Salvago-Raggi e l'Eritrea

Salvago-Raggi e l'Eritrea Salvago-Raggi e l'Eritrea .Non sarò di cosi cattivo gusto di provar-,pli a scagliare anch'io la mia pietra con; tro il «ornatore Salvago Raggi. Oggi ttro il governatore Salvago Raggi. Oggi l'atto metaforico sarebbe troppo facile e alUPostutto privo di novità. Senza contare che I gEccellenza in questione non è di quelle dche per la natura degli atti che è andato o meglio che non è andato compiando, nella qsfera dello sue speciali attribuzioni susci- ; gtino il desiderio dell'acre commento, della'vinvettiva, dell'attacco a fondo. cSe si potesse per un momento supporre ache Salvago Raggi fosse eterno ed eterna ddi conseguenza durasse per lui la fiducia1 Mdel Governo, fra cinquanta, fra cento anni, ! efra uno spazio incommensurabile di tem-scpo, i nostri nipoti avrebbero modo di con- astatare lo straordinario fenomeno di una fColonia Eritrea nelle precise condizioni di foggi, salvo naturalmente qualche cinquan-! vtina di chilometri di più di ferrovia, o|ctrattandosi di avvenire lontano, di qualche! linea di dirigibili a scartamento ridotto, iper comodo dei signori funzionari coloniali. : cUna colonia, ripeto, nelle preciso condirlzioni d'oggi con tutte le sue miserie rese ppiù acute dalla decrepitezza. Poiché la ca- iratteristica ed il difetto essenziali del Go- mverno di Salvago consistono nel fatto che jhil Governatore non ha mai fatto nulla di autile. L'Eritrea e stata amministrala dalnini come se si trattasse di un'isola in pienodoceano e non di un paese che ha la pre-| rogativa e la sola di costituire una delle mporte di accesso all'impero Etiopico Ora spuò essere anche naturale che i governatori pdell'Indocina o dell'Isola di Borneo trovino!rperfettamente inutile di proporsi delle ri- iforme, inquantochè cotesti paesi, per svi- mlupparsi, non hanno oramai che da seguirej il loro programma eli vecchie colonie asse- cstate. Per l'Eritrea invece il tipo di govor-ìdnatore-funzionario non regge ancora. La!camministrazione e l'indirizzo della colonia! è tutto da cangiarsi, occorrono alla suaitesta degli uomini che abbiano delle vedute di un ordine assai più alto, e sopratutto una indipendenza di azione assai più vasta che non siano quelle concesse al marchese icnSalvago Raggi. 11 quale probabilmente ed I uumanamente'non ha considerato il gover-| anatorato della colonia che come uno « sta-1 sgè» vantaggioso che doveva automaticamente portarlo innanzi nella sua carriera diplomatica. E dato e non concesso che il Salvago sia uomo di qualità non comuni, era assai improbabile ch'egli si provasse a comprometterò cotesta sua. carriera, tentando di togliere all'Eritrea la flsonomia di male necessario che l'Italia sopporta per coerenza verso i suoi errori del passato. La riforma dell'Eritrea importa una lotta ardua — domandatelo all'on. Martini — contro principi, abitudini, opinioni radicate, lotta nella quale, il Salvago, funzionario nel senso più ristretto della parola, avrebbe dovuto impersonare una notevolissima eccezione nel funzionarismo italiano con molte probabilità di compromettere il suo futuro ambasciatorato. Ma e l'interpellanza dell'ori. Riccio, mi direte voi, e il cumulo di fatti divulgati contro il governatore contengono o meno una consistenza dalla quale possa, dedursi che Salvago Raggi non ha corrisposto alle speranze che il paese aveva posto su di lui compiacendosi generalmente della sua nomina a successore dell'on. Martini dopo il cosidetto brillante contegno in Cina? Vi darò una risposta assai franca. Quei fatti hanno tutti una importanza assai meno grande di quello che possa apparire a prima vista. L'osservazione dell'on. Martini, cche ha avvertito come non sia possibile giudicar delle cose eritree con criteri a- i stratti ed assoluti, contiene l'essenza della; difesa del governatore attuale che con tut- ta certezza offrirà al ministro Di San Giù-|liano il modo di ribadire la fiducia in lui,e di dimostrare elio l'onora del Governato- ; re dell'Eritrea 6 stuta perfettamente in ar- monia con i concetti che dominano al mi- nlstoro degli esteri nei riguardi del nostro classico possedimento africano. Concetti che:fanno oarte del centone generale della po-;litica estera italiana e che a quella si ac- cordano e clic quella completano. IDicevamo dunque che Salvago Raggi è!stato un governatore negativo, per venire alla conclusione che nella sua rinuncia al:fare, consisto la sua grossa pecca dinanzi " nostro giudizio. E assai maggiore di ovocato la internellnn- quelle che hanno provocato la interpellanza dell'on. Riccio. Le opere che Salvago Raggi avrebbe dovuto attuare erano essenzialmente due, dal-1le quali dipendono tutte le altre che potrebbero condurre la colonia al suo assetto veramente definitivo. Lo cose laggiù sono arrivate a tal punto che rinunciando a compierle, l'uomo' che oggi si assume il còm pilo di governare l'Eritrea, può esser certo di trovarsi in breve dinanzi ad una situa- zione insostenibile. La prima, che potremmo1 definire d'ordine interno, avrebbe dovuto mi-1 rare ad abolire il contrasto che deriva da]un bilancio coloniale, i tre quarti del quale;o quasi, sono devoluti alle spese militari per modo da indurre a credere che il periodo j cosi detto eroico della Colonia, non siaI per anco sepolto ed esista al di là dei con-1fini una situazione politica tale da far ri- tenere possibile l'addensarsi di una minac-jeia all'integrità territoriale eritrea. L'altra opera, d'ordine esterno, compren- deva la propaganda e lo sviluppo della nostra influenza nel territorio dell'Abissi- nia settentrionale, influenza oggigiorno beniscarsa, malgrado che il Tigre si trovi nella'condizione politica più favorevole per ac- ìcoglierla e subirla. Ferdinando Martini aveva assai ahilmen- lte spianata la via al suo successore perchè Iall'epoca nella quale Salvago Raggi assunse il Governo dell'Eritrea ambedue le opere avevano ricevuto un inizio eccellente, con una serie di provvedimenti opportuni, fra i quali notevolissimi quelli delle Agenzie commerciali extra confine e del possesso della linea telegrafica che unisce Addis Abeba all'Asinara. Salvago Raggi in continuazione dell'ope j i di Martini, doveva dunque proporsi diipersuadere il Governo centrale, che Tordi-|namento militare eritreo da una parte è'superfluo, come organismo destinato aliai sicurezza interna e dall'altra inutilmente costoso per la. sua esiguità a parare l'e-jven tu alita di una guerra con l'Abissinia. Doveva sradicare dalla mente italiana ili vecchio e vieto concetto di un'Etiopia capa ce di rinnovare il fenomeno del '06, persuadere l'opinione pubblica, che dalla guerra di Adua ad oggi l'Impero.ha subito una trasformazione profonda per la quale il Ti-i gre è un paese uscito dalla attività generale ldell'Impero abissino. I Cotesta terra che è la sola donde potreb- fcero provenirci offese immediate, cotesta I ,provincia che è una appendice del nostro)M territorio coloniale a quale integra. u ™ territorio stesso e ne determina la potenzia- ™qUità economica e l'avvenire politico, il fi I grò insomma, è stato letteralmente abban domito dall'Abissinia. Lo dissi altre volte e torna acconcio in questa occasione di ripeterlo: l'impero og ; gi è uno Stato scioano anzi galla e non 'vi è combinazione politica degli elementi che lo compongono, che possa interessare, attirare, sedurre o riguardare le Provincie del nord dalla pianura di Uccialli sino al 1 Mareb. Tutti i fattori della colitica interna ! etiopica nè ricordano, nè mostrano di riscordare che anche il Tigre è una provincia abissina. La terra del nord è divenuta di fatto un territorio senza comando, senza forza e senza dipendenza, che dovrebbe zi! vere unicamente sulla nostra Eritrea. Altro |che minacciarla! ! Tuttavia noi continuiamo a considerare il Tigre, come un paese di perenne preoc : cupazione. Ed è per il Tigre, per parare rle impossibili offese dei suoi numerosi ca pi senza seguaci, il più nobile ed il più imponente dei quali si può comperare al massimo con mille talleri, che noi mnnte jhiamo una organizzazione militare che ci assorbe la massima parte del bilancio attlnuale derivante dal contributo della madre patria e dalle risorse eritree, | Se oggi si facesse il computo delle som me che sottratte al bilancio militare si fos serò devolte nell'opera complessa, ma il postutto non difficile data sempre la mise!randa condizione politica del Tiare, della italianizzazione di cotesta terra, troverem mo come risultato che la differenza fra il smdRficfgcvj lifiTè e l'Eritrea sarebbe soltanto questa: che il primo dipenderebbe completamentejìda noi senza che l'Italia avesse la preoc!cupazione del suo difficile dominio, ! Dirà il lettore: voi dunque intendete aiholirc le forze militari eritree? Intendo propugnare che siano organizzate in guisa che costino il terzo di quello che costano oggi, abolire cioè il nucleo permanente creatore di mediocri soldati e di I una classe di speciali spostati indigeni ed | affidare alle attuali bande che si costitui1 scono presso i commissariati regionali i o a n o i o i e compiti che oggi sono rtroori dei costosi battaglioni permanenti. Adottare in poche parole alle porte dell'Abissinia il concetto abissino della Nazione armata. Si può concedere che continuino a sussistere i piccoli nuclei permanenti formati dalle specialità, l'artiglieria ed il genio, ma sta il fatto che tutto l'organismo militare eritreo dovrebbe ridursi ad avere presso i commissariati alcuni gruppi formati da pochissimi ufficiali bianchi, destinati ad inquadrare in caso di bisogno le bande ed addestrarle durante le chiamate annuali. E credete pure che l'Eritrea sarebbe assolutamente difesa come lo è oggi. In quanto alle offeje che potrebbero derivare dall'Impero coalizzato contro di noi, ipotesi che a torto il comando militare non scarterà mai, è inutile osservare se "le bande sarebbero insuf fìccnti a fronteggiare il pericolo, r>oichè battaglioni permanenti lo sarebbero ugual mente. La differenza fra i battaglioni permanenti e lo bande non è che nell'app.i. lenza, il valore delle truppe indigene eri tree non dipenderà mai dal gradò d'isti' ìzione che si sarà riusciti ad infondere loro, ma dall'opera generale governativa in Colonia. Vale a dire che noi avremo degli in digeni più o meno disposti a battersi per la difesa della Colonia, secondo che la nostra legge sarà stata più o meno saggia verso di loro. Come ripeto è oramai uni i assurdità sostenere che 1 Impero possa rina; novare contro di noi una guerra simile a - quella del '9G, alla stessa guisa che e as-|Surdo supporre che l'Italia provochi 1 A i,bissinia a rinnovarla. Comunque, cote-ita - ; ipotesi implica come tutti sanno 1 invio di ingenti rinforzi dnll Italia, non avendo fra - le altre cose l'Eritrea, neppure la popoo Iasione sutficente per ottenere una leva In e:massa superiore ai 2o mila uomini. Ed e -;bene notare che di un movimento militale - abissino, non dico imponente, ma appena Iconsiderevole, noi saremmo informati alme è!no tre mesi prima, senza contare il tempo e che impiegherebbero gli eserciti abissini a l:ra£Ri,,nSe,'e ,e nostre frontiere, che e quxli che cosa di inverosimile. Chi scrive ha sei gntto, ha soggiornato fra gli eserciti etio- Pici, ed è passato attraverso tutte le mei labili noie mortali delle marce m mezzo -.1 loro caotico e sia pure pittoresco disordit e e l'impressione madre che ne risentiva, era quella di chiedersi ogni giorno come cotesti -1eserciti avessero potuto un giorno batteri e truppe di un popolo civile. Ma non di vaghiamo. * * La militare dunque, era la prima rifor ma che Salvago Raggi doveva coraggiosa o mente iniziare, mettendosi, se occorreva - contro l'opinione dei tecnici, dai quali era o1 umano attendersi la più energica delle op -1 posizioni. Non è da pretendersi certo che il a]Comando Militare dell'Eritrea voglia porre e;m dubbio la praticità della costante prjr parazlone alla guerra di là da venire. Es.o j ste inoltre nelle truppe eritree una tena aI ..issiina tradizione eroica che congiunta alle -1caratteristiche dell'ambiente militare p-.r - sua natura unilaterale e conservatore, e a -jquelle speciali della Colonia, avrebbe certa niente fitto considerare la riforma come - una enormità. Immaginate dunque se Sal- a vago Rangi. un quasi militare, un futuro - ambasciatore, un uomo legato a mille con niventenze poteva essere il governatore capaa'ce di dire alle belle truppe eritree: « An- ìdatevi.ne: la vostra èra è tramontata. Vji i apprese aia te certamente la più bella cosa le la più nobile che là Colonia abbia posse è Iduto, ma è oramai tempo che compiate il , , e o supremo sacrificio di scomparire. La Colo nia dee vivere ed è costretta a fare a me no di voi... A meno che preferiate di dienirc i custodi di una specie di colonia di paranoici, che tali diverranno i coloni ialici, Costretti entro gli inutilmente vasti. confini della seconda patria, se non si apro., jloro le porte etiopiche»... Torno a ripeter-i j lo ancora, l'Eritrea è una porta, null'altro iiche una porta dell'Abissinia, dove è gino-j-|cof orza penetrare, con la più formidabile'è'delle armi conquistatrici: il denaro. Il te.•-iai ritorio eritreo 6 inadatto per le grandi spe-je culaziòni industriali ed agricole, a meno di -jopere cosi colossali che non vale la pena,. per la nostra generazione almeno, di pro-li gettare. La Colonia è una specie di veste!a di Arlecchino, clic produce di tutto un po', ma anche presa nel suo complesso, cotesta produzione messa in valore non riuscirebbeia mai a modificare la situazione ed il mara- -i snia attuale. Senza contare che è saggio, !e le necessario lasciare una gran parte dede I torre produttivo agli indigeni, se non si- vuole vederli trasformarsi nei più acerrimi a I nemici del Governo d'Italia. Con quali svan- M»»«™• ™ "^po = ™"a^ ™«™ nflj ° spazio che mi e .meo a con taarei per la nostra futura penetrazione in Etiopia è facile immaginare. Dovrei ora intrattenervi sull'opera negativa del Governo dell'Eritrea al di Jà dei confini e nella terra cosi inutilmente preparata a lasciarsi economicamente conquistare, ma l'argomento è troppo vasto, sentito. Mi riserbo quindi di trattarlo nella mia prossima lettera. Per oggi mi preme di osservare che il governatore Salvago Raggi,* più che essere stato attaccato per i fatti che gli si attribuiscono, ha sollevato in Colonia le indignazioni universali, perchè è un uomo che allontana, che non si fa amare. State certi che dinanzi alla grande massa dei coloni eritrei, cotesta ò la sua menda maggiore, quella almeno che ha finito per esasperare i nostri confratelli di laggiù. I quali essendo passabilmente avvezzi a vivere in una condizione precaria non sarebbero insorti cosi unanimemente solo che il Governatore, pur non facendo nulla di buono o di utile, avesse saputo circondarai di quella simpatia, nel suscitar la quale Martini era maestro. Naturalmente i coloni fanno i confronti e cotesta rappresentanza della mite razza italica che come la nostrana fa dipendere tutto dal valore e dalla capacità individuale degli uomini che la dirigono, senza comprendere che il più delle volte il male dipende anche da loro, incolpa Salvago Ra<*<"i di cose ingiuste solo perchè non ha voluto piegarsi a quel complesso abbastanza semplice e neppur troppo faticoso di abitudini e di parole che potrebbero formare il perfetto governatore italiano. E' vero che non esiste nessuna legge dello Stato che obblighi i •'overnatori a farsi amare dai governati, ma chi conosce la colonia, le sue abitudini di generale cameratismo, comprenderà come la fredda riserva eccessiva non sia certamente fatta per procurarsi delle simpatie. È Salvago ale è uno scet- t"-' ' n,t ' p"\Zi j""*feJ '"' '--eit- tico ad oltranza, capo di un paese al quale non ha mai creduto, e di cittadini italiani ai quali non ha mai voluto fare l'onore di domandare una opinione sulle questioni che più li interessavano. Lai casa del Governo all'Asinara è permanentemente chiusa. Salvago vi trascorre una specie di vita da cenobita. Mai un ricevimento ufficiale, non una occasione qualsiasi che permetta ai coloni di avvicinare il governatore. E intorno a cotesta vita appartata, un pettegolezzo antipatico di miserie e di gretterie. Persino gli RpAzciiuìigònì" non ~si~scomodanò~ più a salutale cSua Eccellenza, e ultimamente, in ofiw^^ffi^^i * .beeremo. Sf1 «Dalak, Salvago Raggi ebbe la suprema sod- vdisfazione di trovare 1 villaggetti delle isole pdeile perle completamente deserti. All'an- tnunzio della visita, gli indigeni avevano zpensato bone di svignarsela, tanto grande lù la popolarità che gode in Colonia il per- sonaggio che la governa. mMà'tant'è il ministro Di San Giuliano eannunziava pochi giorni fa al Senato il multiforme incremento della Colonia Eri- trea Tl multiforme inrrempntn rii nnn m tiea. iimuuiioime incremento ai una co- loma dove come vedremo le carovane; scappano, dove la tanto vantata coltivazio- ne cotoniera si riduce a sessanta, dico esessanta ettari, dove il proseguimento della ferrovia, più che da ragioni economiche e commerciali è stato determinato dalla Epreoccupazione della crisi che la improv- visa mancanza di lavoro avrebbe determi- nata, dove se il Governo non fa qualche fcosa non hutto sulla niav-ra del rlnmrr. ir.o sràdeipoloni mfininnn rtf fnm» rtn™ fJ^r r??'X,mu01°n° d fame- dove feno- rimeno .«unico » fra tutte le colonie afri- ecane, i bianchi disputano i bassi impieghi alla gente di colore... No, no, mettete il nmultiforme incremento nella categoria di quelle soddisfazioni che il Governo d'Italia è uso a raccogliere all'estero e ad inter- Dretare come segni indiscutibili della sem- apre crescente grandezza del nostro presti- gio dinanzi alla, famiglia delle ornane genti lihore. ARNAtRO CIPOLLA. y