anche il Sella ne sia scosso. Non garantisco però che non ritorni alla sua prima idea. In ogni caso io resterò fino a tanto che avrò speranza di contenerlo e quando non avrò più questa speranza, mi ritirerò ». Sennonché fu il Sella a dimettersi, provocando le dimissioni del Lanza; dimissioni che furono date e ritirate quasi contemporaneamente, come risulta dalle seguenti lettere e telegrammi. Il 19 novembre Lanza scriveva al La Marmora: « Versiamo in piena, crisi, nonostante le elezioni in corso e il prossimo arrivo della deputazione spagnuola al principe Amedeo Sella, indispettito per la dilazione dell'in? gr.esso del Re in Roma, diede le sue dimissioni, che mantiene tenacemente; Raeli segni il suo esempio. Però promisero entrambi di non ritirarsi se non compiute le elezioni. Io tenterò ancora di smuovere il Sella dalla sua proposta; se non ci riescirò cercherò di rimpiazzarlo con Scialojm, e Raeli con Vigliani. Nel caso che questi non accettassero, presenterei al. Re le. mie dimissioni. Così faremo tutti, ehi per elezione, ehi per necessità, una triste figura, giacchè, dopo aver suscitata e messa in moto là questione romana, avere provocato le. elezioni generali, il nostro ritiro è ingiustificabile. Io non so se il Sella, tenga in. serbo altre combinazioni. Si susurra. da taluni di possibili accordi con San Martino, da altri con Raltazzi; a queste voci io non posso dar fede. Da. un'altra parte io non jiosso persuadermi che il moti vo della sua dimissione sia soltanto quella che apparisce. Per certo gli peserà sulle spalle una gravissima responsabilità. Credo che oggi il Re lo manderà a chiamare, per indurlo a ritirare la demissione. Vedremo se riescirà ad. ammollire questo macigno ». In quello stesso giorno si apprese che un Comitato elettorale romano, essendo stato .informato che il Sella aveva minacciato le \^e dimissioni ottenere la pronU anda/. \^ de] ^ a Roma> ayeva proclamata( c0. me atto di protesta contro gli altri ministri, la. candidatura del ministro delle finanze a deputato di Roma. Il Lanza fu irritatissimo, e nel subito impeto della ragionevolissima collera, telegrafò al La Marmora lo stesso giorno, 19 novembre: « L'inconsulto e sleale manifesto dei romani rendere la crisi inevitabile; dar egli quel giorno stesso le sue dimissioni; giustificherebbe poi la ^^ dalle fai-* accuse ». Il La Marraora Rubito. , j^j non dev6 ritirarsi, ma rimanere. Sella o rifiutare la candidatura, o ritirarsi ». Il Sella, infatti, a cui spiacque certo un tale incidente, avvenuto a sua insaputa, rifiutò la candidatura, e la crisi si risolse come lo narra il Lanza, nella seguente lettera del 23 novembre al La Marmora:' 1 Non ho potuto scriverle prima, come avevo desiderio, ver narrarle come venne scongiurata la crisi ministeriale, che era insorta per causa della demissione di Sella. Questi stette fermo nella sua decisione nonostante i consigli e le preghiere dei nostri e dei suoi amici, e del Re stesso. Quando sopraggiunse il famoso manifesto firmato da ■parecchi vatrizi romani, che Lei conosce, io riunii il Consiglio, lessi il manifesto, vi feci alcune considerazioni, e poi posi il dilemma: o Sella rilira le sue demissioni e rinuncia alla candidatura offertagli in quel manifesto, ovvero io mi reco dal Re per dare le mie demissioni, motivandole sulla considerazione che dopo quella pubblicazione ed i fatti che ivi si accennano, io non poteva più ritpondere del risultato delle elezioni. Sella comprue eubito tutta ^T^himche andava a cadere sopra di lui, e non sitò a ritirare le sue demissìoni e di dichiar- 11 • * . » ... rare che avrebbe anche respinta la candida-tura in Roma. Così si ricomposero la cote, per cui si può ben dire che il manifetto dei *L . . ... '. .Romani abbia giovato, pw. che nuociuto, al Ministero'». ,, „ , , , ,,. , ., Ma allo stesso modo che 1 irrefrenabile impulso degli avvenimenti aveva vinto le •1 ìì. . 7i 1 t j nluttanze del Ministero Lanza ad occupa- re Roma colla forza, così la tattica tempo- . ■„,..• vf■ . ,„„ , reggtatnce dello stesso Ministero fu frustra- ta in modo felicissimo, e la questione dell'ingresso in Roma del Re fu abilmente dalui risolta con una delle ispirazioni del suo gran cuore il 31 dicembre, nel quale gior- acque del Tevere aveva inondata in moo veramente spaventoso, e minacciavano, rescendo ancora, nuovi disastri e rovine, ltre i già cagionati alla città atterrita. Iaspettato, a confortare i suoi sudditi comarve Vittorio Emanuele, senza, pompe, on come Re, ma come primo cittadino, coe padre che accorre in mezzo ai figli nel omento del pericolo. A ragione il Berse- zio osserva che fu quella la migliore presa di possesso che si potesse desiderare per un Re popolare come quello; non solennità, non feste, non apparati, ma un entusiasmo di riconoscenza, ma un trasporto 3'affetto, ma una comunione di sentimenti che consacrò più irrevocabilmente il patto fra i cittadini liberati e il Re liberatore. M. Mori